Capitolo
X
LA FELICITÀ È IMPOSSIBILE
Dimentichiamo la
giustizia come assurda, fermiamo la nostra attenzione sull'interesse; corriamo
all'unico scopo della felicità; la logica ci raggiungerà ancora; in traccia
della felicità, ci troveremo avviluppati da nuove contraddizioni. L'arte di
vivere non è possibile, e se esiste rende impossibile la felicità.
Il primo
passo dell'arte di vivere si è di scegliere tra il bene e il male, che ormai
considereremo come sinonimi di utile e di danno. Perchè scegliamo solo il bene?
Perchè evitiamo il male? Il motivo della decisione ci manca, la natura ci
trascina; si abbraccia il bene, si evita il male; la logica non ha motivo di
preferenza.
L'impossibilità
di scegliere tra il bene e il male riappare sotto nuove forme, ove vogliasi
definire il bene. Di fatto, non si può definirlo, nè concepirlo se non col
mezzo del male: sopprimendo i nostri dolori, sopprimiamo i nostri piaceri;
senza la fame il cibo è odioso; chi non conosce la miseria non desidera la
ricchezza; la sventura è la migliore maestra della felicità. Ne risulta, che
per godere è d'uopo soffrire; per moltiplicare i piaceri, fa d'uopo
moltiplicare i bisogni, i dolori. Chi è satollo non mangia; Salomone non trova
più diletti; l'uomo felice si ritempra più col dolore che col piacere: cerca i
pericoli del giuoco, dell'amore; l'epulone investito dallo spleen divien
suicida. Quindi un dilemma: volete essere felici moltiplicando i beni che vi
circondano? sarà necessario moltiplicare i vostri dolori e la possibilità
d'essere infelici. Il ricco può essere offeso nella sua terra, nel suo danaro,
in ogni suo avere; l'uomo felice per la famiglia, per l'amicizia, per la
patria, può essere infelice quante volte ha moltiplicato la sua esistenza fuori
di sè. L'arte di vivere aumentando il numero dei piaceri, ci allontana dallo
scopo. Al contrario volete voi evitare l'infelicità, raccogliervi in voi,
circoscrivere, per così dire, la superficie della vostra sensibilità? allora vi
fia d'uopo rinunziare alla ricchezza, all'amicizia, alla famiglia, alla patria;
vi fia d'uopo rinunziare a tutte le ricchezze dell'animo, per isolarvi nello
stomachevole egoismo dei cinici. E troveremo noi la felicità in questa
solitudine? Vi troveremo l'esistenza senza piaceri, la vita spoglia d'ogni
gaudio, il bene affatto privo d'ogni bene, una felicità che è una miseria.
Dunque noi restiamo sempre nel dilemma, o di accrescere i nostri dolori
nell'atto che cerchiamo la felicità, o di sopprimere ad un tempo la felicità e
i dolori.
La turba
cerca i beni senza curarsi dei mali che li seguono: si ragiona talvolta della
felicità del povero e dell'infelicità del ricco; nondimeno, a malgrado della
logica, ognuno sorride e la natura la vince. Cediamo dunque all'impulso della
natura, raccogliamo intorno a noi il maggior numero di beni: sarà sempre vero
che non possiamo darci ad un tempo a tutti i piaceri; è forza scegliere tra i
diversi beni, e la logica c'investe di nuovo ripetendoci l'inevitabile sua
contraddizione. I beni sono diversi, distinti; sono irreducibili; il motivo
della scelta ci manca assolutamente. Si paragoni la voluttà coll'ambizione. La
voluttà si fonda sul senso, chiede solo il piacere, consulta solo il capriccio;
l'ambizione vuole il comando, l'ordinamento degli interessi, la signoria dello
Stato. La voluttà e l'ambizione si escludono stimando in senso opposto ogni
valore. Per la voluttà il denaro è la chiave de' piaceri, l'amore è l'imagine
suprema della felicità, la gloria una fonte di dolcezze: per l'ambizione il
denaro è la chiave delle coscienze, l'amore un espediente, la gloria un mezzo
onde affascinare i popoli. Se anco la gloria e l'ambizione fossero sole sulla
terra, se la contenderebbero senza nemmeno intendersi. Per l'uomo sensuale
l'ambizione è un affetto che si svolge in mezzo ai tumulti; è un morbo della
vanità; essa ci sottopone a fatiche esose, a intollerabili privazioni; è una
forza che ci strugge. D'altra parte, il politico disprezza la felicità dell'inerte,
lo lascia a' suoi piaceri insipidi, alle sue soddisfazioni neghittose e domina
l'ozioso come sua cosa. La voluttà e l'ambizione si accusano scambievolmente di
follìa; il bene dell'una è il male dell'altra; e viceversa. La stessa
opposizione si rinviene tra tutti i beni, si moltiplica nella varietà degli
istinti, delle passioni, delle ispirazioni, e ci toglie ogni motivo di scelta.
Non potendo
scegliere, non possiamo scambiare un bene coll'altro, nè cangiare, nè vendere,
nè determinare alcun valore. E che? si dirà, ogni cosa ha un valore; vi ha il
commercio, vi ha il denaro che rappresenta tutte le cose, e lo scambio sarà
impossibile? Non nego l'esistenza del valore, concedo che vi ha nell'oro un
valore universale, stabilito anticipatamente dalla natura nell'istinto
misterioso che spinge l'uomo a cercare le materie preziose: anzi supporrò che
ogni sentimento possa comprarsi e vendersi, che nulla possa resistere alla
forza dell'oro e che nessuno resisterebbe se la natura non avesse nascosto le
ricchezze necessarie per vincere tutte le affezioni, e per contraccambiare i
valori di tutti gli istinti. Vedesi che accordo l'impossibile; eppure la
impossibilità logica, di scegliere tra i beni, sussiste a malgrado dello
scambio, a malgrado del denaro, a malgrado delle equazioni stabilite di
continuo tra i diversi valori: non si negano le preferenze, non si nega il
fatto dello scambio; si nega la spiegazione logica del fatto, il sillogismo
della deliberazione, la stima matematica dei valori, la possibilità di stabilire
il più o il meno quando i beni sono diversi.
La
contraddizione che separa un bene dall'altro si rinnova nel concetto stesso del
cambio dei valori. Perchè scambiate una cosa coll'altra? Perchè differiscono;
se non differissero, lo scambio si ridurrebbe a un atto vano, si opererebbe
senza operare; sempre lo scambio suppone la differenza, suppone ad un tempo
l'eguaglianza e l'ineguaglianza, suppone due cose che si escludono.
Invano la
filosofia si sforza di determinare l'arte della vita, e di dare un criterio che
serva alla stima di tutti i valori. Essa ha proposto il piacere, il vivere
beato dell'animale; ma variano i piaceri, sono diversi, nè abbiamo motivo
alcuno di preferire il ballo al canto, la commedia alla tragedia, un piacere ad
altro piacere. Inoltre, perchè preferire la felicità animale a quella che si
trova nei nostri sentimenti? - Preferite i sentimenti? anch'essi variano,
ognuno di essi si sviluppa in due sensi opposti; i dilemmi si aumentano. -
Volete voi che il principio della felicità stia nella ragione? L'arte di vivere
si dilegua di nuovo; la ragione ci offre la felicità nella scienza; ma
anch'essa varia, chè le scienze ci largiscono soddisfazioni speciali, distinte,
opposte le une alle altre: dobbiamo noi preferire la storia o la filosofia? la
matematica o la fisica? Non sappiamo. La ragione vuol renderci felici colla
verità; ma la verità rende forse felici? Non vi sono forse verità tristi,
funeste? la realtà non ci può trafiggere con mille dolori? Al contrario,
l'illusione può colmarci di gioia; la speranza sparge di fiori il cammino della
vita, che sarebbe un deserto se non ci fosse permesso l'ingannarci. La stessa
follìa ha i suoi momenti lieti, mentre la saggezza è amareggiata dagli eventi,
dal male, dalle ingiustizie. Dobbiamo preferire la tristezza del savio alla
felicità del pazzo? Non si scioglie il dilemma. - Finalmente, può
l'intelligenza proporsi di vegliare sulla nostra conservazione, di toglierci ai
piaceri micidiali, alle gioie struggitrici per prolungare la nostra esistenza. Ma
la longevità è forse un bene? Dobbiamo forse preferire una vita lunga,
squallida e mesta alla felice agitazione di una vita breve, forte e splendida?
Temuta è la morte, lottasi per vivere con tutte le forze della natura; pure ad
ogni occasione sprezziamo la salute, aneliamo al pericolo, e spesso siamo
pronti a dare parte della vita pel trionfo di un principio od anche di un
capriccio. Come scegliere? La logica si tace. Adunque godere è soffrire; non si
può nè scegliere il male, nè scegliere il bene, nè scegliere tra i beni, nè
preferire la morte alla vita, o la vita alla morte. Se tracciamo ad ogni patto
l'arte di vivere, volendo imporci i suoi precetti, ci imporrà piaceri che non
saranno piaceri, contenti che saranno dolori, delle felicità che saranno sventure.
I deisti
cercarono in cielo la felicità che ci sfugge in terra: vollero toglierci alla
terra per renderci felici altrove; non li seguiremo nella loro corsa
trasmondana. La critica deve applicarsi alla evidenza, sprezzar l'errore. Del
resto, se il cielo pur si vedesse, ancora non potremmo penetrarvi; i beni del
cielo cadrebbero sotto la stessa contraddizione dei beni della terra; perchè
non si concepisce felicità senza infelicità, nè ci è dato imaginare un bene
infinito; e se Milton e Dante sanno parlarci dell'inferno, non possono
dipingerci i gaudj celesti senza cadere nella monotonia di un tedioso idillio.
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