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Giuseppe Ferrari Filosofia della rivoluzione IntraText CT - Lettura del testo |
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Capitolo II
LA RIVELAZIONE SOPRANNATURALE
Ogni vizio della religione deriva da un primo vizio: la fede in Dio che governa il mondo. La religione vuol essere un sistema unico, vuol tutto spiegare storicamente. Sa perchè il mondo fu creato, perchè il sole c'illumina, conosce il genio che lo muove, sa tutto in un modo certo e positivo, e la sua scienza è sottoposta agli Dei. Ne consegue che le forze non sono più forze, sono effetti di una volontà o di un pensiero superiore alla natura. Gli alberi, gli animali, tutte le creature si presentano all'uomo quali segni del linguaggio personale degli Dei: si dimanda al cielo il senso occulto delle cose, si suppone uno scopo, un'intenzione divina in ogni essere. La disposizione degli astri, la configurazione dei fiori, degli animali, il corso delle stagioni, tutto è interpretato sotto l'aspetto degli istinti, dei capricci, dei piaceri attribuiti ai genii che reggono il mondo: a poco a poco l'idolatra, col moltiplicare le ipotesi e le congetture, tramuta l'intera natura in una natura imaginaria: la natura non vive più della sua vita. Dio toglie l'anima ad ogni essere. Lo stesso fatto deve cedere al miracolo. Gli idoli son prodigi, la loro vita è un continuo prodigio; essi dispongono degli astri, degli elementi, di tutto; essi ci signoreggiano. Soggiogato dalla propria finzione, l'uomo deve invocarli, adorarli. Rispondono all'invocazione, alla preghiera, all'adorazione? Ecco il miracolo. Il miracolo li mette in relazione con noi, li rivela; la rivelazione sacra comincia a formarsi. In pari tempo ogni nostra azione vien travisata; l'uomo crede di poter modificare il corso delle stagioni, la serie degli eventi colla preghiera, coll'astinenza o colle invocazioni. D'indi gli esorcismi, gli amuleti, i circoli magici, le abluzioni, le innumerevoli cerimonie religiose, il cui scopo è sempre di operare sulla natura influendo sulle forze occulte elementari e viventi che la governano. I circoli naturali delle cose sono travolti in circoli fantastici. La fede nel miracolo crea la tradizione sacra. Credete voi ai miracoli? Se scrivete la vostra storia sarà una storia miracolosa, un racconto mescolato di favole. Da che gli Dei intervengono nella storia degli uomini bisogna attribuir loro il bene, il male, le vittorie, le sconfitte, le carestie, le pesti, le inondazioni, il coraggio che addoppia le nostre forze, la paura che le sopprime, l'ispirazione che illumina il genio, le invenzioni che elevano l'umanità. Se Ulisse è astuto, è Minerva che lo consiglia; se Ettore trema dinanzi ad Achille, è Marte che lo atterrisce: sono gli Dei che costruiscono le città, che dettano le leggi; la Musa detta ad Omero l'Iliade; un Dio ispira Walmiki, che scrive il Ramayana; Euclide depone i suoi libri di geometria nel tempio di Delfo. Si fa Dio autore delle nostre opere. La tradizione, questo racconto favoloso di opere umane, collo scorrere del tempo attribuisce agli Dei l'origine della nostra società, delle nostre leggi; divinizza il nostro sistema sociale, trasporta tutta la nostra mente fuori di noi, in Dio e Dio ci toglie la ragione. Egli è allora che la rivelazione naturale trovasi compiutamente travisata nelle cose e nei pensieri; e allora la tradizione che l'insulta e l'uccide chiamasi officialmente la rivelazione soprannaturale, la legge divina, la buona novella, la via della salvezza. L'autorità è il risultato della rivelazione soprannaturale. La tradizione, il libro sacro, la favola esprimono la volontà irresistibile degli Dei; bisogna obbedire, bisogna vegliare perchè la legge sia osservata. Ecco il sacerdote. Avete trasportato la vostra ragione fuori di voi, in cielo; bisogna che altri vi rappresenti; vi siete perduto, bisogna che altri vi salvi; siete divenuto schiavo della vostra finzione, riconoscete la necessità di un padrone. Il sacerdote traccia la pianta delle città, prescrive le preghiere, i digiuni, le macerazioni; dice se devesi combattere o chiedere la pace, se devesi togliere od aggiungere una corda alla lira; il sacerdote sarà ministro d'ogni vostro trovato, sarà la ragione della vostra ragione. Nulla è lasciato al caso: gli Dei occupano l'intera natura, l'uomo non può vivere se non interpretando di continuo la legge occulta che governa gli elementi, non può credere a sè stesso prima d'aver consultato la sua finzione. Qui la ragione sola è follìa, l'autorità vieta di appellarsi al buon senso, all'esperienza, ai lumi naturali: essa sacrifica ogni libertà come una ribellione, la ragione naturale come un attentato contro il regno degli Dei, contro l'umanità, che non è più in noi, ma in cielo. La dominazione dell'uomo sull'uomo è l'ultima conseguenza d'ogni rivelazione soprannaturale. Gli idoli, gli Dei limitati, vivi, appassionati, vogliono essere rispettati, venerati, obbediti; conviene indovinare la loro volontà, conviene adorarla. Ina ltri termini gli idoli sono i re del cielo e della terra, consacrano il principio della dominazione, voglio dire, di un governo fondato a profitto di chi governa. Colla loro influenza gli idoli sviluppano questa dominazione: non proteggono forse i loro adoratori? non accordano forse i loro favori ai servi più devoti? non si lasciano forse toccare dalle offerte, dalle orazioni? Da che havvi un idolo, havvi un uomo favorito dall'idolo; i favoriti dei padroni del cielo saranno necessariamente i padroni della terra; gli eletti dell'Uomo-Dio, gli eletti dell'umanità alienata e trasportata fuori dell'uomo saranno i signori dell'uomo, che si è spogliato della sua ragione e ridotto allo stato di cosa. Alla loro volta i miracoli fortificano la dominazione dell'uomo sull'uomo: nel fatto il miracolo è un favore, un privilegio, sospende le leggi dell'universo per proteggere un re, un sacerdote, una casta, un popolo eletto: esso è essenzialmente eccezionale e direi quasi aristocratico. Quelli a cui è rifiutato, quelli che lo ignorano, quelli che lo negano non sono forse legalmente degradati e rejetti fuori della ragione universale? Dalla degradazione alla servitù in teoria non v'ha differenza: e in pratica? La religione è la pratica della servitù. E perchè accettavasi la religione? Perchè coincide colla fatalità che ci opprimeva. Siam nati in un mondo ostile, il problema della nostra attività non si svolge spontaneo come negli animali: non v'hanno valori che ci attraggano a lavori determinati e continui; il lavoro ripugna al selvaggio, che la natura vuol vinto da un'inerzia mortale. Non siamo tratti all'azione se non dalla disperata necessità della guerra: egli deve cacciare per vivere e la caccia è già una guerra; il selvaggio deve difendere la foresta che racchiude il suo vitto, e l'inerzia è ancor vinta dalla guerra tra le orde; la guerra gli dà il genio dell'offesa, della difesa, gli dà l'instancabile energia di Nemrod, gli dà lo schiavo a cui imporrà il lavoro che odia, gli dà così il primo germe dell'industria, i primi secreti del governo. La guerra scuote di continuo l'indolenza, le abitudini, l'imprevidenza; la guerra spinge al progresso sotto pena di morte: la guerra fa del selvaggio un eroe, un patrizio; la guerra fa della città guerriera una falange predestinata al dominio della terra. La natura nemica dell'uomo porta la guerra tra gli uomini, e l'umanità sfugge alla propria distruzione, sviluppandosi col genio delle conquiste: quindi le grandi invasioni barbare, i Pelasgi, i Galli, i Tartari, i Germani e i Romani che furono l'espressione ideale del patriziato conquistatore3. Se l'ignoranza nativa vincolava l'uomo alla religione, se la mente umana non poteva sorpassare le necessità imposte al conoscere e al pensare, se la religione era l'errore teorico che non potevasi evitare, la conquista, sotto mille forme e nei suoi innumerevoli accidenti, è l'interesse che la religione santificò e servì. Il suo Dio fu il Dio dell'ingiuria, il Dio del vincitore; il suo miracolo fu la vittoria, la sua autorità fu l'autorità del padrone; dappertutto la rivelazione soprannaturale guidò l'avventuriere alla conquista della terra promessa; dappertutto predicò agli schiavi, ai servi, ai vinti l'obbedienza come un dovere.
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3 Essai sur le principe et les limites de la philosophie de l'histoire, p. 207 § 1° - L'histoire ideal au point de vue desi intèrèts. |
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