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Giuseppe Ferrari Filosofia della rivoluzione IntraText CT - Lettura del testo |
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Capitolo IX
LE LEGGI DELLA MATERIA
La rivelazione materiale è tripla, meccanica, molecolare e organica: vi hanno dunque tre classi di leggi, le une meccaniche, le altre molecolari, le ultime organiche. Il movimento scientifico si concentra nel meccanismo, si attiene alle leggi meccaniche dei corpi. Se le proprietà molecolari e organiche sono nel loro manifestarsi molecolari e organiche, nondimeno nella loro azione relativamente a noi non sono se non forze, nè si misurano che colle leggi della forza e del moto meccanico. Nel fatto tutte le forze producono finalmente lo stesso effetto: il moto; sono equivalenti, subiscono la stessa misura; la forza del bue e quella del pensiero si valutano egualmente dalle quantità che materialmente spostano. La mente di Socrate fu grande perchè dominò gli uomini e le cose e trasmise un impulso, il cui moto materiale si è propagato di generazione in generazione, da Platone fino a Cristo, e da Cristo fino a' nostri tempi. La psicologia verificherà la natura della forza di Socrate, solo la meccanica ne verifica l'azione. In generale, le leggi molecolari e le leggi organiche, appena qualificate dalle scienze naturali, sono analizzate, esaminate, cadendo sotto il dominio della meccanica. Siamo già meccanici dal momento in cui incominciamo a verificare una legge molecolare o organica. Tal legge non è se non la manifestazione, l'evoluzione di una forza inerente ad un corpo: noi la seguiamo dividendola in più fasi o momenti: noi enumeriamo le sue trasformazioni, non vogliamo confonderle; servi dell'apparenza, vogliamo che l'una faccia luogo all'altra, e sia esclusa dall'altra. Ma chi verifica i diversi momenti della forza che si manifesta? chi li distingue gli uni dagli altri? Si è la logica, soggiogata dalla rivelazione, incatenata al fatto, che distingue l'ossigeno dall'ossido, la ghianda dalla quercia, il feto dal fanciullo. La logica distingue una evoluzione, considerata nella sua totalità, da tutte le altre evoluzioni; essa vieta di affermare un'altra evoluzione, là dove si manifesta quella dell'ossigeno, della ghianda o del feto. Questa distinzione è assolutamente meccanica, tutta esterna; nega la ghianda quando appare la quercia, nega il feto quando appare il fanciullo, nega un oggetto quando fa luogo ad altro oggetto; annienta una qualità perchè l'altra possa sorgere. Dunque l'evoluzione molecolare e organica si attua dominando la logica, e nella logica diviene ad ogni istante una questione di essere e di non-essere che si alternano, questione essenzialmente meccanica. Non si può scioglierla, senza invocare la quantità, il numero, la misura; se il naturalista descrive l'evoluzione di un genere, deve dire il tempo necessario al germogliare, il frutto che produce; deve contare, pesare, misurare i frutti: senza la misura tutto è incommensurato, e l'incommensurato è l'indeterminato, il caos. Le dimostrazioni dei chimici e dei naturalisti sono affatto meccaniche. Dimostrare, servirsi del sillogismo, è un mostrare che il contenuto trovasi nel contenente; togliete la necessità de continente et contento, necessità che afferra le cose, considerandole sotto l'aspetto della grandezza, il sillogismo non ha più senso, non dà dimostrazione. Così il chimico quando osserva una sostanza, è chimico; quando dichiara ciò che essa è, la classifica, la trasporta in un dato genere, è un vero meccanico. Il naturalista è naturalista finchè descrive. Classifica egli gli oggetti? li dispone egli in una data serie di generi? Allora decide qual'è il genere più vasto, quale il meno vasto, e la meccanica scioglie il problema. Il politico che ci pone in una data classe di cittadini, il giudice che ci dichiara condannati dalla legge, trovansi nel caso del chimico e del naturalista. Poco importa che i generi siano oggetti immateriali, che siano intelligibili, essi sono grandezze, le classi si determinano secondo la gradazione delle grandezze: esse guidano il sillogismo per la necessità che fa contenere o escludere una cosa dall'altra in forza della proporzione delle grandezze; la dimostrazione è dunque meccanica. Quanto più una scienza si concentra sulle grandezze o sulle quantità, tanto più s'avvicina alla esattezza desiderata dalla scienza. La astronomia non considera gli astri come tante quantità di una materia sconosciuta; non pensa alla materia, pensa alle masse, al volume, al moto degli astri e dei pianeti. Essa è una meccanica celeste, un portento d'esattezza. La meccanica propriamente detta non considera se non le masse e i moti, sta fedele al suo dato; e quindi si svolge coll'equazione e col sillogismo. Havvi una scienza della luce, perchè la luce si misura come il moto: havvi una scienza del calore, perchè il calore si move come la luce. Da ultimo, noi scopriamo una scienza in cui la materia viene affatto dimenticata, e si valutano le sole quantità sia nel numero, sia nell'estensione; ed è questa l'unica scienza che meriti tal nome, voglio dire la matematica. La scienza della natura non si è svincolata dalla metafisica se non da qualche secolo; la scienza e la metafisica stavano talmente intrecciate, che la storia della scienza leggesi in quella della metafisica. Il deismo fu l'ultima schiavitù subita dalle scienze naturali: quando si videro i numeri, gli atomi, i semi impotenti a rivelare la sognata equazione dell'universo, quando poi fu posto in Dio il primo principio di quanto appare, fu data un'intenzione ad ogni evento, un pensiero ad ogni cosa, e fu stabilito un infinito errore, di cui le traccie restano oggi nello stesso ateismo. Di là il pregiudizio de' naturalisti che deificano la natura, da Vanini chiamata regina e dea dei mortali: anche dopo riconosciuta la non esistenza di un Dio re dell'universo, venne supposta al mondo un'intenzione, quasi avesse un anima, o fossero noti i suoi pensieri, o fosse noto il fine della natura. Quindi disconosciuta la guerra universale degli esseri, le stragi della natura, che viene osservata col proposito deliberato di non vederne il male, di non conoscerne se non il bene, di trasportare i nostri miseri concetti al creato intero, e di volerlo tutto inteso alla nostra felicità. Quindi l'ipotesi delle scempie finalità supposte negli esseri ad ogni incontro fortuito o misterioso, sempre spiegato coi nostri pregiudizi, dimenticandosi che l'aria è creata per noi, quanto noi per l'aria; il maschio per la femmina, quanto la femmina per il maschio, l'uomo per la terra, quanto la terra per l'uomo; le fiere per divorarci, quanto noi per distruggerle: chè non havvi dato, non indizio, non sintomo alcuno per isvolgere gli esseri piuttosto in una serie progressiva, che in una serie retrograda o circolare. Quindi l'ipotesi iperbolica che suppone nell'universo un progresso continuo, che attribuisce agli esseri viventi il destino di migliorarsi e di far migliore l'ambiente in cui vivono, a tutte le anime una risurrezione, forse una trasmigrazione nei diversi astri, quasi che gli astri dovessero profittare di ogni scossa, di ogni rivoluzione compiuta in una piazza di Roma, di Parigi o di Londra. La metafisica prolunga la sua agonia avviticchiata alle incertezze della geologia e dell'anatomia comparata, ostinandosi a contrafare la religione, a crearsi un suo paradiso astratto, e ad attribuire all'impassibile destino, all'inerte alternarsi dell'essere e del non-essere le speranze, i timori e le passioni del genere umano. Più circospetta, e non più saggia, un'altra metafisica si restringe ad annunziarci che le leggi dell'universo sono costanti, uniformi: che la costanza, l'uniformità delle leggi mondiali viene assicurata dallo spazio, dal tempo, dalla sostanza, dalla causa, dall'essere che dominano gli oggetti e che non cambiano. Ma l'unità dell'essere, le forze della sostanza, della causa, dello spazio, del tempo, stanno egualmente coll'ordine e col disordine, col progresso e col regresso dell'universo; sono condizioni di quanto esiste, e non sono nulla. contengono tutto, e non impongono ad alcun essere di restare quello che è. La terra che abitiamo non sorge da queste entità generiche, il globo non è figlio dell'essere più di quello che le acque siano figlie dell'acqua. Il governo poi della terra spetta alle anime; esse ordinano le pietre, i fiori, gli animali; esse dominano la materia, da cui non sono separate, perchè la forza non si separa mai dal corpo. Ma anche le anime nella loro corsa a traverso l'eternità, uscendo le une dalle altre col progresso e col fato della guerra, non sono ancora se non la natura, sono ancora cieche e ignoranti del destino che le spinge, della sorte che le attende. Non si pensi che ogni essere debba compiere il suo destino: intorno ad ogni albero hannovi miriadi di semi e di germi sacrificati per nudrirlo; intorno ad ogni animale mille e mille esseri periscono perchè viva; nella natura l'essere che compie il suo destino gode di un fortunatissimo privilegio. A che tante declamazioni sul destino dell'umanità, quando ignoriamo i dati, l'ordine, lo scopo, in una parola, il bilancio dello spaventevole sacrificio che si attua di continuo nel vasto oceano della creazione? Lo stesso concetto del destino è travisato se lo prendiamo a nostro profitto: il destino si compie in due sensi opposti, servendo a sè, servendo ad altri, godendo e soffrendo. Spiegate qual'è il destino dell'agnello, vi spiegherò qual sia il vostro; e vedrete forse uscire dall'esterminio dell'umanità immolata il progresso della terra concessa ad una razza migliore. Finalmente, a che si riducono l'uniformità e la costanza delle leggi in mezzo alla metamorfosi della natura? Alla nostra ignoranza; quanto più ci illuminiamo, tanto più la costanza delle leggi mondiali è scossa, e scorgiamo che un fluido alterato può cambiare la faccia dell'universo. Accettiamo dunque l'uniformità e la costanza quali si rivelano, nè cerchiamo nei generi una fatalità che le corrobori, poichè non havvi equazione tra la sostanza e la costanza dell'universo; i due termini esprimono solo la necessità del contenente e del contenuto, e per una nuova rivelazione potrebbe sparire questa stessa necessità. Che se per eternare il mondo attuale si allega la prova della nostra convinzione istintiva, della fede naturale, della aspettativa ingenita e invincibile, che s'attende a veder perpetuate nell'avvenire le leggi presenti della materia: si ponga mente alla fede, alla sicurezza con cui vive ogni insetto dell'estate, senza sospettare il disastro che lo distruggerà nell'evoluzione dell'inverno. Lasciamo la natura alla natura.
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