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Giuseppe Ferrari
Filosofia della rivoluzione

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  • PARTE SECONDA   DELLA RIVELAZIONE NATURALE
    • SEZIONE SECONDA   LA RIVELAZIONE DELLA VITA
      • Capitolo VI   L'ASPETTATIVA DELL'UOMO
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Capitolo VI

 

L'ASPETTATIVA DELL'UOMO

 

Il ritmo della vita spiega il destino dell'uomo, nella stessa guisa che l'istinto spiega quello dell'animale. I cristiani si domandavano d'onde veniamo? qual'è la nostra missione? qual'è il nostro fine? Rinunciamo al linguaggio dell'antica legge; sono sparite le colonne di fuoco che ci guidarono attraverso al deserto. L'uomo è il solo Dio dell'uomo, e questo Dio risiede nella nostra vita: se non sapessimo qual deve essere la nostra azione, chi potrebbe dirlo? Non abbisogna alcuna voce soprannaturale per insegnarci che i frutti della terra debbono nutrirci, che il braccio è l'istrumento del lavoro, che la donna ci chiama all'opera dell'amore; i valori ci attraggono, s'insignoriscono di noi e il loro sistema è il sistema del nostro destino.

Per un'ipotesi primitiva ed inesplicabile il ritmo della vita suppone che l'universo corrisponda all'aspettativa dell'uomo: la vita suppone che si può vivere; tale è l'ipotesi generale dell'istinto in tutti gli animali. Ogni animale vive; quasi fosse il re della natura, vuole assimilarla a sè, assorbirla; se gli ostacoli non lo fermassero, la più misera specie, il più meschino arbusto basterebbe per popolare la terra; a capo di qualche secolo un olmo produrrebbe un volume uguale al volume del globo. La natura corrisponde essa all'aspettativa dei viventi? No, non corrisponde più all'uomo, che all'animale: tutti i destini sono ostili, contraddittorj, e la contraddizione è sì vasta, che l'essere, il quale giunge a compiere il suo destino, è una vera eccezione. Quasi tutti i viventi periscono nello stato di seme, di feto, al primo nascere: la vita adulta è il premio di un combattimento, una vittoria riportata su miriadi di vittime. L'uomo subisce la legge universale: credesi il re della creazione, e di continuo soccombe; havvi una profonda contraddizione tra l'aspettativa che si rivela nella vita ed il nostro destino quale si rivela tra gli esseri. «Allorchè volgiamo il nostro sguardo», dice Giacomo Boehm, «intorno a noi, al cielo, alla terra, alle stelle e agli elementi, non vediamo alcuna via che possiamo riconoscere, e nella quale possiamo entrare per nostro riposo.» Che fare? Bisogna vivere, tale è la suggestione della vita. La natura protegga pure tutte le razze che ci sono ostili; noi dobbiamo combattere, dobbiamo agire come se l'universo corrispondesse alla nostra aspettativa, come se le stelle che splendono nel firmamento non avessero altra missione che d'inviarci un raggio di luce durante la notte. Siamo sul nostro pianeta, come l'equipaggio sulla nave; giungerà esso in porto? potrà attraversare l'oceano del vuoto? Havvi un porto? I venti possono sommergere la nave, gli scogli possono infrangerla; le malattie, la fame, il freddo possono mietere l'equipaggio; nel fatto, i marinai muoiono, le vele sono squarciate, soventi le braccia mancano al lavoro, qualche volta eccedono; non si conosce la nave, non fu bene esplorata: per lungo tempo operavasi come se il porto fosse a qualche lega di distanza, disprezzavansi gli istrumenti, il sartiame, i viveri ammassati nella stiva. Ma conviene avanzare, il cielo vuole che si passi, uccide chi si ferma; vieta il retrocedere. Bisogna operare come se vi fosse un porto, come se i venti fossero destinati a condurci, come se le rupi, le sabbie, le correnti fossero create a bella posta per tener desta l'attenzione dell'equipaggio. La vita vuol che si viva.

Dimenticando il ritmo e l'imperiosa aspettativa che lo anima, dimenticasi il primo principio del destino, e solo scorgesi la contraddizione tra l'aspettativa dell'uomo e la fatalità della natura. Ignorandosi la critica, la contraddizione diventa un problema. Quindi la filosofia chinese si domanda se la natura è buona o cattiva; la filosofia greca cerca se il mondo è governato dal caso o dalla ragione; la filosofia moderna vuol sapere se la natura è fatta per l'uomo, o l'uomo per la natura. Le grandi soluzioni della metafisica si riducono a tre.

La soluzione più generalmente ammessa, quella di Socrate, suppone che l'universo sia veramente fatto per l'uomo, e che la ragione dell'universo non sia se non la ragione dell'uomo. Qual'è dunque la ragione dell'uomo? La ragione di Socrate non è quella di Trasimaco; il pensiero di Seneca non è quello di Nerone. Per mantenere l'unità della ragione umana, la metafisica deve dichiarare che hannovi false ragioni, falsi uomini. Sia: la ragione del savio corrisponde adunque a quella dell'universo: ma sorge un nuovo ostacolo. Nella natura tutto si oppone al savio, gli elementi non lo rispettano; gli animali tendono ad uno scopo ostile all'umanità; la natura si rivolta contro di noi: qual'è dunque la ragione dell'universo? Dopo aver dichiarato che hannovi falsi uomini, la metafisica deve dichiarare che havvi una falsa natura, di cui trionferemo. Dov'è dunque la vera natura? Sfortunatamente trovasi fuori della natura, in Dio, in cielo, nelle regioni delle favole, ovunque si vuole. Eccoci nel vuoto. La metafisica non si sconforta dinanzi al vuoto; essa prende l'una dopo l'altra le contraddizioni dei beni reali per proteggere il suo bene imaginario. Dimostrasi che nei falsi uomini, nel mezzo di una falsa natura, godere è soffrire; che dobbiamo sacrificare il contento per essere felici; dimostrasi che la ricchezza è una servitù, che l'uomo veramente ricco deve essere povero. Nella ragione staccata dalla vita, non havvi se non il vuoto, e siamo di viva forza ricondotti al vuoto per tutte le vie: per la via di Platone, che ci promette la felicità nell'idea astratta del bene; per la via di Zenone, che ci assicura la felicità suprema separandoci da tutti i beni; per la via di Cristo, che ci promette la felicità nella morte. Dopo di avere dimenticata la vita al punto di partenza, la metafisica la rende impossibile per mezzo di tutte le equazioni chieste alla ragione.

Havvi, in secondo luogo, una metafisica terrestre che vuole compito nel mondo il nostro destino, confidandolo alle nostre sensazioni, al nostro benessere, all'amor proprio. Qui si considera solo un frammento della vita, quella parte che trovasi materializzata fuori di noi, nella meccanica degli interessi positivi, nei fenomeni esterni. La metafisica s'impegna a spiegare coll'equazione dell'amor proprio il rimanente della vita, il nostro interno. Ma la parte non può abbracciare il tutto, e finisce a negarlo. Si può riscontrare in Loke, in Helvetius la dialettica della sensibilità, che riduce tutti i fenomeni della vita all'egoismo meccanico, per essa la pietà diventa l'interesse personale, un ritorno sopra noi stessi; l'amore della famiglia si trasforma nell'amore della nostra persona; il coraggio si riduce ad una forma della viltà; la religione ad una riunione accidentale di nozioni chimeriche: il genio ad una felice compagine di sensazioni. La teoria delle sensazioni è una specie di atomismo, i suoi atomi sono le sensazioni, gli interessi che si combinano, si separano e vanno coordinandosi e disponendosi in noi stessi. Ne consegue in primo luogo, che i vizi dell'atomismo si riproducono nella teoria della sensazione. L'atomismo materiale non crea gli esseri, non rende ragione dell'unità del corpo organizzato, trovasi in contraddizione colle qualità che appaiono, scompaiono e si combinano secondo leggi opposte alla meccanica. L'atomismo psicologico della sensazione non rende ragione del ritmo, della nostra unità, dell'armonia degli istinti; non dà alcun senso al discorso, nè un andamento all'azione; esso trovasi in contraddizione coi valori che si compongono e scompongono, secondo un'aritmetica che viola l'aritmetica materiale. Voglio credere che la pietà sia un interesse mascherato, che la religione sia una serie di nozioni climatiche, che l'inquietudine, il disagio siano i soli nostri impulsi, che l'amor proprio sia l'unico mobile dell'uomo. Rimane sempre che io sono uno nella mia felicità; che sono uno nella simmetria sfuggevole della mia vita: un bene che violi questa simmetria, non è un bene; essa non tollera addizioni grossolane, e se viene alterata, perisce per intiero. Tale è la vita in tutti i momenti della mia esistenza, in tutte le epoche della storia. Dunque l'equazione dell'interesse disconosce il ritmo, lo nega, e finisce a mettersi in contraddizione coll'io. In secondo luogo, i metafisici della sensibilità nell'abbozzare l'arte di vivere sono addotti a riprodurre sotto nuova forma i precetti dei razionalisti; essi parlano come se una ragione meccanica, invariabile governasse l'universo, o come se la natura fosse una divinità; egli è vero che si attengono a questo mondo, per essi non havvi nè una falsa natura, nè un falso universo; non sostituiscono il vuoto all'essere, il cielo alla terra. Pure non riescono nell'intento, e sono smentiti e ripulsi dalla natura. Poichè, in ultima analisi, la natura non risponde all'aspettativa dell'uomo; se vi risponde, spesso s'inganna; che fare? La teoria è positiva, materiale; ed essendo affatto meccanica, termina tutta nel meccanismo: se il meccanismo fallisce, bisogna sostituire all'aspettativa il disinganno, alla speranza la disperazione, al coraggio la viltà, al ritmo della vita una scempia igiene per la conservazione della nostra salute. Il ritmo guerriero, militante, che invoca la solidarietà umana, viene compiutamente disconosciuto. Quindi la filosofia inutile alla vita; quindi gli ardenti apostoli della libertà trasformati da una disfatta in misantropi inetti; quindi il magnanimo entusiasmo surrogato poi da un duro disprezzo per l'umanità, il quale dovrebbe pur essere riservato a coloro che confidano la causa del vero ad un evento, e non al principio stesso della vita. Il dí della sconfitta cadono in terra, non havvi più il fatto meccanico esterno che li sostiene; il generale, il liberatore, l'imperatore in cui confidavamo, è sparito: e dopo d'aver proclamata la natura benefica, finiscono a proclamarla ostile, e si lasciano vincere dal fato del loro proprio egoismo.

La terza soluzione metafisica dell'antinomia tra l'uomo e la natura fu data dai mistici: benchè sia la più assurda, pure cerca la vita là dove si trova I mistici intendono che la logica non può penetrare il secreto della vita nè colla ragione, nè colla sensazione; essi abbandonano il razionalismo ed il materialismo alle contraddizioni eterne della critica; secondo essi, la vita sta nella fede, nei miracoli del cuore, nei trasporti dell'estasi. Al certo è la vita della vita: però i mistici sono metafisici, devono stabilire un principio primo, devono subordinargli in qualche modo tutte le apparenze e bisogna così che un'apparenza regni su tutte le altre. Di là una serie indefinita d'errori. La fede, l'estasi, i rapimenti interiori, dacchè vengono assunti a principj primi, devono mostrarsi esteriormente; i mistici s'arrogano dunque di parlare di quanto è ineffabile. Non potendo adunque render palpabile la fede, il rapimento interiore, in altri termini, non potendo descrivere direttamente il ritmo, ci espongono una data fede, un amore, una vita tutta reale, identificata con un sistema meccanico, con una religione di formule. La loro fede è cattolica o musulmana; la loro estasi è cristiana o buddista. Per una conseguenza naturale presentano il loro proprio sistema mistico qual regola dell'universo; gli angeli e gli arcangeli devono collaborare colle stelle e cogli animali, perchè l'aspettativa del credente non sia delusa. Tutto deve essere subordinato alla fede del credente: dunque se hannovi popoli aderenti ad altri sistemi, saranno falsi popoli; se havvi una parte della natura in contraddizione colla fede, sarà una falsa natura: se la fede richiede miracoli, i cieli devono aprirsi, la natura deve cedere all'istinto del credente; essa è il velo attraverso al quale il credente intravede un universo, che obbedisce alla sua aspettativa. Il misticismo viene avversato? Allora diventa scettico, dimostra che tutto è falso, che tutto è contraddittorio, e s'arma della logica per negare i fatti incontestabili. Gli si dimandano dimostrazioni? Il suo principio è prefisso; è vitale, generatore, implica la possibilità d'ogni prodigio. Ne nasce che il mistico si vale dell'esperienza per oltrepassarla, si giova dell'osservazione per negarla; non vive mai nella natura; vive come se fosse in un altro mondo. Enumera le foglie dei fiori, gli organi degli animali per penetrare il numero misterioso della genesi delle cose; come Giacomo Boehm cadrà in estasi dinanzi ad una pentola di stagno per decifrare nell'incanto della lucidità metallica il principio di una trasformazione cosmica; dunque il fatto non sarà mai fatto, ma indizio di un altro fatto; la realtà non sarà mai realtà, ma un segno del possibile. Il vero sarà dunque nel possibile, sarà fuori della natura, estravagante quanto il vero de' razionalisti: la felicità chiesta ad indizi fugaci e capricciosi sarà assurda quanto il benessere del materialismo. Tale è il procedere di Giacomo Boehm, di Roberto Fludd, di Carlo Fourier; tale è sempre stata la metafisica della vita nella equazione fantastica del misticismo.

Ho indicato i caratteri delle tre grandi teorie metafisiche della vita. Le teorie intermediarie rappresentano la complicazione degli stessi vizi.

 

 




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