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Giuseppe Ferrari Filosofia della rivoluzione IntraText CT - Lettura del testo |
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Capitolo III
LE FORME LOGICHE SI DISTRUGGONO DA SE
Isolatamente considerate, le forme della logica non resistono alla stessa loro azione. Dimentichiamo la natura, dimentichiamo la creazione, svanisca ogni fatto materiale. Il dilemma sorge nuovamente dal seno stesso dell'identità, dell'equazione e del sillogismo. Prendiamo la prima forma dell'identità. Finch'essa lotta contro la natura, siamo nell'alternativa di sacrificare i suoi assiomi o l'esistenza della natura; ma quando l'isoliamo essa ci sfugge di nuovo. Per afferrarla, bisogna applicarla a qualche cosa, bisogna opporla a ciò che non è identico. Accettiamo questa necessità, che è già contraddittoria, qui ancora non si dice mai. che un oggetto è identico con sè stesso; affermando che: il sole è identico col sole, si cadrebbe in una vôta tautologia. Bisogna che l'oggetto cambi, che scompaia momentaneamente, che un velo qualunque s'interponga tra noi e l'oggetto, e ne alteri così i rapporti nello spazio o nel tempo, e allora soltanto l'identità sia concetta, invocata e possa constare. Dunque essa non esiste se non quando ha cessato di essere; l'identità suppone il difetto di identità, suppone la differenza; essa non è eguale a sè stessa, non può essere dedotta da sè stessa, e conviene che si contraddica per essere intesa. Sviluppiamo il principio dell'identità. Dopo di aver affermato che una cosa dev'essere eternamente la stessa, dopo di aver negato la possibilità del cambiamento che la farebbe essere e non essere, l'identità, sempre in balia dell'oggetto, prende una nuova forma, e si applica non più alla sostanza, ma alle qualità delle cose. Qui diventa il principio della differenza, e dichiara che due qualità opposte non possono appartenere in pari tempo a un medesimo oggetto. Si ammette dunque che le due qualità possano appartenergli l'una dopo l'altra, si accorda dunque che l'oggetto può cessarc di essere ciò che è, per diventare altro. Dunque l'identità è in balia di ciò che non è identico e si distrugge sviluppandosi. L'equazione subisce il medesimo destino. Essa si fonda sull'eguaglianza: ma due cose assolutamente eguali non possono distinguersi, e sarebbero per noi la stessa cosa. L'eguaglianza che credesi di affermare coll'equazione, non è l'eguaglianza, è l'identità di una stessa cosa sotto due forme diverse, l'identità di un numero nella diversità dei termini; e la differenza ferma l'eguaglianza nell'atto stesso in cui dovrebbe svilupparsi. Se A è eguale a B; B è A: l'apparenza di B è un errore, B non esiste; se A non è eguale a B, dov'è l'equazione? Insomma l'equazione ci presenta la contraddizione dell'eguaglianza e dell'ineguaglianza. La vera eguaglianza non può essere afferrata perchè identifica i due termini: l'ineguaglianza escludendo l'eguaglianza, ci impedisce di sviluppare l'equazione: quindi la contraddizione si manifesta nella seconda forma della certezza. Lo stesso si dica del sillogismo. Il sillogismo si compone di tre termini, il primo de' quali contiene il secondo, che contiene il terzo termine. Dunque esso suppone già che i tre termini siano distinti, e che nel tempo stesso gli uni sian contenuti negli altri; dunque suppone i suoi termini gli uni negli altri, e gli uni fuori degli altri. Così il sillogismo si trova esposto, per la sua stessa costituzione, alle inconseguenze dell'identità e a quelle dell'equazione. Si propone di dedurre una cosa dall'altra, e accettando la distinzione delle cose non si può nulla dedurre, siamo nella necessità di dover ottare tra la differenza dei termini e la loro identificazione. Se A è fuori di B, e B fuori di C, non dite che v'ha un rapporto fra i termini, non dite che si uniscano nella conseguenza. Che se A è in B, e B in C, i tre termini non sono distinti, sono un termine solo, havvi identità; il sillogismo è impossibile. Passiamo oltre. Chi dà i termini al sillogismo? la natura. Chi li dispone? ancora la natura, che unisce a due a due i termini per formare le proposizioni delle premesse. Quando si dice il peso è materiale, la pietra pesa, dunque la pietra è materiale; le premesse dinanzi alla logica sono affatto arbitrarie; tra il peso e la materia, tra la pietra e il peso non havvi identità, nè eguaglianza, nè deduzione. La necessità matematica del sillogismo si trova solo nella conclusione, e questa necessità non si fonda se non sul capriccio della natura, la quale suggerisce le due premesse; con altre parole, non si fonda se non sulla materia della logica. Il sillogismo è dunque sottoposto a tutti i dilemmi della natura. Cieco sul proprio punto di partenza, può venire soggiogato da tutti i contrari, può essere dominato dall'identità, dalla differenza, dall'eguaglianza e dall'ineguaglianza, dalla sostanza e dalla qualità, dal bene e dal male; esso deduce egualmente la verità e l'errore, ed è l'istrumento naturale di tutte le interversioni possibili. Il sillogismo parte dalle nozioni più astratte per giungere alle più concrete: la più alta di tutte le astrazioni è quella dell'essere; è sempre combattuta dalla nozione opposta del non-essere; dunque, parallelo ad ogni sillogismo affermativo, potrà sempre svilupparsi un sillogismo negativo; dunque il sì ed il no stanno rinchiusi nella forma stessa del sillogismo. Lo ripeto: tutta la necessità del sillogismo sta nella conclusione; ma l'idea della necessità non può restare nella conclusione. Sotto l'impero della logica il sillogismo s'interverte e ritorna alle sue proprie premesse. Se la conclusione è eguale alle premesse, le premesse debbono essere eguali alla conclusione nei limiti in cui il contenente e il contenuto coincidono; dunque in ogni premessa i due termini debbono restare insieme per una necessità eguale ed identica alla necessità che collega i due termini della conclusione. In questo moto regressivo la conclusione necessaria distrugge le premesse arbitrarie. Il sillogismo vuole dunque che si dimostrino le sue proprie premesse; e qui la contraddizione interiore del sillogismo si svela in tutta la sua forza. Che cosa è la premessa? È una proposizione generale. Ora, se non è dimostrata, è arbitraria; se è dimostrata, bisogna supporre sempre un sillogismo anteriore al sillogismo: eccoci indotti al dilemma di una premessa arbitraria o di un regresso all'infinito. Del resto, anche circoscrivendoci nella sfera dell'esperienza, la premessa suppone l'impossibile, perchè la proposizione generale suppone l'induzione, e l'induzione non si accerta se non osservando tutti gli individui, perlochè il sillogismo ci costringe al percursus rerum naturae, all'impossibile. Il vizio del sillogismo è sì evidente, che Aristotele, suo primo legislatore, alla teoria del sillogismo aggiungeva la teoria della dimostrazione. Secondo Aristotele, la deduzione non è valida se non fondata su principj veri, primitivi, notorj, anteriori alla conclusione, e causa della conclusione stessa. Ciò posto, non havvi dubbio che il sillogismo diventi interamente necessario; ma qui non è più il sillogismo, è la stessa verità, è una filosofia che determina i principj primitivi, veri, notorj. Qui il sillogismo suppone già scoperti i principj anteriori alla conclusione, e causa della stessa conclusione; il che torna a dire, che qui esso suppone già chiuso per sempre il circolo di tutte le interversioni, e quindi sciolti per sempre tutti i dilemmi della natura. - Continuando a spiegare l'essenza del sillogismo dimostrativo, Aristotele dichiara che le premesse devono essere necessarie, essenziali, universali e generiche: non v'ha dubbio che, scoperta una volta l'universalità, la necessità e l'essenza, si domina l'universo. Ma dove prendere l'universalità, la necessità, l'essenza? non sono esse straniere al sillogismo? In sentenza d'Aristotele il termine medio per dimostrare dev'essere causa: d'accordo; se voi avete la causa, avete l'effetto: dov'è dunque la causa? Supponiamola trovata. La causa è generatrice, fluente; si áltera, e implica contraddizione; la causa è una potenza, e quindi contiene in sè i contrari, contiene ciò che può diventare e non diventare, ciò che può affermarsi e negarsi, essere e non essere. Se spetta alla causa a generare, a dimostrare, a creare la conclusione; se dipende dal termine medio della causa, tutta la forza del sillogismo, non è più il sillogismo che dimostra, è la realtà vivente delle cose che dà la conclusione. Per sè il sillogismo resta straniero al processo dimostrativo, e si riduce ad una mera estimazione di vuote grandezze. La dimostrazione della causa crea, passa dal padre al figlio, dal germe al frutto; la dimostrazione del sillogismo passa dal contenente al contenuto, dal più grande al più piccolo, dal tutto alla parte; i quali rapporti sono violati nella generazione, in cui il tutto è più grande della parte, il contenuto oltrepassa la natura del contenente, e le leggi della quantità aritmetica sono di continuo falsate. Dunque da una parte Aristotele è il legislatore del sillogismo matematico, e in presenza del sillogismo matematico, tutto è impossibile; il diventare è un assurdo, l'alterazione non può essere. D'altra parte, Aristotele è il legislatore dalla dimostrazione, dove tutto dipende dalla causa, dall'alterazione, dal diventare; dove tutto è possibile, tutto è vero. Da una parte basta al termine medio essere una grandezza contenuta dal gran termine, e contenente il piccolo termine. D'altra parte, il termine medio dev'essere una causa, generare e creare realmente la conclusione. Così Aristotele ha dato due teorie distinte, l'una logica, l'altra naturale; l'una rappresenta la forma, l'altra la materia della logica; e le due teorie si escludono e si contraddicono su tutti i punti, perchè condannate a riprodurre la lotta che sussiste tra la forma e la materia della logica.
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