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Giuseppe Ferrari Filosofia della rivoluzione IntraText CT - Lettura del testo |
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Capitolo XX
DELLA FATALITÀ NELLA STORIA DEL GENERE UMANO
La fatalità è l'ultima antitesi che la logica oppone al sistema sociale. Il sistema sociale conduce ogni popolo verso l'umanità; la fatalità tiene in sua balìa tutte le circostanze che dispongono dell'umanità stessa. La fatalità è nel mare, che separa i continenti; nella terra, che rifiuta di nudrire i popoli; nel clima, che li uccide; nella razza, in cui gli istinti trovansi alterati, ammortiti o esaltati. La fatalità riappare nei diluvj, nelle carestie, nelle pesti, soprattutto nella guerra, che devasta le nazioni incivilite e le rende preda de' barbari. Da ultimo, la fatalità si ritrova dovunque, nella morte immatura di un eroe, in una battaglia perduta, negli accidenti che ritardano una scoperta, e brevemente, nei mille ostacoli che attraversano i destini dell'uomo. Mentre siamo condotti all'umanità dalla potenza provvidenziale delle idee, la fatalità ci contrasta tutti i progressi, separa le società, le condanna a trascinarsi sul solco sanguinoso delle rivoluzioni: essa sacrificava Atene, Roma; isola la China, perpetua la più profonda ostilità tra le diversi parti del globo. Chi trionferà? la provvidenza delle idee o la fatalità esterna? l'associazione o la dissociazione? Invano ci sforzeremmo di sciogliere il dilemma con ragioni astratte. Non possiamo dominare a priori l'origine stessa della rivelazione per dimandarle perchè ha imposto al benessere la condizione del lavoro, al riposo la condizione del moto, alla scienza quella dell'ignoranza, ad ogni invenzione quella del bisogno. Dappertutto il dolore presentasi come condizione del progresso; il genio del male che celebra il trionfo del bene, è la fatalità che si offre come condizione della provvidenza. La divisione e l'associazione si contendono tutti i popoli e tutte le fasi del sistema sociale. La metafisica tenta di sciogliere il dilemma e di trovare un termine per cui la provvidenza della ragione umana e la totalità delle cose esterne siano identificate. Quindi cercasi l'unità nella storia universale, la si sottopone ad un disegno unico; s'imagina che un popolo modifichi gli altri popoli con un ainfluenza ragionata quanto quella reciproca degli individui che vivono in una stessa società. Questo pensiero fu suggerito alla metafisica dalla religione. Col dare un sol Dio all'universo il monoteismo dava necessariamente un signore unico alla natura, un sol monarca a tutti i popoli, i cui destini venivano imaginati quasi altrettantio episodi della grand'epopea dell'umanità. Secondo tale concetto il dramma ha principio nel cielo, cade sulla terra, nel mezzo di accidenti anticipatamente predisposti, poi si compie di nuovo nel cielo. Qui l'unità della storia universale trovasi non nell'uomo, ma in Dio; Dio solo opera, l'uomo è un istromento: qual è il pensiero, quale l'azione di Dio? Bisogna indurlo da ciò che si vede sulla terra, dalla storia stessa di tutti i popoli: che troviamo nella storia? Mancando i fatti, le religioni devono inventare il disegno dell'universo consultando sé stesse: che potevano insegnare? I loro propri dogmi mescolati di favole e di odii. L'India associava l'universo alla storia delle sue divinità; il cristianesimo vedeva nel mondo antico un sol popolo, gli Ebrei; un sol fatto, la redenzione di Cristo; poi non lasciava ai popoli se non l'unica alternativa di accettare o di combattere la chiesa, di accettare o di falsare la la fede. Così il cristianesimo vedeva la provvidenza solo ne' suoi dogmi; trasformava il momento della storia ideale, che rappresentam nella legge universale; malediceva tutto quanto oltrepassasse il suo momento, disconosceva il passato che avevalo generato; e finiva per disconoscere la forza provvidenziale che risiede nella rivelazione naturale, in cui dato un principio, l'uomo può giungere all'umanità. Lungi dal dominare la fatalità, il cristianesimo la esagerava di mille doppi; ed ora il cristianesimo in decadenza, dovrebbe confondere col fato il suo Dio, impotente contro l'inferno che prevale. Il primo atto della metafisica fu di accettare l'unità cristiana, sottomettendo i mortali all'unità dei cieli per l'influenza degli astri sulla terra. L'equazione iperbolica non reggeva al primo sguardo della ragione: poi non affermava la correlazione del sistema sociale col corso delle cose; limitavasi ad affermare l'unità di una stessa legge nella ragione dell'uomo e nelle cose della natura: la legge tenevasi mezzo provvidenziale, mezzo fatale: passava circolarmente dalla vita alla morte; la teoria, invece di sciogliere il dilemma, lo asseriva, poi lo traduceva nell'antitesi della generazione o della corruzione. Dopo il risorgimento, si diede ragione al fato contro la provvidenza delle idee, quasi si volesse giungere all'unità affermando l'unità dei disordine. Descartes abbandona la storia al caso; in sua sentenza il filosofo deve sdegnarla; essa si sottrae ad ogni dimostrazione. Bacone vede la storia interrotta da deserti, da ruine; le arti sole sembrangli animate da un soffio di vita; egli scansa il caos delle religioni per cercare nell'avvenire l'associazione universale dell'industria. Nel secolo decimottavo chiedesi giustizia alla natura, rivendicansi i diritti dell'uomo; convien pure mostrare che la natura accorda giustizia; per afferrare l'unità della storia universale, Herder fu ridotto a cercarla nella storia fisica dei globo. Giusta Herder, il globo è in progresso, le creazioni inferiori servono alle creazioni superiori; l'uomo, posto tra l'angelo e l'animale, è l'essere intermediario che collega due mondi; deve lasciare la terra per passare in una regione superiore. Qui l'unità è fallita in cielo e in terra: in cielo, perchè non havvi scienza dei cielo; in terra, perchè la storia della natura e quella delle umane idee rimangono distinte, malgrado tutti gli sforzi di Herder. Fossero pur vere tutte le ipotesi di Herder sul progresso della natura, fosse pur dimostrata l'impossibilità di intervertirle; che importa l'unità mondiale, se io non vedo svolgersi ad essa correlativa la storia degli uomini? E dov'è per Herder la storia dell'uomo, voglio dire delle idee? in nessun luogo: mai non afferra il succedersi meccanico dei dogmi; quindi egli lascia i popoli distinti, quindi per lui ogni civiltà si compenetra colla terra che la produce, quindi non sospetta unità alcuna tra le varie civiltà, non bevvi passaggio dall'una all'altra. quindi la dissociazione trionfa; quindi perder, volendo tentare l'unificazione del mondo colla ragione dell'uomo, non vide che la ragione del mondo da lui affermata, sopprimeva la ragione dell'uomo; e, lungi dall'avviarsi all'associazione universale, dava le redini dell'umanità al fato. Hegel esaurì le forze della metafisica per raggiungere lo scopo prefisso da Herder di identificare l'unità delle leggi mondiali colla legge che guida ogni uomo nel seno dell'umanità. Respinse il deismo qual termine medio, insipido e vieto, troppo al disotto del problema: il termine medio da lui concetto fu l'identità delle leggi della natura e delle leggi del pensiero, entrambi operanti con uno stesso procedere. Secondo Hegel la natura viene generata dall'idea dell'essere, che, spinta di contrario in contrario dall'urto delle contraddizioni, forma tutti gli esseri del creato, scintillanti d'antitesi sempre vinte: poi appare l'uomo, nell'uomo l'idea generatrice della natura pensa la natura, la riconosce; riconoscendola diventa la storia: la storia progredisce ad imitazione della natura; spinta dalla forza della contraddizione, si sviluppa dall'Oriente all'America, sopra un disegno unico, pieno d'antitesi espugnate; cioè di guerre e di ruine, d'onde emerge il progresso. L'umanità si associa e si perfeziona afferrando l'identità dell'essere e del pensare, dei principio operante della natura e del principio pensante dell'uomo. Così presso Hegel la ragione mondiale e la ragione umana sono identiche; le due nature sono una stessa .natura; lo spirito che crea i mondi e quello che li conosce sono identici; la differenza tra il fato delle cose e la provvidenza delle idee sembra scomparsa. Non è mio pensiero d'analizzare la filosofia della storia di Hegel, e credo inutile di ripetere qui la critica che esposi altrove2. Solo m'importa il notare che la nuova conciliazione del fato colla provvidenza delle idee riposa tutta sul processo della natura, sulla sua legge, supposta la stessa di quella del pensiero, di più supposta con un procedere che emerge sempre dalla conciliazione de'contrari. Ora la conciliazione di Hegel si fonda precedentemente sulle contraddizioni della natura, le suppone vinte, oltrepassate, e non lo sono mai. Lungi dall'essere una conciliazione, la sostanza complica il dilemma del fato e della ragione con tutti i di lemmi e con tutte le contraddizioni del creato. Il risultato poi dell'hegelianismo dimostra che la conciliazione proposta non è se non la stessa contraddizione, che riappare sotto una forma insolita e nuova. Per Hegel, uno è il procedere della natura, uno il procedere della storia; dunque la storia universale è una, le diverse civiltà dell'Asia, della Grecia, di Roma, dell'Europa trovansi predisposte a priori dal procedere della natura nella costituzione fisica dell'Asia, della Grecia, dell'Italia, dell'Europa: dunque ogni evento istorico trovasi preparato ne' suoi accidenti materiali cd esterni dal fato: dunque tutta la natura pensante dell'uomo svolgesi su di un terreno prestabilito e predisposto dalla natura fisica inconscia del suo essere. Qual'è la conseguenza necessaria di tale premessa? È l'accettazione della storia universale positiva, come il vero, il reale processo della provvidenza delle idee umane. Dunque accettati tutti gli accidenti della natura, tutte le catastrofi puramente esterne come altrettante necessità intellettuali; dunque separati i diversi momenti del pensiero, non idealmente, ma materialmente,e considerati come altrettanti prodotti di una terra, di un clima, di una razza, perchè le civiltà sono distinte dal fato che si vuol provvidenza; dunque ignorate le vere transizioni sistematiche colle quali si passa di sistema in sistema senza uscire da ogni società, ed anzi alla condizione di non uscirne, perché fuori dei confini d'ogni società costituita non havvi se non il fato; la provvidenza scompare. Da ultimo, la storia ideale viene sacrificata al caso della storia positiva; il germe dell'umanità vien calpestato di proposito deliberato, ovunque vedesi una ruina, un disastro; ogni catastrofe viene disprezzata come se meritata dal popolo che la soffre; e la umanità viene negata, perchè la si abbandona al caso, alla preoccupazione insensata che il caso è umano. Le diverse teorie sulla storia universale non riescono, da ultimo, che a mostrare l'impossibilità di signoreggiare il fato. Esse richiedono che sia nota la causa della configurazione del globo, la ragione d'essere d'ogni continente, la missione organica d'ogni animale, la parte sostenuta da ogni fenomeno fisico: se havvi unità nella storia del mondo, tutti gli incontri saranno stati predestinati, tutte le guerre saranno state necessarie, le invasioni inevitabili; le conquiste, le vittorie, le sconfitte, ogni evento sarà uscito dalla profondità della materia, predisposto da un Dio; e gli elementi, le nubi, il sole, la natura tutta intera sarà complice di ogni opera che si attua nel seno dell'umanità. I fiumi, la terra, avranno dovuto prevedere il corso della rivelazione, la vita, la morte avranno dovuto animare e distruggere nell'ora indicata dai principj tutti gli uomini che si sono mostrati nel dramma della storia. Una sola eccezione basterebbe per rendere dubbia l'unità e per distruggerla: non è lecito di imitare Hegel, che scansa artificiosamente i popoli inutili, le razze senza missione, le regioni non istoriche; volendo rispondere alla logica bisogna o spiegar tutto o lasciar tutto preda del fato; non bevvi via di mezzo Ora, non è forse evidente che, per render ragione della storia, fa d'uopo sostituirsi al dio dell'antica metafisica? non è chiaro che nell'assunto hegeliano è mestieri conoscer tutto per sapere qualche cosa? Da ultimo, non è patente che la prima condizione dell'unità della storia universale sarebbe di dominare e di dimostrare logicamente quella rivelazione naturale che deve, al contrario, dominare la ragione sotto pena di spingerci nel mezzo di un assurdo senza limiti? Lasciamo la storia universale all'erudizione: essa è varia, fatale, esterna, dipendente da mille dati tisici, da mille eventi politici. La causa e gli effetti, vi si svolgono in modo, che il minimo e il più grande tra gli eventi stanno collegati con vincoli indissolubili. Cesare suppone l'Egitto, la Grecia, le Gallie; suppone Roma; esce da tutti gli accidenti che lo assalgono al suo nascere, perisce con tutti i casi che determinano la sua morte. Se la mano di Bruto trema, se Cesare prima di entrare nel senato ascolta un suo presentimento, se una freccia lo colpisce al varco del Rubicone, tutti gli avvenimenti della storia avrebbero mutato faccia, spostando ogni anello nella catena degli uomini e delle cose da Cesare sino a noi. Secondo il Cristianesimo, l'unità della storia dipende da due fatti arbitrari, la caduta di Adamo e la redenzione di Cristo: secondo la storia positiva, il caso si rinnova in ogni fatto; e la materia fluente, quest'Eva corruttrice della creazione, domina ogni cosa, ogni pensiero: e altronde, lo sforzo redentore, egualmente arbitrario, si oppone ogni istante alla caduta colla inconscia ragione della natura o colla conscia ragione dell'uomo. L'erudizione segua dunque il cieco fato della storia; il sistema sociale è un principio, una provvidenza assolutamente umana, una vera guerra contro il fato. Se havvi unificazione possibile tra il fato e la provvidenza, l'unificazione sarà nell'avvenire: quanto al passato, l'unità dell'umanità non è se non nella storia ideale comune a tutte le nazioni. Ogni popolo vive solo a condizione di rappresentare l'uno dei momenti della storia ideale: avanzi o retroceda, deve rimanere sulla via eterna di tutti i popoli; lento o veloce, oscuro o glorioso, non può uscirne: I bisogni sono gli stessi presso tutti i popoli, ispirano le stesse azioni, spingono alla ricerca delle stesse arti, e la curiosità trascina verso una stessa scienza. Se fuori di noi le apparenze sono multiple, se il regno del caso non ha limiti, havvi in noi il dato primitivo della nostra organizzazione; la quale determina l'ordinamento primitivo delle apparenze, la prima fase sociale, e per essa tutte le fasi ulteriori. La nostra organizzazione ci mostra prima il moto, poi l'immobilità del sole; ci mostra gli astri prima come faci dei cielo, poi come altrettanti soli; la nostra organizzazione ci sforza prima a nudrirci, poi a incivilirci; prima ad adorare gli Dei, in seguito un solo Dio. Possiamo noi intervertire la storia delle invenzioni? la scoperta di Watt può forse precedere l'arte di fondere il ferro! No; il caso non regna sul pensiero, l'unità della nostra organizzazione signoreggia la varietà delle apparenze; noi penetriamo a passi in mezzo al caos della fatalità fisica, senza che la mobilità dello spettacolo esteriore álteri il corso delle nostre idee. Lo stesso spettacolo dell'incivilimento, l'esempio stesso dell'industria che si sviluppa, dell'agricoltura che feconda la terra, della navigazione che domina i mari, della scienza che donnina tutto, è uno spettacolo perduto per i popoli che non lo invocano col movimento spontaneo delle loro idee. Ogni giorno non vediamo, non sentiamo noi che la più fervente predicazione dei vero riesce inutile, irrita prima dell'ora prestabilita nella storia ideale? La provvidenza istorica trovasi dunque nel pensiero, che progredisce partendo dal dato della nostra organizzazione; trovasi uniforme presso tutti gli uomini, presso tutti i popoli, in tutte le religioni; e ci conduce tutti all'associazione universale, verso il sistema unico, in cui l'ordinamento delle apparenze non potrà più variare, e in cui la rivelazione naturale sarà riconosciuta nella sua pienezza. L'associazione del genere umano poteva attuarsi collo sviluppo pacifico di una stessa famiglia, che si sarebbe propagata senza dividersi, e sarebbe rimasta sempre una nelle idee, nei sentimenti, nell'associazione: essa sarebbe sempre stata l'umanità. Questo non era nei fati. La propagazione della specie oltrepassò l'opera del pensiero, getta i popoli in balia delle circostanze prima che l'arte potesse dominare la fatalità, che impadronivasi degli uomini e facevali nemici gli uni agli altri. L'unità materiale fu infranta; ma l'unità intellettuale che trovasi nel fondo d'ogni popolo, deve supplirla nell'avvenire, domando la fatale ribellione delle cose per ricostituire l'umanità. A priori quest'opera è possibile e impossibile, secondo che noi la consideriamo sotto l'aspetto dei pensiero o della natura, del diventare o dell'essere, della potenza o del fatto. Il dilemma che resta senza soluzione sotto l'Impero della logica, si scioglie ogni giorno sotto l'impero della rivelazione. Anche prima di toccare l'ultimo termine della serie, ne presagiamo la soluzione provvidenziale in quella fraternità dei popoli che si riconoscono fra di essi, nell'unità dei buddismo, dell'islamismo e del cristianesimo. Benchè separati dai continenti prima di conoscere il dogma dell'umanità, noi lo vediamo attuarsi col mezzo del commercio, che riunisce i popoli dispersi, col mezzo dell'equilibrio politico, che abbraccia tutta la terra.
Fine del volume I
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2 Vedi Essai sur le principe et les limites de la philosophie de l'histoire. - Paris, 1843. |
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