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Giuseppe Ferrari
Filosofia della rivoluzione

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  • PARTE PRIMA   CRITICA DELL'EVIDENZA
    • SEZIONE QUINTA   LA LOGICA
      • Capitolo VI   L'IMPOSSIBILITÀ DI OLTREPASSARE LA CONTRADDIZIONE
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Capitolo VI

 

L'IMPOSSIBILITÀ DI OLTREPASSARE

LA CONTRADDIZIONE

 

La filosofia riconobbe in ogni tempo la necessità di ammettere alcune contraddizioni, onde poi vincere le altre oltrepassandole. Dopo Kant sperasi di scoprire il vero per la forza stessa dell'assurdo; il concetto di oltrepassare la contraddizione preme le scuole della Germania, e l'ultima di esse, quella di Hegel, è lo sforzo più grande per domare ogni dilemma col disprezzo anticipato della logica.

Non ci è dato di penetrare al di là della contraddizione, e ogni tentativo su questa via incontrerà sempre due ostacoli insuperabili. Dapprima il punto di partenza sarà arbitrario, in eterno. Quando la logica è soppressa, l'uomo trovasi solo nella varietà delle cose e delle idee: come dunque scegliere un punto di partenza? Coll'ipotesi. Che l'ipotesi sia una storia sacra come quella del peccato di Adamo, che sia figlia di un'estasi, che si riduca ad una nozione dialettica, quale sarebbe la compenetrazione dell'essere col non-essere; l'origine, il punto di partenza sarà sempre arbitrario, e quindi si progredirà senza direzione. La filosofia si ridurrà ad un gioco più o meno ingegnoso e terribile, in cui la vittoria resterà, non alla verità, ma al più forte, voglio dire a colui che avrà sorpassato gli altri nella potenza di affascinare col misticismo o d'intervertire ogni concetto per mezzo della dialettica.

In secondo luogo, lo sviluppo della filosofia, della contraddizione sarà arbitrario come il punto di partenza. Tolta la logica, non abbiamo più guida, non havvi più processo, nè progresso; si erra a caso; il freno stesso dell'impossibile scompare; quindi la filosofia della contraddizione sarà grande a forza di assurdità, camminerà sfrontatamente colle religioni, o colla fede, o coll'estasi, o con una dialettica di sua invenzione, senza che regola alcuna possa governarla. Non potrà nemmeno dirsi che la filosofia della contraddizione si sviluppi; sarà obbligata di ricominciare di continuo il suo lavoro: arbitraria nel punto di partenza, lo sarà altresì in ogni suo punto, sempre strascinata dal capriccio delle analogie.

I due vizi del punto di partenza e dello sviluppo rinvengonsi nella filosofia di Hegel, benchè mascherati con maravigliosa destrezza. Hegel vide che la filosofia non poteva progredire se non identificava la logica colla materia della logica, se l'istrumento che giudica non si compenentrava colla cosa giudicata. Egli intese, d'altronde, che questa compcnetrazione doveva invadere l'universo, perchè se limitata, la scienza era vinta, l'istromento si separava dalla natura, e ogni vero conquistato poteva vedersi intervertito. Il sillogismo hegeliano identifica dunque la natura e la logica, compenetra it movimento logico col materiale; vuol conoscere e fare nel tempo stesso tutto quanto esiste: svolgesi colla forza stessa dei contrari, afferma e invoca la loro ripulsione reciproca. Il suo primo termine è una tesi, e questa tesi ci conduce fatalmente all'antitesi che vien concepita nello stesso momento. Il finito e l'infinito, la causa e l'effetto, la luce e le tenebre, tutti i contrari non sono essi indivisibili, correlativi, simultanei? Dunque stabilito un termine, Hegel passa al termine opposto, che lo nega, vi passa fatalmente la contraddizione trovasi organizzata, l'antitesi distrugge la tesi. Collo stabilire l'infinito, si concepisce il finito, si passa al finito, e il finito nega l'infinito. Giunto all'antitesi, Hegel nega l'antitesi stessa, nega la negazione, e ristabilisce così il primo termine, che non è più il primo, ma bensì il primo modificato, il primo in azione, il primo operante; in una parola, il termine in cui il sillogismo e la materia del sillogismo, sempre identificati, creano un nuovo oggetto. Tale è il processo dell'hegelismo.

Hegel prende il punto di partenza nella nozione più evidente e più primitiva, quella dell'essere; e sembra difatto, che non si possa accusarlo di partire da una ipotesi arbitraria. Hegel stabilisce a primo termine del suo sillogismo l'essere, passa fatalmente al non-essere il quale concepito nel medesimo tempo che l'essere, ne è l'antitesi naturale. Poi nega l'antitesi, dicendo: il non-essere non esiste. Ora, se il non-essere non esiste, che ne risulta? ne risulta l'essere il primo termine, ma l'essere modificato, dice Hegel, dalla negazione del non-essere, e quindi l'essere non assoluto, non vuoto, che fu distrutto dal non-essere, ma l'essere che diventa, il diventare. Il diventare, alla sua volta ci conduce all'antitesi; è la qualità che, negata dalla diversità, riproduce il diventare modificato, e trasformato in un nuovo termine, l'essere limitato. Così, partendo dall'essere con una serie di trinità che si concatenano, Hegel spiega la natura, l'uomo, la storia, Dio; per lui l'universo non ha secreto alcuno; egli sa perchè la terra gira intorno al sole, perchè gli esseri organizzati si succedono gli uni agli altri nella storia del globo. Nulla sfugge al suo sillogismo hegeliano.

I due inconvenienti della filosofia della contraddizione si manifestano patentemente nell'hegelianismo. Il suo punto di partenza è arbitrario, il suo sviluppo non è uno sviluppo.

Il sillogismo hegeliano stabilisce una tesi, e passa ad una tesi opposta e fin qui la logica non è punto oltrepassata, essa trionfa; Hegel ne accetta la critica, e mostra che tutto è contraddittorio, che le nozioni si presentano per dilemmi, e che ogni cosa trovasi avvolta ne' contrari. Qual'è il momento in cui il sillogismo di Hegel oltrepassa la logica e crea una filosofia della contraddizione? è il momento del terzo termine, quando negasi l'antitesi per ristabilire la tesi modificata. Ma negando l'antitesi devesi ritornare alla tesi pura e semplice, e per conseguenza al primo termine del sillogismo, senza che un nuovo essere possa sorgere dal conflitto della tesi e dell'antitesi. Stabilite voi l'essere? Sia; l'essere è dato; l'antitesi del non-essere si presenta immediata, la contraddizione sorge figlia della natura. Hegel la prova colla forza della logica, e in ciò egli resta sotto l'impero della maniera abituale di ragionare. Hegel non vi si sottrae se non negando il non-essere. Ora, quando la filosofia di Elea ha negato il non-essere, fu dichiarato esservi un solo ente, il tutto formare una sola cosa; il primo termine del sillogismo hegeliano ha dovuto restar solo. Hegel, deducendo dalla negazione del non-essere il diventare, aggiunge artificialmente un nuovo termine a due termini che non lo contengono. Il diventare non è l'essere, nè il non-essere, nè la loro sintesi; le nozioni logiche dell'essere e del non-essere si limitano ad accusarlo di contraddizione. Nel tempo stesso il diventare si distingue talmente da questa contraddizione, che ne rimane separato per sempre, com'è separato dalle qualità, dal limite, dal tempo, dallo spazio e da tutti gli altri fenomeni. Il sillogismo hegeliano mette in evidenza una contraddizione, e quando vuole oltrepassarla negando la negazione, si riduce ad un movimento artificiale, a una astuta disposizione di termini, in cui il terzo termine sembra generato, e in cui la generazione è interamente arbitraria.

Un hegeliano dirà: «Non sono io, è la natura che inventa l'artifizio e che oltrepassa la contraddizione. Potete voi negarmi il fatto del diventare? potete voi negarmi la contraddizione del diventare? I termini di questa contraddizione non sono essi l'essere e il non-essere? il non-essere non contiene egli la sua propria negazione? Confessate dunque che il diventare è la sintesi dell'essere e del non-essere; riconoscete il fatto della natura, che si sviluppa oltrepassando la contraddizione.» Io accordo l'artifizio della natura, e nego l'artifizio hegeliano. La natura si manifesta coi fenomeni; ogni fenomeno sotto l'impero della critica è in contraddizione con sè stesso e cogli altri fenomeni. Quando ho scoperto: 1° il fenomeno, 2° le sue contraddizioni, tutto è scoperto, e le contraddizioni, conducono a dilemmi, in cui il sì e il no restano eternamente immutabili. Ecco l'artifizio della natura. Quello di Hegel consiste nel combinare, nel concatenare le contraddizioni; crea un processo fantastico per forzarle a spiegare i fenomeni creandoli. Qui tutto è inventato, tutto fittizio. Io non so se fra le contraddizioni che si svolgono intorno al diventare debba scegliere quella dell'essere e del non-essere, piuttosto che quella del limite e della qualità, o della qualità e della sostanza, o dell'uno e del multiplo; tutte contraddizioni egualmente distinte e separate dal diventare. Io non so se l'essere e il non-essere si combinano realmente nel diventare, se lo creano per un miracolo, o se, al contrario, è il diventare che crea questo miracolo dell'essere e del non-essere nel mio intelletto. D'altra parte, io so che, negando il non-essere, resta solo l'essere, come negando l'essere resta solo il non essere. La contraddizione dialettica trovasi nell'essere, che rende impossibile il non-essere, il diventare e tutti i fenomeni: la contraddizione trovasi nel non-essere, che rende impossibile il diventare e tutta la natura: la contraddizione trovasi nel diventare, che mente all'essere, al non-essere, come alla sostanza, alla qualità, al limite, a tutto. Il sillogismo hegeliano non concatena mai le contraddizioni, non contiene mai la ragione che suggerisce la scelta de' suoi termini; la sua negazione della negazione deve farlo retrocedere all'affermazione primitiva. Quando Hegel dice che la sintesi è l'affermazione prima modificata, dice, in sostanza, ch'essa è la stessa senz'essere la stessa, che le rassomiglia e che ne differisce; l'incertezza di questo ritorno equivoco, lungi dall'oltrepassare la contraddizione, la conferma, benchè apra l'adito a mille analogie artificiali ed arbitrarie. Se credete alla logica, la prima metà del sillogismo hegeliano è vera, l'essere si concepisce col non-essere, che lo distrugge; e accettata la logica, essa vi condanna a rifiutare come spuria e fantastica la seconda metà del sillogismo, dove il primo termine è lo stesso e non è lo stesso; e dove la contraddizione che annienta due contrari, crea per un miracolo d'inconseguenza, una nuova affermazione. Se non credete alla logica, potete accettare la seconda metà del sillogismo hegeliano, ammettere clic la sua conclusione è il primo termine identico e non identico; vi è permesso di dire che l'annientamento reciproco di due contrari crea un nuovo fenomeno: sciolto da ogni dovere verso la logica, siete assolutamente libero; ma in tal caso la prima metà del sillogismo è stravagante e insensata, per ciò stesso che trovasi rigorosamente dettata dalla logica, che ne esprime il più rigoroso risultato.

Si dirà ancora: «La natura cambia; non potete impugnare che il cambiamento si attua negando uno stato anteriore, e che una serie di cambiamenti si traduce in una serie di negazioni, le quali si negano successivamente fra loro. Ma che fate voi quando negate una negazione? Ristabilite l'affermazione primitiva, il fatto primordiale, che troverete modificato perchè la natura cambia. Dunque la natura cambia, essa stabilisce un primo termine; cambia ancora; seguitela, la vedrete negare il secondo termine; accade un terzo cambiamento; seguite sempre la natura, essa ha negato la negazione anteriore; dunque dovete cercare e scoprire nel terzo cambiamento le traccie dell'affermazione primitiva. Questo è il movimento della natura, questo è il processo del sillogismo hegeliano.» La distanza è grande tra la negazione dialettica e la negazione positiva. La prima è una contraddizione pura e semplice; il sì e il no si stabiliscono e restano eternamente, quindi la negazione dialettica è sterile, è il non-essere che si oppone all'essere, il finito che si oppone all'infinito, la libertà che si oppone alla fatalità. Negando la negazione dialettica, si ristabilisce l'affermazione; negando il non-essere, si ristabilisce l'essere; sopprimendo il finito, resta l'infinito; togliendo il non-uomo ritorna l'uomo. Nulla di più naturale; soppresso l'uno de' termini di un dilemma, l'altro trionfa. Al contrario, la negazione positiva stabilisce una cosa nuova; non è più una mera negazione, nega una cosa sostituendole un'altra. La negazione positiva oppone al feto il neonato, al neonato il fanciullo, al fanciullo l'adolescente, all'uomo il cadavere, al cadavere la cenere del sepolcro. Qui la negazione della negazione non ritorna mai al punto di partenza. Direte che la cenere d'un sepolcro è l'uomo ristabilito e modificato? direte che l'uomo è il feto ristabilito e modificato? Sarebbe far giuoco di parole, e dare in vuoti sofismi. Dunque il sillogismo hegeliano si sviluppa in aria, e la natura si sviluppa coi fatti; il sillogismo hegeliano è metafisico, e la natura è fisica: il sillogismo hegeliano opera sul vuoto, sulla negazione delle antitesi; la natura opera sulle realtà, emettendo tesi sempre nuove, voglio dire creando esseri sempre nuovi.

Il sillogismo hegeliano ha il solo merito di svelare la contraddizione dialettica. In sentenza dialettica, la contraddizione incede a testa alta nella natura: Hegel ed egli disdegna, degrada la logica, la condanna a strisciare per terra dal simile al simile. Tratta dal sillogismo della natura, la logica è ridotta a scorrere sul piano inclinato di ogni tesi; arrestata dall'urto dell'antitesi, deve scorrer di nuovo sul nuovo termine. Il sillogismo della natura la sospinge sulle sue linee traversali; essa perviene, senza saperlo, attraverso al sì e al no, a sintesi inaspettate, emergenti da contraddizioni incessanti. L'artifizio del sillogismo hegeliano finisce adunque per disconoscere il diritto della logica e l'universalità della critica. La logica non si lascia degradare dal sillogismo hegeliano; tocca ad essa il dominarlo, il degradarlo: nel sillogismo hegeliano vi è un primo, un secondo e un terzo termine; nella logica non havvi ne primo, nè ultimo; tutti I termini sono eguali: nel sillogismo hegeliano havvi una affermazione ed una negazione, una tesi ed un'antitesi; dinanzi alla logica non havvi negazione nè affermazione, nè tesi nè antitesi, perchè a vicenda la negazione ha diritto di figurare come affermazione, l'antitesi come tesi. Nel sillogismo hegeliano vi ha processus, progresso e creazione; e la logica gli oppone il regresso, la decadenza e l'annientamento: dinanzi ad essa nessun principio, nessun progresso, nessun metodo. Hegel ha disconosciuta la logica, e la logica intervertirà l'hegelianismo.

Nel fatto l'hegelianismo è arbitrario nel punto di partenza. Il sillogismo hegelianodeve cominciare da una tesi: dove la prenderà? quale principio sceglierà? Le tenebre o la luce, il freddo o il caldo? Hegel sceglie l'essere. Perchè incominciare dall'antitesi dell'essere e del non-essere, invece di scegliere quella del bene e del male? L'essere, si dirà, è la nozione più semplice: rispondo, ch'essa è altresì la nozione più vuota. Voi supponete che la natura passi dal meno al più, dall'imperfetto al perfetto, dalla potenza all'atto, dall'uovo alla gallina: mi è permesso di pensare che la natura passi dalla gallina all'uovo, dall'atto alla potenza, dal perfetto all'imperfetto, dal più al meno. In questo caso il punto di partenza sarebbe l'essere il più perfetto, una natura edenica, da cui il mondo attuale deriverebbe per una degenerazione successiva che potrebbe continuare all'infinito, e riuscire con la perdita delle sue qualità alla semplice esistenza, al solo essere, ad una mera possibilità. Non opponetemi i progressi del globo, la testimonianza della geologia, e quella della storia naturale, la serie degli animali che s'innalzano di grado in grado per riuscire all'uomo. Non mi si opponga il progresso della storia umana, che passa dallo stato selvaggio ad un incivilimento senza limite assegnabile. La questione non è questa; non si tratta di alcuni fatti oscuri, equivoci, confinati in un angolo dell'universo, nel nostro misero pianeta; la questione hegeliana è metafisica, incomincia prima dell'origine del globo, prima della materia, nel seno dell'eternità; non finisce colla terra, e oltrepassa ogni previsione possibile. Noi siamo in presenza dell'immensità, dell'ignoto; il regresso è possibile come il progresso. Se la terra non è antica potrà invecchiare, deve raffreddarsi; la fisica può predire il giorno in cui sarà rappresa del gelo della morte; si può supporre che gli astri si spegneranno, si deve supporlo. Perchè dunque scegliere il punto di partenza nell'essere eguale al nulla, piuttosto che in una natura perfetta? perchè supporci figli d'un progresso continuo, mentre forse siamo figli d'una degenerazione, d'una decadenza progressiva che condurrà la natura all'essere indeterminato eguale al nulla? Gli antichi partivano dal perfetto per giungere all'imperfetto: interprete di un sentimento moderno, Hegel parte dall'imperfetto per arrivare al perfetto; gli antichi sacrificavano l'uomo alla natura, i moderni sacrificano la natura all'uomo; il dogma del progresso si è sostituito al dogma della caduta; il nostro dogma è più utile, più morale, più umano. Ma l'interesse dell'uomo è egli l'interesse della natura? Ecco la questione.

Arbitrario nel punto di partenza, l'hegelianismo deve esserlo nel suo sviluppo. Ad ogni istante Hegel deve creare un terzo termine, che rappresenti la trasfigurazione della tesi negata dalla sua antitesi; mai non prosegue il suo lavoro, ma lo ricomincia incessantemente. Tutto il sistema consiste in una grande trinità, in un immenso sillogismo: nel primo termine vien posto l'essere metafisico; nel secondo, l'essere opponendosi a sè stesso, cioè la materia e tutte le sue leggi; finalmente, la negazione della negazione conduce all'uomo, in cui l'essere (o Dio) finisce per acquistare la coscienza di sè stesso. I progressi di questa coscienza sono quelli della storia, che s'incorona collo stesso hegelianismo, il quale dà all'uomo la coscienza d'esser Dio. Il sublime e l'avventato s'intramettono così nella conclusione: il sublime è la religione dell'umanità, l'avventato è la deificazione dell'uomo: forse v'ha alcun che di vero, e certo un grand'atto di fede; ma questo vero è l'ignoto, la fede si perde nel nulla. Tutto il sistema forma adunque un unico sillogismo, che si prova colla sintesi dei contrari, e in cui la conclusione è ignota: qual'è adunque il risultato dello hegelianismo? la sintesi dei contrari, cioè la contraddizione universale, e la conclusione nell'ignoto, cioè l'assenza del vero.

Niun filosofo, tra i moderni, ha eguagliato il genio di Hegel; niuno è stato di lui più ardito, più preciso, più infaticabile nella invenzione metafisica: siamo presi d'ammirazione nel considerare questo uomo, che, senza ristarsi mai, si apre la via a traverso l'impossibile; egli è sempre solo, ed esce sempre grande da una lotta disperata; egli è sempre vittorioso tanto da renderci attoniti. Pure la forza dell'hegelianismo sta tutta non nella metafisica, ma nell'interpretazione della storia. Quando Hegel cerca il sillogismo del moto della terra o l'antitesi che crea i minerali, il suo procedere è sofistico, e qualche volta puerile; ma quando spiega Socrate, il Cristo, la riforma di Lutero, la rivoluzione di Francia, allora sale a grandezza sublime. Ma d'onde questa grandezza? Non dal sillogismo hegeliano, non dall'arte di oltrepassare le contraddizioni dialettiche, ma dalle contraddizioni positive. Per esse la natura si sviluppa, il pensiero si estende, il vero trionfa del falso; per esse non havvi sintesi, non ritorno a una tesi precedentemente negata; havvi solo la cieca necessità, la quale sacrifica il debole al forte; e poco importa che ciò venga dalla forza della pietra, della spada, o del pensiero trionfante per mezzo degli uomini o dei popoli.

Su questo campo Hegel non è più metafisico, è fisico, storico; segue l'evidenza; il suo sillogismo, lungi dal soccorrerlo, lo imbarazza, lo svia, è la fonte prima di tutti i suoi errori nella filosofia della storia. Gli fa separare i momenti del pensiero secondo il caso dei continenti, delle guerre, delle razze, dei fortuiti eventi, gli fa sostituire cavillosi concetti alle transizioni che gli mancano. La logica opprime il titano che la vuoi vinta.

Se adunque una filosofia, stando alla logica, è cosa impossibile, la filosofia, in onta alla logica, è impresa insensata; il pensiero non potrà mai svincolarsi dalla contraddizione che scaturisce sotto il peso della ragione.





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