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Giuseppe Ferrari
Filosofia della rivoluzione

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  • PARTE SECONDA   DELLA RIVELAZIONE NATURALE
    • SEZIONE PRIMA   LA RIVELAZIONE DEGLI ESSERI
      • Capitolo XI   GLI ELEMENTI DEL PENSIERO
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Capitolo XI

 

GLI ELEMENTI DEL PENSIERO

 

 

Gli elementi del pensiero corrispondono agli elementi degli oggetti; quanto appare nella natura, appare nell'intelletto; l'intelletto è lo specchio della natura; quanto trovasi nell'oggetto conosciuto, ritrovasi nella cognizione. Le cose della natura si dividono nelle due grandi classi degli individui e dei generi, hannovi dunque nel pensiero gli individui e i generi, cioè le senzazioni e le idee.

La percezione è captiva della cosa percetta, non è se non la cosa sotto la forma della sua propria affermazione; istessamente le idee sono captive dei generi, e non sono se non i generi sotto la forma della loro concezione in noi. Quindi hannovi idee in ogni percezione, come hannovi generi in ogni cosa percetta; quindi ogni percezione subisce le condizioni ideali dello spazio e del tempo, e trovasi contenuta negli stessi generi, che contengono l'oggetto che le corrisponde.

Si dimanda se le nostre idee sono innate o acquisite: questo è il problema capitale della psicologia. Tutte le idee sono acquisite, perchè tutte sono elementi della percezione necessariamente acquisita. La sensazione è acquisita, e non suppone in noi se non la facoltà di alterarsi, per sentire e percepire; anche le idee non suppongono in noi se non la facoltà di alterarsi per concepire e percepire i generi. Finchè noi percepiamo gli oggetti, le nostre idee sono frammiste alle percezioni; e per parlar con rigore, noi non abbiamo ancora un'idea; cioè una nozione non affermata, non negata, e semplicemente concetta; quando classifichiamo i generi, allora togliamo le idee dalle nostre proprie percezioni, allora si astrae, si analizza; e le idee sono acquisite, per la seconda volta, e stabilite come idee. Dunque le idee nella loro concezione primitiva sono acquisite, nella loro concezione astratta e scientifica sono ancora acquisite, e talmente acquisite, che abbisognano moltissime spiegazioni per insegnare ad un uomo rozzo l'idea dell'essere.

Il problema dell'origine delle idee fu mal inteso e male sciolto da una psicologia ancora signoreggiata dalla metafisica.

Platone suppone che le idee sono innate: perchè? Perchè le idee sono generali: non si può estrarle dagli individui: esse non si alterano, e gli individui si alterano; esse non periscono, e gli individui periscono. Dunque le idee non sono originate, non nascono, sono innate. Il ragionamento di Platone era rigoroso, esatto, pure diffidiamo di quest'esattezza; collo stesso procedere dimostrasi l'impossibilità di trasmettere le sensazioni, dimostrasi l'impossibilità di trasmettere il moto; qui l'origine delle idee vien negata insieme con tutte le origini, e la negazione si svolge in forza della critica. Non ci è dato di resisterle, convien cedere: non è assurdo il diventare? non è assurdo che l'intelletto acquisti un'idea che non ha? che sia alterato dalle idee trasmessegli dall'esperienza? Platone prendeva quest'assurdo per un problema, il problema era d'altronde letteralmente proposto dai sofisti. «Non s'impara», dicevano essi, «nè quanto si conosce perchè noto, nè quanto s'ignora perchè ignorato.» Platone rispondeva colle idee innate; alla contraddizione critica dei sofisti opponeva una scienza innata, la quale è una vera reminiscenza, per cui non impariamo nulla, e ci limitiamo a ricordarci le nostre proprie idee senza che alcuna di esse venga trasmessa dalla natura. Ma questa scienza innata non appare; prima d'aver veduta la luce, non si ha l'idea de' colori; se le idee fossero innate, se non avessero origine, non sarebbero esse sempre presenti alla nostra mente? La soluzione platonica abbisogna di una nuova soluzione; essa nega l'origine delle idee, e, giusta l'apparenza, le idee nascono: come possono nascere se sono innate? Le idee, replica Platone, sono latenti nell'intelletto, esse devono essere risvegliate in noi dal senso, dal discorso; la rivelazione esterna non le trasmette, ma ne provoca la manifestazione. Ecco le ipotesi moltiplicate: ad onta dell'apparenza, l'idea è innata, ad onta dell'apparenza, il sapere è ricordarsi, ad onta dell'apparenza, le cose non ci trasmettono le idee, ma le risvegliano in noi: sia pure, ammettiamo tutte le ipotesi per vincere la critica, che vieta alle cose diverse, individuali e variabili di diventare idee nel nostro intelletto, attraversando i sensi. Qual profitto trarremo noi dalla idea innata e latente? Essa appare all'occasione della sensazione, dunque subisce l'influenza della sensazione, dunque il passaggio dall'idea latente all'idea che appare non è logico, dunque è contraddittorio quanto l'origine delle idee. Trascuriamo quest'antinomia, ammettiamo la scienza innata e latente, avremo per conseguenza l'uniformità e l'unanimità della scienza presso tutti gli uomini: abbiamo noi tutti le stesse idee intorno al bene, al male, la giustizia, la politica e la religione? L'idea di Platone, presa fuori dell'apparenza, rimane fuori dell'apparenza, non ispiega la varietà delle opinioni, degli usi, dei costumi, delle leggi; la rende impossibile; non ispiega le nostre idee apparenti, le rende impossibili. Nè giova l'invettiva del filosofo contro le passioni accusate di travisare le idee di mostrarci il vero, il bello, il giusto, il bene là dove non sono, nel male, facendo per tal guisa variare i capricci degli uomini e de' popoli con un delirio multiforme. No; se il bello, il giusto, il bene sono idee, devono essere le stesse in tutti, devono mostrarsi identiche presso tutte le nazioni, devono rendere la ragione infallibile come l'istinto. Accusate voi le passioni di turbare le idee? perchè non accuseremo piuttosto la confusione, il disordine, il delirio delle idee innate, sempre vinte dagli accidenti esterni e dal variare della sensibilità? Se le idee sono sì deboli, se non possono fissarsi, se formano un vero caos, in cui il distinguere i generi spetta al senso, questo caos senza forma non è forse il difetto d'ogni idea?

Volendo rendere possibile il variare delle opinioni e l'insegnamento dell'esperienza, Aristotele negava la teoria della reminiscenza: mostrava ogni scienza acquisita, ogni idea trasmessa all'intelletto dalla sensazione, stabiliva l'assioma nihil in intellectu quod prius non fuerit in sensu. L'asserto non bastava, il peripatetismo procede per via di equazioni; conveniva dichiarare il processo con cui il genere, fatto eguale da Aristotele alla materia d'ogni oggetto, potesse, a traverso il senso, deporre un'idea nel nostro intelletto. D'indi il problema: in qual modo le idee possono derivare dalla sensazione? Il sistema peripatetico dà due risposte distinte. Giusta il trattato Dell'Anima, il senso non percepisce se non l'individuo, voglio dire l'essenza, fatta sensazione dalla materia, la quale è il genere d'Aristotele. Ora, se nel senso havvi solo l'individuo, l'intelletto non dedurrà alcuna idea generale dalla sensazione, la generalizzazione sarà impossibile, le idee saranno impossibili. Tale era la conseguenza rigorosa della metafisica peripatetica; per evitarla, Aristotele áltera il suo concetto, e alla fine degli Analitici Postremi formula la seconda risposta. «Gli individui», dice Aristotele, si succedono nella sensazione come i soldati nell'esercito; lasciano una traccia nell'intelletto attivo, e le idee escono dagli individui, praetereaque ex universali quiescente in animo.» Qual'è questo universale? qual'è l'azione dell'intelletto attivo? In qual modo l'intelletto passivo contiene l'universale?... Eccoci ritornati ad una idea innata, ad un platonismo confuso, voglio dire, ad una teoria la quale permette nuove fasi e nuova carriera ai discepoli di Platone. L'assioma nihil in intellectu quod prius non fuerit in sensu nel trattato Dell'Anima riusciva all'impossibile, negli Analitici Postremi veniva contradetto; in ogni modo rimaneva sterile sino alla fine del risorgimento.

La psicologia si rinnova con Descartes. Quando Descartes, staccato da ogni tradizione, da ogni autorità, solo colla sua mente, egli trasse da sè ogni scienza, accettò implicitamente le idee innate: senza analizzarle cedeva alla necessità logica, con cui rivelavansi nel ragionamento matematico; la chiara e distinta percezione accoglievale e santificavale rendendole inviolabili, a patto di generare logicamente ogni cosa, l'io e il non-io, l'uomo e la natura. Ma che può generare l'idea? nulla, tranne sè stessa; ponendo l'idea, si resta nell'idea; e procedendo logicamente, si rende assurdo ciò che non è l'idea. Ne consegue, che l'altissima equazione cartesiana, colla quale in Dio l'essere e l'apparire erano fatti eguali, non regge: conviene ottare tra l'idea dell'essere o l'essere stesso, che è genere. Quindi il cartesianismo sempre o confinato nell'idea o tolto all'idea, e confuso coll'essere (il genere), colla necessità di scegliere tra l'idea e il genere, colla necessità di prendere l'una o l'altro come principio primo, colla necessità di degradare, di menomare, di adeguare a zero il termine reietto. Degradando, menomando l'essere, il genere, si diminuisce la verità del mondo, che finisce a trovarsi negato; e resta l'io solo, sede dell'idea: degradando, menomando l'idea, si diminuisce la verità dell'idea, che finisce a trovarsi negata, e l'intelletto resta identificato col mondo, sede dell'essere, del genere. Da quest'alternativa scaturisce poi mediatamente la negazione della sensazione per l'idea o dell'individuo pel genere: chi ammetteva l'idea, non negava la natura? e negando la natura, non negava le proprie sensazioni? chi ammetteva il genere e l'essere o la sostanza universale, non negava l'io, e coll'io ogni individuo nella sua esistenza particolareggiata, opposta al genere? Così l'idea cartesiana (se non negata) metafisicando, negava la sensazione, e quanto corrisponde all'idea ed alla sensazione, non potendosi da essa transire logicamente ad altra nozione qualsivoglia.

La contraddizione tra l'idea ed ogni cosa era patente, matematica; Locke la prende per un errore personale di Descartes, e cerca un'uscita alla metafisica cartesiana, che trasportavasi tutta fuori dell'apparenza. D'onde veniva l'assurdo? dall'idea; Locke pensò di evitarlo, ponendo per primo principio la sensazione; così sottraevasi alla logica dell'idea, la lasciava trascorrere sola negli spazi imaginari dell'errore, credeva rimanersi nei fatti. Pure Locke seguiva lo stesso metodo di Descartes, accettava l'assunto di dare spiegazioni matematiche; invece di avverare l'apparenza, la sensazione quale appare, l'idea quale sorge, opposta al senso e correlativa ai generi, egli stabiliva la sensazione siccome principio primo. Fu mestieri che le idee fossero dedotte dalla sensazione, che le sensazioni originassero l'universo; e Locke fu il primo inventore di quella dialettica che si trascina di cavillo in cavillo, negando ogni idea che pretende spiegare. D'indi presso i filosofi del decimottavo secolo l'origine delle idee, che nega ogni cosa; le equazioni fantastiche, in cui il tempo è fatto eguale al moto, lo spazio al corpo, la sostanza al riunirsi di più qualità: si affermano i generi eguali alle parole, le astrazioni eguali all'abitudine, e in generale il concepire si traduce nell'imaginare: e nulla di più fastidioso di quella serie di equivoci studiosamente elaborati, in cui la dialettica, respinta di rifugio in rifugio, non si stanca mai d'inventare nuovi espedienti per isfuggire al vero. L'assurdo cartesiano ripetevasi intervertito; chè la sensazione non era eguale se non alla sensazione, e dovevasi sempre restare nel senso: dunque l'individuo esterno svaniva, il mondo cadeva a zero, e la sola immagine restavane in noi; dunque i suoi generi, il suo essere sparivano; dunque la sensazione, con l'intermediario del mondo e senza, negava, da ultimo, le idee e l'idea stessa dell'essere, che ci permette di affermarci esistenti.

Per difetto di idee la sensazione stessa di Locke diventava impossibile, sottraevasi al giudizio che ne afferma l'esistenza: Kant cercò un'uscita perchè la sensazione potesse stare, e dichiarò innate le idee necessarie al giudizio. In sentenza di Kant, vi sono idee innate ed havvene d'acquisite: sono idee acquisite tutte quelle che riferisconsi al mondo sensibile; sappiamo di certo che ci sono trasmesse dalla sensazione, nè si potrebbe contestarne l'origine esperimentale. Sono idee innate quelle che non possono essere date dalla sensibilità, che sono anteriori all'esperienza e supposte dall'esperienza. Così un corpo suppone lo spazio, l'idea del corpo è acquisita, l'idea dello spazio innata; il moto suppone il tempo, l'idea del moto è acquisita, quella del tempo innata. Se lo spazio, il tempo ed altre idee non fossero ingenite nell'intelletto, il conoscere non sarebbe possibile; al contrario, le idee dell'uomo, dell'animale non sono necessarie, non universali, non presupposte, e non sono innate.

Fermiamoci: siamo solo al punto di partenza della teoria di Kant, e già siamo nell'errore, perchè egli rimane nella sfera del dibattimento tra l'idea di Descartes e la sensazione di Locke. L'idea cartesiana si surrogava alla natura, sostituendosi ai generi; la sensazione di Locke si surrogava alla natura, sostituendosi agli individui; le due teorie circoscrivevano l'apparenza, la mutilavano per metà, ci rinchiudevano in noi stessi, ci facevano dimenticare i generi e gli individui, distinti dalle idee e dalle sensazioni, quanto le percezioni lo sono dalle cose percette. Bisognava esaminare nel tempo stesso i pensieri e le cose, quindi le idee e i generi, gli individui e le sensazioni; conveniva non istaccarsi un istante dalla correlazione continua tra le idee e i generi, tra le sensazioni e gli oggetti. La nostra prima missione non è di giudicare la lotta tra l'idea e la sensazione: dobbiamo prima stabilire la differenza e la correlazione tra l'idea e il genere, tra la sensazione e l'individuo. Non si tratta di sapere se le nostre idee vengano dalle sensazioni, ma bensì se vengano dagli oggetti; quando vedo un uomo, vedo l'uomo, l'essere, lo spazio; questa rivelazione mi trasmette sensazioni, idee sensibili, idee non sensibili che si mostrano quali condizioni della natura. Se tale rivelazione vien dimenticata, l'idea o la sensazione avranno un valore superiore all'apparenza loro, diventeranno principj metafisici, aspireranno a dare l'equazione dei generi e delle cose; la doppia metafisica psicologica di Descartes o di Locke dovrà riprodursi sotto nuova forma.

Nel fatto, sviluppandosi, la teoria di Kant sviluppa il vizio che trovasi nella sua origine. Giusta Kant, le idee innate, che egli chiama idee pure o forme della ragione, presentano caratteri che escludono la sensazione; sono universali, e la sensazione è limitata; sono necessarie, e la sensazione è contingente: nessun oggetto sensibile si sottrae all'idea di tempo, nessun oggetto è necessario come il tempo. Lo stesso ragionamento si applica a tutte le idee innate; e Kant conclude, che innate, universali, necessarie, non possono essere dedotte dalla sensazione. Ma chi ci obbliga a riferirle alla sensazione? chi ci astringe ad ottare tra l'idea innata e l'idea sensibile? È la psicologia di Descartes e di Locke, non la rivelazione: fuori del pensiero hannovi le cose, e nelle cose gli individui e i generi: le idee possono forse esserci trasmesse dalla natura? Questo è il problema. Nella natura hannovi il tempo, lo spazio, l'essere e tutti i generi che cattivano il pensiero; perchè non ci fornirebbero le idee correlative di tempo, di spazio, di essere, nella stessa guisa che ci forniscono la idea dell'uomo? L'universalità e la necessità di certe idee non sono in noi, non sono nel nostro pensiero, sono nei generi, da cui ci vengono imposte: la mia idea del tempo, non è necessaria, nè universale; la mia idea dello spazio alla sua volta non è universale, nè necessaria; le due idee nascono con me, periscono con me, turbansi ne' miei sogni, si dileguano nel mio sonno. L'universalità e la necessità appartengono al tempo ed allo spazio, all'essere, senza che si possa dire il come, nè il perchè; solo sappiamo che tutta la natura rivelasi contenuta nei primi generi, appare nel tempo, nello spazio; appare subordinata al genere primo dell'essere. Raddoppiandosi nel pensiero, la natura vi si trasporta quale appare; i suoi oggetti divengono percezioni, i suoi individui sensazioni, i suoi generi idee; e la necessità e l'universalità dei generi primitivi si riproduce in noi. Se può affermarsi che alcune idee sono innate, non è per essere queste necessarie ed universali, chè allora tutta la matematica sarebbe innata, i suoi teoremi dichiarandosi necessari ed universali. Non possono affermarsi innate certe idee se non considerando che sono contemporanee d'ogni pensiero, perchè nella natura il genere che loro corrisponde trovasi contemporaneo di ogni essere.

Kant difende le sue idee innate con un nuovo artifizio: afferma che la sensazione sia l'unico veicolo pel quale la rivelazione esterna giunge a noi, e asserisce la sensazione individuale, senza unità, senza generi, senza somiglianze, indefinitamente diversa in tutti i suoi punti. Ma la natura in sè rivelasi cogli individui, coi generi; in noi rivelasi colle sensazioni e colle idee; nella natura ogni individuo è contenuto da un genere; istessamente in noi ogni sensazione è contenuta in un'idea, non fosse che quella dell'essere. La sensazione di Kant, sfuggevole, non affermata, inconsistente, sempre diversa, non è che un'astrazione inconcepibile, una finzione metafisica; non è la sensazione che appare, la quale è un colore, un suono, un sapore, una qualità, quindi una cosa che corrisponde già alle somiglianze generiche. Se la sensazione imaginata da Kant esistesse, non solo le forme della ragione sarebbero innate, ma tutte le idee lo sarebbero. I generi della natura non sarebbero nella natura, non apparirebbero, sarebbero in noi: che più? noi stessi non potremmo formarli; in qual modo creare generi, fissare classi, fondandosi sopra una sensazione variabile e diversa all'infinito? Dunque nessuna astrazione. perchè da una sensazione essenzialmente diversa non si può trarre alcuna somiglianza; nessuna generalizzazione non potendosi generalizzare là dove non vi sono astrazioni; nessuna classificazione, per il motivo che, tolte le astrazioni e le generalizzazioni, le classi diventano impossibili; dunque tutte le idee sarebbero innate, imposte alle sensazioni, a priori, fatalmente, arbitrariamente; e per colmo di contraddizione non darebbero nemmeno l'apparenza dei generi, in guisa che non potremmo distinguere la nozione del tempo dal tempo stesso. La teoria di Kant incomincia da un'apparenza equivoca, e finisce a rendere l'apparenza impossibile.

Con un ultimo sforzo, Kant tenta di fermare la sensazione sfuggevole, da lui creata al di fuori dei generi, e vuoi fissarla col mezzo degli schemi. Gli schemi sono idee dimezzate, fantasmi intellettuali che riuniscono più sensazioni, e dando loro unità, ne traggono gli individui e le classi. Per Kant l'uomo è uno schema; tutti i generi sono schemi creati da una facoltà intermediaria tra la ragione e l'imaginazione, o da una imaginazione intellettuale che disegna gli schemi secondo i diversi modi della quantità. L'ipotesi degli schemi è dessa un espediente per difendere una teoria vinta o la confessione di una vera sconfitta? Quanto si dice contro l'idea di Kant, si deve ripetere contro lo schema. Là dove trovasi sola la differenza, nessuna facoltà può creare l'unità; se la natura non facesse i generi, non potremmo mai imaginarli: il genere esiste, il genere signoreggia il pensiero, vi depone l'idea; tale è l'apparenza; l'idea è data; perchè volete crearla? perchè impossibile il suo originarsi? perchè non si transisce dal genere all'idea senza contraddizione? Sia pure: l'origine dell'idea sarà contraddittoria come tutto quanto appare; ma la facoltà degli schemi è forse possibile? può essa creare l'unità nella diversità senza contraddirsi? può essa creare le idee o i generi senza trarli dal nulla? Lo schematismo è contraddittorio quanto la trasmissione delle idee all'intelletto per mezzo dei generi; colla differenza che nello schematismo il fatto contraddittorio è inventato, fantastico, superfluo, collegato con altri errori nati dall'inutile pretensione di sopprimere una contraddizione eterna.

Quale è l'analisi delle idee, tale è la psicologia di Kant. Kant aveva avvisato assurdo il concetto di Descartes, che volea transire dalle idee alle sensazioni; aveva trovato assurdo il concetto di Locke, che si sforzava di transire dalle sensazioni alle idee; aveva evitato l'uno e l'altro assurdo, rifiutandosi di dedurre certe idee dalle sensazioni, certe idee dalle idee innate; non erasi mai proposto il problema che sfuggiva a Descartes e a Locke, cioè di analizzare la correlazione tra le idee e i generi, tra le sensazioni e gli individui. Quindi la doppia metafisica di Descartes e di Locke, riprodotta nella psicologia di Kant. In quella guisa che Descartes e Locke deducevano matematicamente i generi e gli individui, l'uno dalle idee, l'altro dalle sensazioni, per cui il lavoro matematico conduceva le due scuole a negare il non-io e l'io, Kant, trascinato da' suoi propri antecedenti, dedusse i generi e gli individui dalle idee innate e dalla sensibilità. D'indi la necessità che il pensiero, composto d'idee e di sensazioni, sorgesse non correlativo a nulla, ma bastante a sè stesso; d'indi la necessità che il pensiero imponesse alle cose le proprie idee, che il pensiero costituisse la natura, che l'affermasse creandola fatalmente, che l'universo dei generi e degli individui uscisse dal pensiero, quasi che l'ipotesi opposta, la quale avrebbe tratto dai generi e dagli individui le nostre idee e le nostre sensazioni, non dovesse trovarsi egualmente imperiosa, o almeno atta a far sostare il filosofo tedesco nel suo procedere dalla psicologia alla metafisica. Da ultimo, circoscritto Kant, dai dati anticipati di Descartes e di Locke, nell'io pensante, non vedendo la contraddizione se non nelle idee e nella sensazione, usciva ad affermare essere la contraddizione nell'uomo, non nella natura; la restringeva alla nostra ragione, e anche nella ragione limitava il contraddirsi dell'uomo alle rozze antinomie colle quali alcune idee respingono, in forza della loro universalità e della loro necessità, le tesi che ci vengono offerte dalla scienza esperimentale. Quindi nel seguito la critica di Kant, sorpresa da dilemmi improvvisi, travolta, intervertita a profitto del non-io, è divenuta, nelle mani de' successori di lui, la filosofia della contraddizione; e il fondatore della critica fu trasformato così nel precursore del più temerario dogmatismo.

Concludiamo: hannovi due elementi del pensiero: l'idea e la sensazione: entrambi sono acquisiti, irreducibili ed indivisibili. Pure, se tutte le idee sono acquisite, ve ne hanno di acquisite nell'atto stesso in cui si acquistano le prime sensazioni; e sono le idee del tempo, dello spazio ed altre, soprattutto l'idea dell'essere, contemporanea della prima sensazione. Quest'ultima idea può considerarsi innata, non perchè lo sia veramente, non perchè sia negato agli oggetti di trasmettercela, non perchè l'esperienza la supponga in noi; l'essere è innato solo nel senso, che trovasi contemporaneo del pensiero. Una volta acquisite, una volta penetrate in noi, le idee devono essere nuovamente conquistate, cioè tratte da ogni pensiero, da ogni percezione; ed allora soltanto chiamansi astratte, e colle astrazioni compiesi poi il lavoro della generalizzazione.

 

 




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