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Giuseppe Ferrari
Filosofia della rivoluzione

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  • PARTE SECONDA   DELLA RIVELAZIONE NATURALE
    • SEZIONE SECONDA   LA RIVELAZIONE DELLA VITA
      • Capitolo XIV   IL RIDICOLO
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Capitolo XIV

 

IL RIDICOLO

 

All'espressione naturale del ritmo opponsi l'antitesi di un'espressione artificiale, fittizia: la prima chiamasi seria, nella seconda appare il ridicolo.

Il ridicolo non si definisce: è un apparenza primitiva, è ineffabile come tutti i fenomeni vitali; si possono determinare le circostanze che lo accompagnano, ci sfugge sempre nella sua essenza anti-meccanica. Stando ad Hobbes esso suppone in una súbita indecenza che non ci sia personale: quæ risum movent, dice egli, tria sunt conjuncta: indecorum, alienum et subitum. Le tre condizioni possono però verificarsi senza che il ridicolo si manifesti. Se col rendere indecente un eroe si rende ridicolo, si può deriderlo senza che l'indecenza si riveli; la satira dei vizi non è la satira dell'indecenza. Giusta Descartes, il ridicolo dipende da un sentimento di superiorità; chi ride domina il deriso: la è cosa certissima: la fatuità è beffarda, il celiatore di spirito non ride mai, i più arguti epigrammi suppongono una mente tranquilla e imperturbabile. Però sarà sempre vero che il sentimento della nostra superiorità e il sentimento comico non possono confondersi, nè tradursi l'uno nell'altro, nè ammettere una medesima definizione. In sentenza di Kant il ridicolo sarebbe un'aspettativa fallita. Dopo aver posto il bello nella finalità Kant deve definire il ridicolo come un difetto subitamente scorto nei mezzi incapaci di raggiungere uno scopo. Qui ancora l'aspettativa può essere ingannata, senza che il ridicolo si manifesti: v'hanno di goffe indecenze che muovono a riso e stanno. nell'ordine, non ingannano alcuna aspettativa, ed anzi raggiungono uno scopo naturale.

Torna vano ogni tentativo per cercare l'equazione del ridicolo: ogni fatto esterno tende a confonderlo o coll'indecenza o col vizio o coll'errore; e una volta identificato coll'indecenza, col vizio o coll'errore, vien negato quando appare sotto la vera sua forma.

Esaminato nel suo mistico apparire, il ridicolo nasce nell'istante in cui la rivelazione vitale e la rivelazione esterna cessano di essere correlative, cioè nell'istante in cui un sentimento vien accoppiato con un'azione che non gli corrisponde. Qual'è il modo più facile e più spedito di far ridere? Si è il travestirsi: il mascherarsi eccita l'allegria, e trae la sua forza comica dal disaccordo tra la maschera e la persona. Che cosa è il deridere, il celiare? Consiste nel mistificare, nel destare timori, spaventi, contenti a controsenso, assolutamente fuori del vero. Il pesce d'aprile, le freddure, i giuochi di parole, gli indovinelli, il rebus si fan giuoco di noi, equivocando su di una doppia realtà; lo stesso dell'epigramma, della satira che maneggiano l'equivoco con maggiore superiorità ed arguzia. Don Chisciotte non è ridicolo se non perchè trasporta il sentimento della poesia cavalleresca nel mondo moderno: il suo elmo è un piatto, il suo paggio un paesano, la sua Dulcinea coltiva la terra, i giganti che combatte sono molini, le vittime che libera sono i galeotti; lo equivoco è continuo, il ridicolo perpetuo. Trasportiamo il sentimento della vita moderna nel mondo cavalleresco, non sarà meno piacevole; ne sia prova le bourgeois gentilhomme.

La parodia è fonte facilissima di ridicolo: ma dove attinge la sua forza comica? Nel contrasto tra il sublime e il volgare, tra i tempi eroici e i nostri tempi; essa conserva l'antico meccanismo urtandolo ad ogni verso: il ridicolo è agevole, il parodiare equivale al mascherare. Il perchè ogni poema eroico ebbe la sua parodia, l'Iliade come l'Eneide, le Notti di Young come il Werther: la Gerusalemme liberata fu tradotta in quasi tutti i dialetti d'Italia: al solo intendere la lingua di Arlecchino e di Pulcinella nelle bocche di Goffredo e di Tancredi l'equivoco d'un doppio vero provoca al sorriso.

La separazione tra il sistema mistico e il sistema meccanico nelle crisi religiose divien forte, ed è precisamente nella lotta delle religioni che il ridicolo sorge fortissimo. Qui il credente paventa esseri che non esistono, si prostra dinanzi a statue indifferentissime alla sua adorazione, è mistificato dalla propria fede, e il sistema de' suoi sentimenti lo rende essenzialmente comico agli occhi degli increduli. Quindi Luciano e Voltaire: quante declamazioni contro il volterianismo: dotti, pedanti, gesuiti, voi vi siete collegati contro la satira: conato inutile. Si ride, siete vinti.

Il mefistofele di Goethe non è volteriano, deride l'uomo, non il credente; la sua ironia sorge amara, quasi dal più cupo fondo della mente. E qui ancora sta nell'equivoco tra i sentimenti dello uomo e le cose della natura, tra la nostra aspettativa e la realtà che ci attende; l'equivoco ci fa parere l'uomo mascherato, ce lo mostra sulla sua corsa a traverso i secoli sempre vinto dalla plumbea fatalità e sempre inteso a celebrare vittorie mani che si smarriscono nel nulla.

L'uomo è un animale che ride perchè s'inganna d'assai, perchè varia di sentimenti; tolto l'errore, il ridicolo non starebbe. Però il ridicolo non si oppone al vero, non fa equazione coll'errore; non si oppone al bello, non fa equazione col deforme; non si oppone se non al serio, bello o deforme, vero o falso; non si oppone se non al serio, preso qual sinonimo di naturale, di spontaneo. Il ridicolo può essere bello, brutto, vero, falso, perchè queste qualificazioni abbracciano ogni manifestarsi della vita e degli esseri. Come adunque il ridicolo diventerà sorgente di bellezze, materia dell'arte? Come ogni altra cosa, purchè siavi la bellezza, e si riveli al poeta. Per sè il ridicolo risiede nella violazione del rapporto tra l'io e le cose, tra la vita e gli oggetti: non risiede altrove, non fuori di noi; non nelle cose, le quali veramente o per traslato (qui poco ci cale) si dicono belle e deformi. Il ridicolo divien poetico quando la mente seria e disdegnosa lo colpisce dall'alto di una regione inviolata e sicura; nè mai il serio fu più profondo che presso Voltaire e Goethe, che deridevano l'uno il cattolicismo, l'altro l'umanità. In questo senso Descartes aveva il diritto di affermare che il ridicolo suppone la superiorità di chi ride.

 

 




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