Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
Giuseppe Ferrari Filosofia della rivoluzione IntraText CT - Lettura del testo |
|
|
Capitolo XV
LA SOVRANITÀ
La logica reclama la sovranità, e la rende impossibile. La reclama perchè non si fonda la società senza creare un potere infallibile, inappellabile, superiore alla legge, e giudice di tutte le leggi. Se il cittadino conserva il diritto di resistere al legislatore, di protestare contro i tribunali, la società è discussa, assalita, disciolta. Dall'altro lato, se il cittadino obbedisce, i suoi beni, la sua famiglia, la sua vita sono in balia del sovrano, cessa di esser libero, è schiavo della società. La sovranità distrugge la libertà, la libertà distrugge la sovranità: non v'ha mezzo. Questo è, sotto nuova forma, il dilemma della libertà e dell'eguaglianza, della proprietà e della comunanza, del contratto e dei diritti inalienabili. Fu considerata come problema l'antinomia: quindi ne nacque la metafisica della sovranità. Cominciava dal giorno in cui la riforma abbatteva l'autorità infallibile, inappellabile della chiesa, primo principio della teocrazia e della sovranità de' tempi di mezzo. Era necessario supplire alla chiesa: in qual modo adunque si costituisce l'onnipotenza del sovrano? Il giurisconsulto non può dedurla se non da un contratto, e Grozio domanda ingenuamente al contratto di schiavitù l'equazione metafisica della sovranità. È lecito, dice egli, di vendersi, di farsi schiavo; hannovi popoli naturalmente schiavi, essi obbediscono ciecamente ai re, ai nobili, ai conquistatori; la storia ci offre esempi del regno servile liberamente accettato; dunque è lecito di costituire la sovranità, e una volta costituita, il suo potere non ha limiti. Il contratto della schiavitù non basta ancora a Grozio non dà ancora l'equazione della sovranità: e se lo schiavo è servo del proprio contratto; in ogni contratto sonovi casi che invocano la decisione dei tribunali o quella della guerra; sonovi casi che suppongono l'eguaglianza delle parti, il diritto d'interpretare il patto, di mantenerlo, di annullarlo. Grozio deve caercare altri termini all'equazione della sovranità, altre equazioni alla servitù del cittadino. La donna, dice egli, dopo scelto il marito, gli deve obbedienza per sempre; la tutela, benchè stabilita a profitto del minore, non dà al minore il diritto di ribellarsi contro l'autorità del tutore. Lo schiavo, la donna, il minore, ecco il popolo; il padrone, il marito, il tutore, ecco il governo: ed è così che Grozio giunge in pari tempo alla sovranità e al despotismo. Tutta la sua giurisprudenza di Grozio ci domina quasi fossimo schiavi, donne o fanciulli. Grozio non ha inteso l'uomo, lo paventa; se l'uomo apparisse, distruggerebbe la sovranità, lo stato, la società. Ma l'uomo appare ad ogni istante; un giorno scopre verità che il sovrano ignora; l'altro giorno proclama una religione che il sovrano perseguita, o svela l'impostura d'un dogma che il sovrano impone colla forza. Che fa Grozio? Combatte per il sovrano contro la verità, per la legge contro la giustizia, per l'autorità contro la ragione: se il sovrano ci fa investire dai sicari, Grozio vuole che imitiamo la legione tebana, e se Grozio ci permette di difendere la nostra vita, c'impone di non ferire gli assassini. Non accusiamo il cuore di Grozio; il gran giurisconsulto ci voleva liberi, voleva costituire un diritto senza l'intervento di Dio: questa era la sua grandezza; ma le sue astrazioni si rivoltavano contro le sue intenzioni; la sua sovranità, sorgendo dalla tesi della servitù, proteggeva il despotismo; il suo diritto difendeva l'antico diritto, il suo progresso vietava ogni progresso. La sovranità metafisica che costituiva, rendeva impossibile ogni società d'uomini liberi e sopprimeva quella verità e quella giustizia che Grozio proclamava, fatta astrazione da Dio. Hobbes si aprì una nuova via. Nel contratto havvi uno scambio di valori, uno scambio di diritti: Hobbes spiegò il contratto sociale col solo scambio de' valori. In sua sentenza, nello stato di natura l'uomo è nemico dell'uomo, havvi la guerra di tutti contro tutti. La società è necessaria per toglierci all'infelicità della guerra; la sovranità è necessaria per fissare la società; il diritto assoluto della sovranità è necessario per comprimere le ribellioni istintive che minacciano di continuo il ritorno dello stato di natura nel seno della società. Dunque la necessità fonda la sovranità. Tale è il principio di Hobbes. Ma due parole di giustizia e di ingiustizia non hanno senso presso Hobbes: egli analizza solamente gli interessi, fa astrazione dal diritto; per lui il contratto sociale riducesi ad uno scambio puro e semplice; nello scambio l'uomo concede la sua persona, i suoi beni, la sua famiglia; d'altra parte, il sovrano toglie l'uomo al caos dello stato di natura, lo crea una seconda volta, lo fa cittadino, assicurandogli la sua persona, i suoi beni, la sua famiglia. Lo scambio è utile, è necessario; nel fatto, la storia lo mostra consentito; il consenso è necessario per attuarlo? No: secondo lo stesso Hobbes alcun patto non ci può vincolare finchè dura lo stato di natura, è uno stato di guerra: se vi sono uomini che rifiutano di accettare il patto sociale, la società ha il diritto di trattarli da nemici, di costringerli colla forza, essendo essi ancora nello stato di natura. Il governo poi è assoluto, nulla può limitarne il potere: nè l'interesse, nè la morale, nè la religione del cittadino: chi gli resiste ricade nello stato di natura, deve esser vittima del più forte, si trova in balìa del governo. Dov'è adunque il diritto? Non è nello stato di natura, non nella società, non nel governo. Se Hobbes evita la contraddizione tra la libertà e la sovranità, si è che lascia il vero campo del contratto, quello del consenso, del diritto, della promessa accettata. Per Hobbes il diritto si confonde dappertutto colla forza: è la forza che lo costituisce nello stato di natura, è la forza che lo fa essere creando la società, è ancora la forza che diventa diritto in ogni governo: dunque dappertutto il vero diritto, la libertà dell'uomo, la libertà del contratto, la libertà di chi lo interpreta insorgono contro la sovranità hobbesiana. Del resto, l'antinomia della libertà e della sovranità riappare nel sistema di Hobbes, anche fatta astrazione dal diritto. I fatti si oppongono ai fatti, le forze alle forze: dunque l'individuo, le sètte, le fazioni possono armarsi contro la società, e la ribellione felice sarà legittima quanto la tirannia che trionfa. Hobbes suppone la giustizia nel governo, l'ingiustizia ne' ribelli: chi autorizza l'ipotesi? la debolezza dei ribelli? l'impotenza dell'individuo? Ma Socrate è più forte di Atene, Cristo è più potente di Tiberio. Quando il popolo e il governo sono in guerra, l'uno e l'altro possono egualmente trionfare: Hobbes passa nel campo del governo; noi siamo liberi d'intervertire l'ipotesi; e allora il governo sarà ingiusto, e sacra la ribellione. Una nota d'infamia fu impressa sugli scritti del filosofo di Malmesbury non fu peggiore di Grozio, e v'era nel suo sistema un pensiero liberatore. Combatteva la chiesa, gli abbisognava un'arme per vincerla: fu grande indicando lo scambio dei valori sociali; primo forzava il contratto sociale a discendere dalle aride astrazioni di Grozio, per renderlo veramente irreligioso e terrestre. Il suo torto fu di confidare alla metafisica la fondazione della società: la metafisica respinse colla rozza astrattezza della forza materiale l'anarchia della chiesa cattolica, ma in pari tempo reclamò la schiavitù per ispegnere chi, libero di mente, osasse giudicare la sovranità dell'Inghilterra protestante. Rousseau ha messo direttamente alle prese la libertà e la sovranità. Noi lo ripetiamo, se siamo liberi siamo sovrani: se eleggiamo un sovrano, v'ha un uomo o un senato o un popolo che dispone della pace, della guerra, quindi de' nostri beni, della nostra vita; non siamo più liberi, non siamo più uomini. Di là le conseguenze tiranniche de' metafisici, che cadono nella teoria della servitù. Rousseau vuole evitare l'ultima conseguenza della servitù, vuol combattere per la libertà, tenta di fare della sovranità stessa un'arme contro i tiranni. Per raggiungere l'intento, scinde il patto sociale in due parti. La prima riunisce gli individui, li trasforma in cittadini consociati, costituisce il popolo, e accorda al popolo la vera sovranità, cioè un potere assoluto, inalienabile, inappellabile, giudice supremo della società. Trovandosi costituito, il popolo sovrano elegge il governo e tutti i poteri che, sotto nomi diversi, esercitano la sovranità; questo è il secondo atto del contratto sociale, e ogni governo si riduce ad un mandato variabile, ad una scelta di persone che non áltera, nè modifica mai la sovranità del popolo. Rousseau combatte a meraviglia i governi, li mostra quali delegazioni effimere, quali depositari momentanei; in essi tutto è dovere, non hanno diritti, la sovranità rimane assoluta, inalienabile nel popolo. Chi la viola è tiranno, santa è l'insurrezione che lo atterra; santa è l'insurrezione del popolo, fosse pure ingrata, ingiusta, infame. Egli solo è giudice di sè; non v'ha re, non pontefice che possa credersi in diritto di resistergli. Per mala sorte Rousseau, fortificando il popolo contro il governo, lo fortifica in pari tempo contro ogni uomo. Perchè il popolo può abrogare, punire ogni governo? Perchè il popolo è sovrano, perchè il popolo è assoluto, onnipotente quanto il Dio della religione. Dunque è signore, dunque il popolo possiede tutti i diritti che Hobbes e Grozio concedevano al governo; dunque il popolo ha il diritto di bandire l'empio come insociale; ha il diritto di bandire chi non professa la sua religione; ha il diritto di vita e di morte su ogni cittadino. Secondo Rousseau, l'uomo si è dato al popolo, per la vita e per la morte (corps et biens); si è dato al popolo, che può cambiare le leggi, che ha il diritto di proclamar leggi malvagie, che toglie al cittadino il diritto d'interpretare le leggi. Rousseau trasferisce al popolo il despotismo hobbesiamo, nega il diritto di disobbedire al popolo, il diritto di distinguere il bene dal male, il diritto di giudicare il sovrano, il diritto di professare una religione, un'opinione che non sia da lui riconosciuta. Eccomi adunque schiavo di un'autorità dalla quale non posso appellarmi, di un'autorità che può impormi la guerra, la prigionia, la morte; di un'autorità che può prescrivere i miei pensieri, e ciò ch'io credo la verità, la salute della patria, la felicità del genere umano. Se l'uomo non può darsi ad una famiglia, ad un senato, ad un padrone, perchè potrà darsi ad un popolo? Rousseau dice che la volontà generale è buona, che il popolo erra meno del principe: sia pure: ma il popolo erra: ma il popolo volle morti i filosofi, gli eretici che precorsero alla civiltà; ma il popolo fu pagano, cristiano; è dappertutto buddista, braminico, teocratico, imperiale, ignorante ed infelice. Insorge? Si combatterà a nome della patria e dell'umanità. Vuol comandare perchè popolo? Ogni uomo ha il diritto di difendersi in nome dell'umanità; nessun popolo, fosse pur quello di Sparta, ha diritto d'imporre altrui l'ilotismo della sua fede e di gettarlo sul rogo. Che è questa sovranità sì forte, sì terribile, contrapposta da Rousseau a tutti i governi? È l'eterno diritto d'insurrezione accordato nel principio, negato di fatto, accordato alla città, rifiutato al cittadino. Ma questo diritto dev'essere accordato ad ogni uomo per le stesse ragioni che impongono di concederlo alla città. Perchè la città è sempre sovrana, sempre libera, sempre inappellabile? Perchè la sua libertà è inalienabile; essa non è una cosa, è una persona morale, non può perdere alcun diritto; contro di essa non havvi prescrizione, non errore che possa prevalere. Dunque l'individuo allo stesso titolo avrà il diritto d'insurrezione contro la città, che vuol disporre della sua vita, della sua coscienza, della sua religione, dei suoi diritti inalienabili. Il contratto sociale di Rousseau sacrifica il cittadino alla patria, dunque sanziona la schiavitù; Rousseau è primo a confessare che l'uomo non può essere libero se non ha schiavi, e quindi dichiara che la servitù è inevitabile fuori dello stato di natura. L'antinomia della sovranità non si scioglie; conviene accettare la soluzione che si rivela. Il contratto sociale scambia valori e diritti. Lo scambio de' valori è rivelato, e determina poi quello dei diritti. A priori ogni scambio di valori è impossibile: la rivelazione fonda la società, la costituisce, l'ordina; ne nasce il sistema sociale, e quale è il sistema, tal è il diritto: nè più, nè meno. Tolta la rivelazione de' valori, tolto il sistema, tolta la religione, come mai potrebbesi ottenere il consenso necessario per costituire la sovranità? Chi vorrebbe darsi in corpo ed anima ad altri uomini, accettando anticipatamente le leggi, i giudici, i dogmi e tutte le servitù del contratto sociale? In qual modo il consenso a questa terribile alienazione potrebbe essere unanime in un popolo? L'alienazione del contratto sociale suppone che si conoscano previamente tutte le sociali eventualità, che si conosca previamente il valore di tutti i beni, che siasi già adottata la misura del merito degli uomini, che siasi prevista in certi limiti la carriera che si apre dinanzi a noi sulla terra. Questa stima, questa previdenza, che abbraccia tutto, chi può darla se non il sistema religioso? La religione lega gli uomini, e li dà già uniti al sovrano;. La religione è una stima di tutti i beni visibili e invisibili. di tutti i valori personali e reali; essa determina coi valori, voglio dire coi dogmi, la morale. Colla morale contiene in potenza il primo principio del diritto, quindi conduce al contratto sociale. Si guardi alla storia, si vedrà sempre il contratto sociale in balia delle religioni, costituito dalle religioni. Esse creano il governo, distribuiscono le corone, divinizzano i re, motivo per cui i popoli li chiamano sovrani. Il contratto della sovranità finisce, come tutti gli altri contratti, nell'istante in cui ci accorgiamo che ci rende schiavi. Se la religione che ci riuniva cessa improvvisamente di essere creduta, se le azioni da lei imposte divengono immorali, inique, se la sovranità identificata colla religione impone l'errore, l'immoralità, forse l'assassinio: se ci avvediamo che promettendo obbedienza abbiamo soscritto il patto della schiavitù, allora il patto è perento, allora, se fosse mantenuto, noi cadremmo schiavi, non delle nostre idee, non della rivelazione, schiavitù inevitabile, ma di un senato, di un uomo, di un popolo. Qui si deve nuovamente ripetere: quando l'uomo nasce, s'emancipa lo schiavo; e ne consegue che ogni insurrezione legittima è fatta a nome dell'umanità, che si svela interiormente in noi stessi, ogni progresso subordina lo Stato alla fratellanza crescente del genere umano. Lo Stato decade di continuo. Già dopo Cristo divenne inferiore all'uomo, e fu trasformato in un organismo il cui principio sta fuori della legge, fuori del cittadino, nel cristiano. La rivelazione sacra aveva ragione; l'uomo è superiore al cittadino, è l'uomo che crea lo Stato, e chi lo crea può distruggerlo. La stessa parola Stato è moderna, ed esprime una decadenza; prima di Cristo si chiamava solo la patria; e per ogni cittadino essa era l'universo; chi non era cittadino, era all'interno schiavo, all'estero nemico Dopo Cristo la patria muta nome, perchè ogni terra divenne uno Stato della cristianità, Quando la metafisica vuol succedere al cristianesimo cercando l'avvenire nelle antinomie, lasciò sfuggire il vero problema dell'umanità: non oppose i veri valori ai falsi, i veri diritti all'ingiustizia, non fu positiva; e scorrendo sul pendio delle antitesi, giunse alla patria astratta d'una sovranità impossibile. L'anima di Rousseau vi subì il martirio della libertà: sfidò la contraddizione col sentimento e imprigionata nell'astrazione, vedeva vuota d'ogni intorno la terra del diritto. Opponeva il popolo sovrano a' suoi sovrani nominati; ma questi pure son popolo, i loro sgherri son popolo, s'avanzano ardimentosi; sostenuti dalla turba dei paesani, oppongono le campagne alle città, le masse alle masse. Rousseau vuol chiamare tutto il popolo ai comizi, lo vuol padrone de' propri interessi, lo vuol diffidente d'ogni suo commesso; e il vero popolo gli sfugge occupato dall'industria, dalle arti; sparso su vaste regioni, il popolo deve delegare i poteri, darsi un governo, forse un tiranno, certo un tiranno giuridico, e poi sempre a soggiacere alla tirannia giuridica della maggioranza. Rousseau vuol combattere la chiesa, che sovverte lo Stato, che santifica i re: e qui ancora l'antinomia lo afferra, perchè la religione maledetta dal metafisico è la religione del popolo; Rousseau esita, vorrebbe una religione tirannica per dominarla, non vuol l'empietà, è vinto dall'astrazione; e diventa hobbesiano. Poi l'infelice vien meno nell'alta regione della sua patria astratta; di là vede che i cittadini degli Stati d'Europa non possono stare permanenti ne' comizi, che il popolo combatte pei tiranni, che la religione combatte i cittadini, e quindi infrange il suo proprio lavoro, la sovranità metafisica proclama lo stato di natura. Hobbes aveva detto: o il mio despotismo o lo stato di natura: Rousseau spaventò i tiranni, scegliendo lo stato di natura, che reputavasi impossibile. Lo stato di natura? Sì, il cuore del metafisico lo presentiva, la rivoluzione era imminente, lo stato di natura era quello in cui l'umanità doveva dominare ogni Stato; ma doveva uscire dalla rivelazione, non dalle contraddizioni del contratto: doveva nascere come nacque il cristianesimo, e non sorgere a soluzione delle contraddizioni eterne.
|
Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2007. Content in this page is licensed under a Creative Commons License |