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Giuseppe Ferrari
Filosofia della rivoluzione

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  • PARTE SECONDA   DELLA RIVELAZIONE NATURALE
    • SEZIONE SECONDA   LA RIVELAZIONE DELLA VITA
      • Capitolo XII   LA POESIA DELLE RELIGIONI
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Capitolo XII

 

LA POESIA DELLE RELIGIONI

 

Prima che vi siano i drammi e i poemi, la stessa religione è un dramma ed un poema. Nel formarsi essa non cerca il bello, ma la verità, non tende che alla felicità, è opera della ragione. Pure, ogni atto della ragione vien suggerito dall'ispirazione della vita; la religione è nel tempo stesso un sistema mistico e un sistema meccanico: il secondo, creato dal primo, lo desta di continuo, ne è il segno, l'effetto, e attende, per così dire, l'istante di rivelarsi a noi come una vera epopea.

La religione svela la sua poesia quando non è più un mezzo di salute, nè una verità, nè un interesse: quando trovasi ridotta ad una favola, ad un errore del passato; quando ha cessato di essere la religione. Finchè la religione sussiste, la poesia è velata, i personaggi della leggenda sono veri personaggi; si adorano, si temono, e loro si dimandano i beni della terra e del cielo. Quando combattiamo una religione siamo ancora preoccupati dalla verità o dall'interesse, ci fondiamo sui fatti; confutando i dogmi, cerchiamo la realtà. La religione è dessa abbattuta? Allora i suoi dogmi sono errori, i suoi Dei più non ispirano amore, nè timore, il suo cielo tramonta, infranto è il suo sistema meccanico, e all'istante medesimo il sistema mistico, che vi era imprigionato, splende rivelando la sua poesia naturale. Così la grandezza del cattolicesimo, la poesia de' suoi dogmi, l'ingenua bellezza delle sue leggende, il fasto delle sue cerimonie, in una parola, il misticismo cristiano, è inteso le mille volte meglio oggidì, che non lo fosse nel medio-evo. Per noi i sistemi della China, dell'India, della Grecia, non sono se non vuote rappresentazioni; furono concetti nello scopo unico della verità, furono costrutti nell'interesse di un popolo; eppure oggi, che riduconsi a meri errori, offrono per noi lo spettacolo della più splendida poesia.

Anche i sistemi filosofici, come quelli di Platone e di Aristotele, fatta astrazione dalla verità e dalla filosofia stessa, ci palesano una bellezza, la quale è la rivelazione del sistema mistico da essi meccanicamente espresso. V'ha in essi un contesto di teorie, un atteggiamento di idee, un sì ammirabile congegno di cose, che contemplandoli proviamo un sentimento analogo a quello che ispira l'architettura di un tempio greco, o di una gotica cattedrale. La poesia de' filosofi si mostra inferiore a quella della religione, solo perchè la vita di una scuola è meno forte della vita di un popolo.

La seduzione che offre la storia e lo studio dell'antichità deriva dal sistema mistico e dal ritmo della vita, in cui scorgiamo la bellezza della poesia naturale quale si è rivelata nelle società antiche. Che c'importano i Greci e i Romani? perchè aggirarsi nel labirinto del medio-evo? I barbari nulla possono apprenderci, i savi della antichità sono superati, l'archeologia limitasi a pascere una curiosità infeconda, la numismatica è una dotta puerilità. Sarebbe agevole il distruggere ad uno ad uno tutti gli studi storici; la scuola cartesiana ha già sfoggiato tutti gli argomenti della critica sdegnosa che disprezza la filologia. A malgrado di tutto, la storia è più forte della critica; ci svela il sistema mistico dei tempi antichi, la poesia naturale delle società greche, romane, orientali e barbare; e noi raccogliamo con una specie di estasi religiosa, tutte le ricordanze e tutti gli oggetti che portano le traccie della vita.

Hannovi epoche nude d'ogni poesia, tempi prosaici, in cui l'uomo è assorto dagli interessi materiali? Hannovi età critiche in cui la riflessione prevale sul sentimento fino a inaridire tutti gli istinti della poesia? Così si afferma e furono divise tutte le civiltà in due periodi, l'uno organico, l'altro critico. Nel primo, fu detto, le religioni si formano, le credenze si fortificano, la società s'organizza più forte degli individui, l'ispirazione uniforme trascina le moltitudini si vive sotto il regno della poesia. Nelle epoche critiche la fede vien meno, i dogmi sono assaliti, atterrati, gli uomini si isolano, la incredulità dissolve la poesia, l'egoismo distrugge la società.

Non havvi epoca alcuna in cui la poesia possa perire. Nel pensiero i sistemi si succedono senza interruzione; sono le idee che distruggono le idee, sono i dogmi che succedono ai dogmi; nel cuore il movimento è analogo, benchè distinto; la fede succede alla fede, un nuovo sistema mistico succede al sistema mistico che svanisce. Non havvi sistema mistico senza sistema meccanico, come non v'ha sistema meccanico senza sistema mistico; l'ispirazione naturale e il pensiero sono sempre contemporanei; ogni epoca è bella se siamo spettatori disinteressati della sua bellezza.

I filosofi che hanno divisa la storia in periodi poetici e in periodi critici, cedevano ad un'illusione assai strana; supponevano che i fondatori delle religioni per noi poetiche fossero veramente poeti; imaginavano che quei riti, per noi spogli di ragione, fossero dettati dalla fantasia. Gli inventori delle religioni erano uomini positivi, per essi l'inventar un Dio era un problema severo quanto i problemi dei nostri astronomi; essi cercavano la verità, e non la poesia, erano soggiogati dallo stesso sistema che sviluppavano; potevasi dire di essi come de' nostri metafisici, fingunt simulque credunt. Il loro secolo dinanzi ad essi era prosaico; la loro religione era una scienza; essi divennero poeti per noi nel giorno in cui l'opera è morta. La nostra epoca subirà la stessa sorte. Noi ci crediamo positivi, prosaici, non possiamo celebrarci col verso, il poeta odia il dare e l'avere, il carbon fossile e la cotoneria; chiediamo ai nostri trovati la verità e la felicità, crediamo che ce le arrechino: è forse ragionevole di chieder loro in pari tempo una poesia? Non aneliamo al momento in cui la nostra società si svelerà poetica; l'apoteosi non giunge se non dopo la morte.

La poesia dei veri poeti, lungi dall'apparire nelle epoche che chiamansi poetiche, appare assai tardi, non dirò nelle epoche critiche, che non esistono, ma quando la religione ha oltrepassato il suo meriggio. Allora il sistema mistico è completo, la musica è scritta; l'arpa che il poeta deve toccare è temprata. La fede si scema, è permesso di dar la parola agli Dei senza profanarli; il sole del bello comincia a spuntare, si può intendere il canto del cigno. Virgilio celebra Roma che declina, il sistema romano lascia indurre la poesia di una grandezza che può perire; il cristianesimo è imminente: è tempo di celebrare gli Dei di Anchise, più tardi non sarebbe più tempo. Istessamente i contemporanei di Carlomagno non scrivono le epopee cavalleresche; le epoche che cominciano quando il feudalismo decade.

 

 




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