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Giuseppe Ferrari
Filosofia della rivoluzione

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  • PARTE SECONDA   DELLA RIVELAZIONE NATURALE
    • SEZIONE TERZA   LA RIVELAZIONE MORALE
      • Capitolo XIII   LA FAMIGLIA
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Capitolo XIII

 

LA FAMIGLIA

 

La logica discioglie la famiglia: parlate della fedeltà coniugale? Non si danno leggi all'amore. Parlate del dovere del padre e della madre verso i figli? I figli sono figli della natura, e non della volontà dell'uomo. Parlate dei doveri dei figli verso i genitori? I figli non devono nulla ai parenti, che li generavano non pensando che a sè. L'amore può intervertirsi, e la logica non sa scegliere tra la salute e l'infermità, tra la costituzione e la dissoluzione della famiglia.

È la natura che fonda la famiglia, e las fonda colle due rivelazioni della vita e del dovere.

La rivelazione della vita conduce alla famiglia; il ritmo della vita suppone i due sessi, li avvicina, oltrepassa l'atto dell'amore, protegge la gravidanza della sposa, protegge la madre lattante, l'affeziona al figlio per eternare l'opera sua. Nulla sfugge a questo sentimento; l'arte non sarebbe possibile se facesse comparire sulla scena esseri neutri, senza padre, senza madre, senza figli; havvi dunque la vita della famiglia, la poesia della famiglia. Essa comanda all'intelligenza, e l'intelligenza ne attua le aspirazioni nel mezzo del meccanismo esteriore. Qui l'intelligenza prevede la prole che nascerà, la vecchiaja dei genitori: essa determina gli interessi della famiglia, ordina la famiglia. Tale è l'opinione di tutti i popoli. L'antichità considerava il matrimonio come una invenzione, l'attribuiva a Fou-ki, a Teuth, a Cecrope; lo riponeva tra le prime scoperte in un coll'aratro, colla scrittura, coll'arte di fondere i metalli. L'opera vitale del matrimonio interpretata dai legislatori si trova poi sorretta dalla rivelazione morale, che sorge parallela agli interessi della famiglia. Chi insegna all'amore la religione dell'amore? Nessuno; la natura. Chi insegna all'uomo essere il parricidio il più nefando dei delitti? È la natura. Il ritmo morale segue il ritmo poetico; ad ogni interesse della famiglia corrisponde un dovere; l'intelligenza determina l'interesse, il cuore dètta il dovere.

Se ci scostiamo dalla rivelazione, manca la vita, manca il sentimento, ci troviamo in presenza dei dilemmi eterni dell'amore; chi tenta di scioglierli, crea il matrimonio che chiamerò metafisico, la famiglia metafisica; ed ogni diritto, ogni dovere sfugge all'arida impotenza del falso, per ricadere Delle contraddizioni critiche dell'amore comandato. - Vogliamo noi determinare metafisicando se il matrimonio ammette la poligamia o prescrive la monogamia? Non v'ha dato per rispondere a priori; la poligamia e la monogamia formano un dilemma. L'idea che il matrimonio è un contratto non vale a respingere la poligamia: il contratto, non obbliga se non nei limiti del contratto, può essere stipulato sotto le condizioni della poligamia e della monogamia, e il contratto lascia sussistere il dilemma. Nessuna considerazione fisica può scioglierlo; se Gesù Cristo disse: eritis duo in carne una, se l'atto dell'amore è essenzialmente monogamo, pure la maternità lascia libero l'uomo di cercare altra compagna; l'atto dell'amore è monogamo anche nel toro e nel gallo, destinati dalla natura alla poligamia. Le considerazioni morali prese nella loro astrattezza non tolgono il dilemma. L'amore, dicesi, è esclusivo, identifica due vite, due destini: ebbene? Si tratta di sapere se il matrimonio deve obbedire all'ideale dell'amore, se la legalità deve seguire Platone, comandare l'imitazione di Eloisa o di Beatrice; si tratta di sapere se la legge deve imporre ad ogni onest'uomo di perpetuare in casa sua l'istante del delirio poetico, che congiunge due esseri involati dall'amore al consorzio dei viventi. E se guardansi dappresso gli ideali dell'amore, l'ordine superiore di adorare una donna in eterno, non si trova consigliato da Petrarca, nè da Dante nè da Platone, nè da alcuna leggenda cavalleresca, nè, in generale, dalla poesia, che distingue benissimo la diade dell'amore da quella del matrimonio. Platone consiglia la comunanza; Petrarca vive poligamo, i cavalieri amavano l'altrui donna; se l'avessero sposata, la poesia li avrebbe obbligati a scegliere un'altra signora. Concesso poi che la poesia tenda alla monogamia, la poligamia ha i suoi poeti, le sue leggende, le sue dolcezze; Sacontala si oppone alle nostre eroine monogame; le donne orientali intendono meravigliate ed ironiche il meschino matrimonio a cui si condanna l'Europeo. Quindi i costumi, gli usi non valgono alla volta loro a sottrarci al dilemma: se l'Europa accetta la monogamia, l'Oriente rimane nella poligamia; se il Nuovo Testamento vuole il matrimonio europeo, l'Antico Testamento celebra il matrimonio de' patriarchi. Ascoltiamo un Padre della Chiesa: «Qual delitto possiamo noi imputare,» egli dice, «al santo uomo Giacobbe di aver avuto più donne? Se consultate la natura, egli si è servito di queste donne per aver figli; se consultate i costumi, i costumi autorizzavano la poligamia; se consultate la legge, nessuna legge vietava la pluralità delle donne».

Chi governerà la famiglia? La metafisica non può trovarle un capo. Perchè l'uomo avrebbe il diritto di comandare? La sua forza è solo un fatto materiale, costringerà la donna senza obbligarla; la sua intelligenza può non essere superiore a quella della donna; il suo sesso per sè non dà diritto al comando; chi sarà dunque il capo? Senza un capo, il matrimonio istituisce la guerra perpetua nella famiglia; dato un capo, si giunge alla tirannia. Poi, quali saranno gli obblighi vicendevoli dei coniugi? L'obbligo stesso della fedeltà si sottrae alla metafisica, che lo lascia cadere nelle antinomie del senso, o in quelle del sentimento, o in quelle dell'interesse, o in quelle della ragione. Nel senso, l'amore vuol essere libero, non vuol subire l'impotenza o il tedio di un coniuge aborrito. Nel sentimento si verifica lo stesso fenomeno; quanto più la metafisica esagera l'ideale dell'amore per imporlo al matrimonio, tanto più lotta contro la fedeltà nell'istante in cui l'amore respinge la coppia riunita dalla legge. L'interesse consiglia egualmente la fedeltà e l'infedeltà; se vuole il marito assicurato contro l'intrusione di un figlio nel seno della famiglia, può consigliare allo Spartano di offrire la moglie ad un illustre straniero: uso generale in vastissime regioni. Anche la ragione esita tra la fedeltà e l'infedeltà: e come non dubiterebbe? Vuota, astratta per sè, non può se non dare una forma astratta ai diversi motivi del senso, del sentimento, dell'interesse, e metafisicando sulla loro forma astratta, li lascia ricadere nelle precedenti antinomie. Se si avesse a ragionare sul contratto ammesso, stipulato, la soluzione sarebbe facile; ma non si dimentichi che qui si tratta di dar leggi al contratto, di limitarne la libertà, d'interdire ai contraenti di pattuire le condizioni che più loro aggradano. La contraddizione poi si fa maggiore quando consideriamo l'autorità del padre sui figli: e qui nessuna equazione vale a dedurla nè dall'atto della generazione, nè dal fatto dell'amore: alcuna misura astratta non può determinarla, sì che restiamo dubbi tra lo Spartano, che può esporre, uccidere il neonato, tra il prisco Romano, che può condannare il figlio alla morte, e l'Europeo, che non può sottrarlo alla religione dominante dello Stato.

La madre può rimaritarsi col figlio? il padre può congiungersi colla figlia? La metafisica non sa nemmeno combattere l'incesto. Aristippo, Cleante, Crisippo lo credevano legittimo: sulla più gran violazione della legge della natura, la giurisprudenza naturale trovasi compiutamente disarmata. Perchè vieta essa il matrimonio della figlia col padre, della madre col figlio? Si pretende che l'incesto stabilisca diritti contraddittorj, che metta in opposizione l'autorità dei parenti sui figli coll'eguaglianza giuridica stabilita dal matrimonio tra gli sposi Ma v'ha inganno: il matrimonio incestuoso si limiterebbe a far succedere l'eguaglianza all'ineguaglianza; il che accade nella stessa famiglia nell'istante in cui il padre emancipa il figlio. D'altronde l'autorità antica che il marito esercitava sulla sposa non permetteva forse il matrimonio che avrebbe potuto contrarre colla propria figlia? - Secondo un'altra teoria, l'amore è soddisfatto, compiuto, esaurito colla generazione del figlio, e la nuova generazione trovasi così separata da quella che la precede. Questo è un fatto, ma il tentativo dell'incesto gli oppone un fatto contrario; voi asserite che l'amore è compiuto, che non desidera più alcuna soddisfazione: ma l'incesto desidera una nuova soddisfazione, ma chiede il rinnovamento dell'opera dell'amore. Perchè l'amore non potrebbe divenire incestuoso poichè lo diventa? - Fu imaginato che il padre potrebbe abusare della sua autorità per sedurre la figlia, che bisogna togliergli la speranza del matrimonio: e qui s'incontrano nuovi ostacoli. A chi confideremo la figlia se non si confida al padre? Rifiutandola in matrimonio al padre, si imagina un espediente per sottrarla a un'infame libidine, senza dimostrare l'infamia stessa dell'incesto. - Si dice ancora che l'incesto offre in sè qualche cosa di odioso e di contrario alla natura: chi ne dubita? Eppure la ripugnanza scompare nel fatto stesso dell'incesto, e la metafisica, che vorrebbe trovare un titolo per separare l'incesto dall'amore naturale, non raggiunge lo scopo.

Insomma, il matrimonio è un'invenzione come l'arte di coltivare la terra di fondere i metalli. I nostri metafisici, dandogli leggi astratte, si limitano a copiare, a tradurre il matrimonio cristiano in formole scolastiche, che adornano poi con isquisitezze e sentimenti raccozzati a caso. Stiamo alla rivelazione, vedremo quale dovrà essere l'arte della famiglia; stiamo all'arte, la vedremo consacrata dal cuore. In astratto non v'ha legge; l'uomo astratto, la donna astratta, non esistono; ditemi dove vivete, qual'è la vostra patria, quale il sistema sociale a cui appartenete; ditemi qual'è l'idea che avete dell'uomo, e allora vi dirò quale dovrà essere la famiglia e come l'uomo dovrà essere rispettato nella triplice forma di padre, di madre e di figlio.

Noi rispettiamo l'umanità, dovunque appare la forma dell'uomo; questo è il nostro principio, ed esso ci ritrae dalle aberrazioni della metafisica, ci rivela l'ideale della famiglia.

Il matrimonio deve essere, perchè invocato dall'amore, e perchè l'umanità è in potenza nell'atto del nostro moltiplicarsi. La legge deve governare il matrimonio, perchè non può lasciare al caso il riprodursi della specie, l'iniziarsi dello Stato e dell'umanità. Impotente a raccogliere dalla culla ogni vivente, incapace di sorgere colle forze sole della comunanza, lo Stato deve imporre all'amore tutti i pesi della comunanza, e subordina tutti i contratti dell'amore ad una formola unica e comune a tutti i cittadini. Quale sarà questa formola?

In primo luogo, proscrive la poligamia e la poliandria, perchè l'umanità è in ogni uomo, in ogni donna e l'umanità respinge la poliandria che suppone l'uomo dominato dalla donna, la poligamia che suppone la donna dominata dall'uomo. Nella nostra rivelazione il contratto della schiavitù è perento ex jure. L'obbligo della fedeltà reciproca nasce dall'eguaglianza dei coniugi, è voluto dalla vita che s'esprime colla forza della gelosia, dell'orgoglio, è consacrato dalla coscienza, dal pudore, dalla morale. Non parlo d'altri interessi per cui l'adulterio diventa un furto. L'obbligo della fedeltà non soffre eccezioni: nessun popolo è supposto nemico, nessuno straniero deve diventare amico coi vincoli del sangue: l'infedeltà spartana non è prevista, è proscritta; se nasce consentita è mercato infame, in cui sono stipulati vantaggi eslegi, fuori dell'ordine generale e naturale dell'umanità quale a noi si rivela. La libertà, l'eguaglianza, la moralità dei coniugi suppongono la libertà reciproca del divorzio; la legge non deve aggiungere ai sacrifizi imposti all'amore quello del matrimonio indissolubile nell'interesse della prole. Se la prole non esiste, la perpetuità del matrimonio è tirannia gratuita; se v'hanno figli e se i figli non valgono a tenere imiti i coniugi, la legge deve riconoscere la propria impotenza, e rinunziare ad una lotta disperata e scandalosa contro la spontaneità dell'amore.

In secondo luogo, chi sarà il capo della famiglia? Il capo rivelasi nell'uomo, l'uomo si sente più operoso, più forte, più giusto, la donna si sente sommessa, riservata, pudica. La legge deve accettare questa dualità per fare dell'uomo l'amministratore della famiglia. La società deve preferirlo, non per costituirlo padrone, ma per avere un delegato risponsabile della famiglia dinanzi alla comunanza che non può assorbirla. Quanto era barbara ed impotente l'antica comunanza, altrettanto era barbara ed assoluta la potenza del marito. Svanì l'autorità maritale degli antichi, potrà diminuire la nostra; non v'ha mezzo per lottare contro la debolezza del sesso, contro il predominio fatale degli affetti femminili, contro la necessità di dare un rappresentante alla famiglia. Respingiamo quindi la metafisica di Platone, di Campanella e di Saint-Simon, che eguagliavano il marito alla moglie, e predicavano l'emancipazione della donna. Il termine medio della pretesa eguaglianza era la ragione; termine vuoto; che passava dall'uomo alla donna, dimenticando l'uomo e la donna, trascurando il sesso che nella nostra specie comprende tutta la persona; penetra nel pensiero, determina nella rivelazione morale una dualità ineffabile e incontestabile. E la dualità fu sempre riconosciuta, accettata dalla donna, che tende piuttosto ad esagerarla che a dissimularla; come lo attestano i costumi e lo stesso vestire che raddoppia la differenza del sesso. Parlate di emancipare la donna? volete emanciparla dalla sua missione, dal suo pudore, dalla sua dignità? Rimane sempre che il sesso femminile sotto l'aspetto della giustizia è inferiore. La figlia d'Eva è divota, affezionata, vi ama; e vi ama a tal punto, che odia chi vi nuoce, fosse pure nel suo diritto, foste pure nel vostro torto: questa è la miseria della donna; è tocca dall'individuo, più che dall'umanità e convien che altri rappresenti la famiglia dinanzi a tutti.

Anche l'autorità del padre vien determinata dalla rivelazione dell'umanità: lo Stato gli ha imposto il contratto dell'amore nella previsione della prole; al nascere della prole lo Stato deve raddoppiare di previsione e reclamare alla comunanza l'uomo nascente nel figlio. Quindi il padre trasformato in tutore momentaneo, vigilato, esaminato, reso responsabile del destino del figlio emancipato, appena può bastare a sè stesso. Ne' tempi barbari l'autorità paterna era immane perchè lo Stato era impotente, non curante dalla natura umana quando era disgiunta dall'idea del cittadino armato che difende la patria. Coloro che in oggi resistono all'autorità dello Stato, lottando per la libertà della famiglia, disconoscono e la religione dell'umanità e la propria religione. Sono cattolici, e sono in contraddizione con sè stessi. Da Giustiniano ai nostri tempi non hanno cessato di imporre alla famiglia l'educazione cristiana, costringevano i padri a trasmettere ai figli la fede della Bibbia. Se la famiglia cristiana è più elevata, più pura della famiglia pagana, non deve la sua elevazione se non al giogo della comunanza, che aveva più forte, rinunciando al diritto di esporre il figlio, di punirlo colla morte, di sottrarlo ai principJ della grande comunanza cristiana. Il cristianesimo regna più tirannico sulla famiglia, che non lo Stato di Sparta, limitato a volerla nudrita ne' pubblici banchetti, e pubblica negli esercizi militari, che saranno sempre comuni in ogni civiltà. Il cristianesimo introdusse nella famiglia il sacerdote, un giudice a cui nessun secreto può esser sottratto, e da cui dipendono il marito, la moglie, i figli: egli può dividere, denunziare, accusare, coi mille mezzi del consiglio, della minaccia, colla legge cristiana e anche colla legge politica. Il cristianesimo impose all'amore il tributo, il peso più duro che sia stato concetto dal principio del mondo; ed ora grida libertà, vuole i figli lasciati all'impero de' conjugi, vuol l'educazione libera. Tanto vale chiedere la dissoluzione della comunanza, dello Stato, della società. Da che la bandiera dell'umanità cadde dalle mani dei cristiani, spetta alla religione nostra, che si vanta irreligione, di raccoglierla, d'innalzarla più alta, di sottomettere il matrimonio all'idea stessa dell'umanità, poichè concetto nell'interesse dell'umanità. Quindi i diritti dell'educazione nazionale sorgono dal principio stesso del matrimonio, autorizzati dagli antecedenti del cristianesimo.

 

 




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