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Giuseppe Ferrari
Filosofia della rivoluzione

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  • PARTE SECONDA   DELLA RIVELAZIONE NATURALE
    • SEZIONE TERZA   LA RIVELAZIONE MORALE
      • Capitolo XVI   IL GOVERNO
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Capitolo XVI

 

IL GOVERNO

 

La sovranità fissata da un doppio scambio di valori e di diritti ci offre un doppio fenomeno. Da un lato, si suppone, si vuole che i poteri dello Stato siano confidati agli uomini più interessati al buon governo: lo scambio dei valori si misura colla legge dell'interesse; e cade così sotto il calcolo della politica e delle scienze economiche. Qui la società è un'opera materiale, una creazione dell'egoismo, un equilibrio di forze meccaniche. Dall'altro lato, si vuole che la sovranità sia confidata ai migliori, scelti dalla rivelazione morale del popolo, che soscrive il contratto. L'antinomia politica e la giustizia si contraddicono in tutti i punti; l'una dichiara le funzioni pubbliche altrettanti benefizi; la giustizia li considera doveri; la politica confida nell'egoismo, la giustizia domanda ascetismo; la prima vuole capacità, l'altra probità; l'una si fonda sull'autorità di Machiavelli e di Adamo Smith, l'altra invoca la repubblica di Platone e la Città del Sole.

La metafisica scorre a traverso le contraddizioni della politica e del diritto, e s'aggira in un labirinto di ingegnosissime aberrazioni. D'indi que' mille problemi, sempre agitati e non mai sciolti, sulla natura del governo, degli uomini politici, del progresso. Si dimanda se sia da preferirsi un governo forte a un governo giusto; se i capi dello Stato devono essere uomini di affari o uomini di scienza; poi si chiede se il governo deve essere severo o clemente, veridico o versatile, fermo e intero nella sua volontà, o pieghevole alle circostanze; se le cose dello Stato devono essere discusse pubblicamente, o se la secretezza sia l'anima degli affari; se deve prevalere la morale o la ragione di Stato, la probità o la corruzione, l'ordine o la libertà, la conservazione o il progresso. Vuote antitesi, che si combinano in mille modi diversi, senza che vi sia un limite al loro complicarsi o un'uscita ai loro problemi. Preso l'utile come termine primo, può congiungersi colla monarchia, colla democrazia, colla probità; colla corruzione; ed a nome dell'utile si giunge al despotismo di un individuo, giungeall'eguaglianza democratica, si sanziona l'equilibrio degli interessi nella monarchia costituzionale, e in pari tempo si fonda la banca di Saint-Simon sospesa tra la democrazia e la teocrazia. Il governo può esser forte colla monarchia e colla repubblica, col tiranno e col filosofo; il tiranno stesso può essere utile, e possiamo scinderlo nell'antitesi della tirannia, utile e malefica secondo che propugna o combatte il progresso. Le astrazioni scorrono sì' vuote nel discorso, che i termini di progresso, d'ordine, di libertà lasciansi intervenire, lasciansi deridere, e vedonsi usurpati da ogni oratore, da ogni ministro, da ogni governo. Preso poi nel suo significato rigoroso, ogni termine incontra la sua antitesi che lo paralizza. Volete esser sincero, intero nel governo? Operate; giunge il momento in cui convien sottrarre un fatto alla pubblicità, in cui dovete celare un secreto al nemico, in cui dovete nascondere i preparativi della guerra, le diffidenze premature; giunge il momento della dissimulazione: e qual'è la linea che separa la dissimulazione dalla simulazione? Vi sfido di trovarla logicamente: e qui la logica s'impadronisce di voi, vi impone il secreto, vi parla della salvezza dello Stato, vi forza a lasciar sussistere l'errore, e se l'errore sussiste, inganna; e chi vuol ingannare governa colla ragione di Stato, governa coll'impostura. Volete esser conservatore? sia; conservate lo Stato, resistete all'innovazione, difendete l'ordine; l'ordine è bene per ciò solo che è; ma col difenderlo combattete il progresso, la morale, l'umanità nascente; giunge il momento in cui siete nemico del genere umano, e in pari tempo se vi rimanete nell'astrattezza dell'ordine, se persistete nel combattere, se state fermo, impavidum ferient ruinae; la logica trarrà il sublime dall'infamia, che combatte la morale. Volete esser clemente? La logica vi mostrerà che non sarete rispettato, che la giustizia non è vostra proprietà, che non ne siete padrone, che è cosa dello Stato, che la legge deve essere osservata, che chi lascia la legge impotente distrugge la giustizia, la quale non ammette gradi: quindi la clemenza negata, l'equità negata, il giudaismo del summum ius che trionfa, e il summus ius che guida alla somma ingiuria.

In somma, fuori del rivelato non v'ha guida, nè posa; tutto ondeggia tra i contrari, tutto scorre tra le antitesi: accettiamo la rivelazione: fuori di essa non v'ha, non vi sarà mai il nesso che congiunge nei governi l'utile col giusto. Da una parte l'utile ha sempre creato ogni governo: la forza ha sempre disposto delle cose e degli uomini: chi vorrebbe, chi potrebbe governare uno Stato se non avesse la forza, le armi, le ricchezze necessarie per mantenersi? La forza è all'origine di tutto; le conquiste, le guerre hanno predisposto ogni Stato. Ogni individuo trova nel suo organismo la forza primitiva, il dato che lo fa essere quello che è; ingegnoso o debole di mente, fermo o pieghevole, facile all'ira o paziente per natura. Istessamente ogni Stato eredita dai suoi primordi la forza, che lo fa essere e stare qual'è. Questo appare, nè può essere negato. In pari tempo l'idea di affidare il governo ai migliori è contemporanea del regno della forza, è l'idea di tutti i popoli; non havvi tribù in cui non siasi manifestata. Tra i selvaggi il capo è il primo de' guerrieri, il più ardito nella battaglia, il più savio nella pace. Alla China l'imperatore è figlio del cielo; i libri sacri gli attribuiscono tutte le virtù, egli è padre de' popoli, tutte le sue azioni predeterminate dalla legge; esse devono sempre rappresentare l'autorità paterna nella esaltazione più religiosa. Nel Perù il capo degli Incas prometteva di regolare il corso delle stagioni, e, ministro del cielo, sosteneva sulla terra la parte di un Dio. Presso i Musulmani, in Egitto, nell'India, nel Tibet, spetta alla teocrazia il consacrare il sovrano: tutte le caste dell'antichità discendevano dal cielo; quelle del medio-evo erano santificate dalla chiesa. Separandosi dalla chiesa cattolica, i re protestanti si sono dichiarati pontefici; lo czar è in pari tempo papa e imperatore. Non è da credersi che il censo o l'eredità, scegliendo il sovrano, neghino il principio di scegliere il più degno; il censo e l'eredità sono mezzi rozzi di cui già si serviva la società per eleggere i migliori: non si abbandonava al caso della nascita se non per evitare l'anarchia di una scelta migliore, riputata impossibile. La giustizia appare adunque quanto l'utile e indivisa dall'utile. Sola la giustizia non fu mai nella storia: e di che sarebbe stata la giustizia? I migliori nel senso astratto non hanno mai regnato: e in che sarebbero stati migliori? in virtù astratte, in tesi scolastiche; queste condannate a regnare nel recinto della scuola, dovevano rimanere sottomesse alla virtù del sistema sociale, della religione, dei pontefici, della guerra. Quanto si dice de' governi si applichi ad ogni partito, ad ogni setta, ad ogni consorzio d'uomini che abbisogni di governo o aspiri a governare: qui il governo in potenza è l'uomo d'azione, il quale dev'essere interessato e ascetico, intelligente e morale, e riunire il maggiore interesse al trionfo del suo principio, alla più grande abnegazione sugli altri interessi. Per ciò fu sempre facile la calunnia. L'interesse non è il denaro, non la fortuna; è la gloria, è l'ambizione, può concentrarsi sul nome solo che si volesse noto a' posteri; quindi l'accusa passa dall'atto all'interesse, disconosce il sacrifizio per afferrare l'interesse del sacrifizio, e ad ogni uomo d'azione si potrà sempre rimproverare di volersi sostituire al governo; ad ogni profeta si potrà sempre imputare di mettersi in luogo di Cristo. La chiesa non si stancava di maledire l'orgoglio degli eretici che inviava al rogo. La facilità della calunnia mostra l'indivisa natura dell'interesse e del dovere nell'operare, nel combattere, quindi nel governare: scorgesi quindi che il lavoro della scienza non consiste nel cercare gli uomini più interessati o i migliori; consiste nel cercare l'interesse e il principio che devono regnare, trascurando gli uomini, le persone, gli accidenti dell'egoismo e della simpatia. La scelta degli uomini, la congiunzione dell'interesse e dell'ascetismo sono fatali, non possiamo signoreggiarle; ogni tentativo per dominarle è irrito o torna a profitto della fatalità stessa, poichè, volendo signoreggiare, siamo signoreggiati. Tentate di comporre un governo, le persone da voi preferite nel mistero di una società secreta o nel secreto di un gabinetto sono uomini, saranno la materia animata d'un principio che ve li torrà, li rivolterà contro di voi, li subordinerà ad altri uomini, e combattendo o propugnando il progresso, troverete sempre che il supremo elettore di ogni capo è il popolo e che la natura opera colla voce del popolo.

Quali saranno adunque per noi l'interesse e il principio del governo? L'interesse generale combatte per la legge agraria; il punto su cui cade nella sua attuazione si è l'eredità, l'abolizione delle grandi fortune; quindi il governo deve rappresentare l'interesse e la giustizia della legge agraria; le persone sortite a governare devono essere assorte per egoismo e per ascetismo nell'opera che eguaglia le fortune. Ci è difficile esentare il ricco da una nota di sospetto: lo vediamo qualche volta devoto al popolo; è devoto nella certezza di non rimanere spogliato dalla stessa legge che proclama, spera di salvar sè stesso nel trionfo della casta che combatte, è devoto nella fede di non riuscire. Lo abbiam visto da sessant'anni pronto ad accogliere tutti i sofismi della metafisica onde sfugga per la tangente di astratte considerazioni all'imperiosa legge della giustizia, che lo voleva intento all'opera unica dell'eguaglianza e dedito alla giustizia qualunque fosse l'evento. Abbiam visto ricchi istupiditi ne' piaceri acquistar d'un tratto l'operosità, la perfidia di uomini rotti nelle male arti della corruzione, e improvvisati tribuni, mentire, tradire, malversare, felicissimi d'aver ruinato sè stessi perchè in un con essi avevano perduto un popolo e acquistato una rinomanza che ondeggiava confusa, accusandoli d'incapacità o d'infamia. L'avvenimento del proletario deve esser confidato ad uomini che si separino dall'antica tradizione, che non possano trovarvi addentellato o ritirate, ricordanze o seduzione. Quindi il regno del popolo, il vero governo del popolo. In questo senso possiamo dire che il governo decade come lo Stato. Non è più il dominio sacerdotale o feudale: non deve esser più il dominio del ricco che difende il ricco contro il popolo, e che si fonda sulla impostura del prete e sulla forza del soldato; dev'essere un'amministrazione, non dev'essere governo d'altri su di noi, ma governo di noi per mezzo di noi; dev'essere, come si dice in Inghilterra, un self-gouvernement, un popolo sè-reggente.

Un problema si presenta: se il governo del popolo deve non esser dominio, dove troverà la forza di dominare la reazione de' ricchi? Se è debole, sarà vinto; se vuol esser forte e atterrire i suoi nemici, sarà un nuovo dominio, sarà un'imitazione dell'antico governo. Sembra che l'avvenire dipenda dalla soluzione di questo problema: traduciamolo in altri termini: ci si dimanda: come volete abbattere il governo dei ricchi se non imitate il loro governare? come volete giungere al governo del popolo con un governo che imiti i ricchi? Il che torna lo stesso che il dire: volete la pace e vi servite della guerra? volete la libertà e tiranneggiate? volete l'eguaglianza e punite? Rispondo: noi siamo qui in presenza di un dilemma critico eterno. Guai se si vuole sciogliere colla metafisica. Bisognerà transire alla libertà di tutti colla libertà di tutti, compresi i ricchi, compresa la loro clientela, compreso il governo che si vuol abbattere. Quindi interdetto al governo del popolo d'imitare la Convenzione all'interno, vietato alla Francia di imitare la propaganda armata di Napoleone, vietato allo Stato d'imporre l'educazione pubblica, un'istruzione determinata, un livello alle fortune, una repressione alle leghe de' ricchi, de' preti, de' retrogradi; quindi l'antica società ricostrutta a nome della libertà di tutti; e nel fatto non esprimeva essa la libertà di tutti nel sistema feudale e teocratico? No, non si transisce mai logicamente dal passato all'avvenire, dal male al bene; il progresso è moto, è alterazione, è diventare, è essere e non essere ad un tempo; il progresso condurrà alla pace colla guerra, all'eguaglianza colla dominazione: contraddittorio come ogni cosa dovrà essere il transito dal governo dei ricchi non è di tutti. Se non dovesse esser contraddittorio, non dovrebbe apparire, dovremmo disperare dell'umanità. E la contraddizione sarà vinta e prodotta ad un tempo dal fatto; il progresso sarà positivo; la necessità di resistere agli uni, di favorire gli altri, di far regnare un'idea, di morire se non regna, formeranno a poco a poco quel governo de' migliori che sarebbe un sogno metafisico se noi volessimo tracciarne le regole a priori, dovendo esso uscire dai sentimenti e dalla vita che si rivela, ma che non è rivelata.

 

 




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