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Giuseppe Ferrari Filosofia della rivoluzione IntraText CT - Lettura del testo |
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Capitolo VII
LA LIBERTÀ DEI CULTI
La libertà de' culti, è un nuovo equivoco, una contraddizione positiva e intollerabile.Una religione è una soluzione piena, intera del problema del destino; essa abbraccia il presente, il passato, l'avvenire; essa comprende l'uomo, lo Stato, l'umanità; essa spiega tutto, dirige tutto; nulla havvi che si sottragga al suo dominio. Mal conosce il prete chi suppone ch'ei possa starsi nella sua chiesa circoscritto alle sue cerimonie; il prete regna sulle coscienze, e ogni cosa è subordinata alla sua decisione; il prete è un magistrato morale, e ogni cosa subordinata alla morale. Datemi la vostra coscienza, vi lascio tutti i tesori della terra; li crederete vostri, e io ne sarò il padrone. La libertà di una religione è il suo impero; il suo primo dovere è di regnar sopra di sè, di giudicarsi da sè, di propagarsi, di insegnare; in altri termini, di comandare. Una religione è l'assoluto; due o più religioni sono due o più assoluti che si negano, che si maledicono a vicenda, e devono combattersi colla parola, cogli atti, col fatto. Per sè stessa la loro libertà è la guerra civile. Materialmente impossibile, la libertà dei culti riesce nella pratica al dominio del governo sui culti. Il governo interviene come polizia; qui impedisce al clero di riunirsi in un sinodo, là vieta ai vescovi di carteggiare con Roma, altrove sopprime alcune cerimonie, altrove ne reclama altre. Ma perchè sottoporrete il sacerdote a una legge che forse il suo dogma riguarda come empia? perché farvi giudici del vescovo, giudici del pontefice, di Cristo? perchè farvi dominatori dell'ebreo, del cattolico e del protestante? Proclamate il diritto della scienza, o lasciate libero l'errore del culto; dichiaratevi superiore a Mosè, a Cristo e a Lutero, o dichiaratevi inferiore al vescovo, al pastore ed al rabbino. Non v'ha mezzo: non si scioglie problema con ragioni di polizia, di convenienza, di opportunità; colla sola libertà astratta non si giunge a giustificare il menomo editto, la menoma intrusione. I culti sono pagati, dunque la libertà de' culti non è libertà, è un servizio pubblico, come diceva Thouret; dunque lo Stato paga tre errori contraddittorii, li incoraggia, li utilizza: e che? Qui non v'ha dubbio, si esce dall'equivoco, i tre errori sono pagati per combattere il vero; Dio, sotto tre forme, è pagato perchè la mente del povero resti In forza altrui. Nè si accusi lo Stato d'inconseguenza, se paga tre culti opposti, tre dottrine contraddittorie sul papa e su Cristo: che gl'importano le contraddizioni sull'evangelio, su Cristo o sul papa? Le tre religioni sono religioni, sono tre teorie della servitù; tutte difendono il dominio del ricco, la libertà del borghese, e combattono egualmente perchè la rivelazione naturale sia vinta dalla rivelazione soprannaturale, perché i diritti del popolo siano vinti dai privilegi del ricco. La libertà de' culti riproduce la santa alleanza di tutti gli errori contro tutti i diritti. Nel fatto, i tre servigi pubblici sorvegliano l'istruzione pubblica, le impediscono di essere pubblica educazione, ne sospettano con un medesimo intento il primo principio, la filosofia; la degradano, la riducono ad una specialità, le tolgono la direzione degli studi, non le permettono nemmeno di essere la sterile metafisica: le impongono di contraffare la Bibbia col deismo, il catechismo colla morale, la scolastica colla logica; le dettano il tema delle sue dissertazioni, le impongono le conseguenze anticipate, per cui le sue composizioni saranno lavori retorici o eruditi, certo insignificanti. Lo Stato che paga le tre religioni paga la sua filosofia, per cui sono prese tutte le misure necessarie per compiere la santa alleanza della filosofia venduta colla religione pagata. Quindi l'università pronta a promovere la reazione di Robespierre, pronta a proscrivere Hébert, Helvétius, Danton, Vergniaud; quindi l'università disposta a combattere la stessa metafisica, e assorta nell'impresa di opprimere il dogma colla storia, i principj colla erudizione; in guisa che di Platone, di Descartes, di Locke si conoscano il meccanismo meno la vita, gli errori meno la rivelazione. Tale è la filosofia della reazione; tale è la filosofia dell'università francese, massimamente per colpa di Vittorio Cousin6. L'alleanza dei teologi coi sofisti opprime l'istruzione pubblica; i teologi e i sofisti s'uniscono a patto di non dominarsi e vicenda, dominano unitamente a patto di combattere la ragione, di renderne irrito ogni sforzo, nullo ogni risultato. Quindi si elidono per far regnare la retorica, si rassegnano volontariamente essi stessi ad essere retori: quindi all'Istituto la prima sezione, la sezione sovrana dei quaranta immortali è costituita dalla retorica, rappresenta il regno della frase, dello stile, della magniloquenza, il regno di Petrarca, che si collega colla arroganza della nobiltà, colla corruzione della politica e coll'abuso della ricchezza, Quel presidente della camera dei Pari, quel gran signore dalle smisurate rendite siedono accanto a Lamartine. perché il trono della ragione é vacante, e lo si vuole vacante e inane. V'ha di più; l'istruzione pubblica è ancora serva della frase, s'impone a tutti i giovani lo studio del greco e del latino. L'erudizione greco-latina era il lusso della chiesa, ora ha missione di occupare il posto delle cognizioni necessarie alla vita, di escluderle sì che l'educazione del borghese resti signorile, liberale, inutile, e non serva se non a distinguerlo dalla plebe, a separarlo per sempre dal popolo. Per togliere la mente al popolo i ricchi la tolgono ai propri figli. Ascoltiamo Michele Chevalier, uno tra gli uomini più affezionati al governo di Luigi Filippo. «Le scuole,» dice egli, «sono solo l'ombra di quello che dovrebbero essere; io parlo delle scuole dei giovani, delle scuole di grammatica, di quelle che dovrebbero prepararci gli agricoltori... S'insegnano cognizioni poco necessarie, e non s'insegnano le cognizioni indispensabili. La stessa direzione che le menti vi ricevono non è buona, perchè i giovani non vi apprendono l'inclinazione al lavoro de' campi e delle manifatture, e vi attingono piuttosto l'avversione per ogni lavoro manuale.» Blanqui il seniore, è più esplicito. «Hannovi,» dice egli, « da 1000 a 1200 industrie, e una sol maniera di istruzione. L'insegnamento primario non conta se non 2,400,000 alunni; 8,000 comuni mancano di maestri pei fanciulli, 31,000 comuni non hanno scuole per le fanciulle, la metà sola dei giovani riceve qualche educazione. Quale è la conseguenza? Nel 1834 su 7,964 individui giudicati per delitti, ve n'erano 7.077 analfabeti. - L'insegnamento secondario dei collegi, dei licei, delle instituzioni, dei seminari conta 70.774 alunni, sono 70,000 latinisti. Che divengono? 6.000 studiano il diritto, 5,000 si danno alla medicina, 5,000 diventano professori, mettiamo che 20,000 entrino nella chiesa; rimane un eccedente di 40,000 latinisti, necessariamente inutili a sè stessi e alla società. Essi hanno studiato la storia antica, e ignorano la storia del loro tempo, ignorano i primi elementi della contabilità; nulla sanno d'affari; è impossibile di far d'un baccelliere un manifatturiere, un agricoltore, un mercante, un commesso di banca, un agente di cambio, a meno di rifarne l'educazione cominciando dalla calligrafia.» Il signor Carlo Dupin, Say e mille altri ripetono le stesse cose, benchè conservatori e assai monarchici; ma l'economia politica è spietata, è la scienza dei valori; e anche falsata nei principi, dimostra che sotto il dominio del prete e del sofista l'istruzione pubblica deve essere un valore inutile. Un sistema d'oppressione si svela nella scelta degli alunni che lo Stato vuole ammaestrati. L'università è fondata per i borghesi, lo Stato non prende cura se non dei figli del benestante, soccorre a chi non ha mestieri di soccorso: il povero è dimenticato. Napoleone mise termine agli sforzi dell'antica repubblica per fondare l'educazione del povero: quanto fu tentato dopo il 1833 attesta egualmente l'oppressione del teologo e del sofista. Le nuove scuole non sono altro che una copia dell'istruzione parochiale, una secolarizzazione della tradizione cristiana, un nuovo fasto, un lusso suburbano per dare al paesano le idee dei ricchi. Non s'insegna all'uomo del popolo qual'è la sua patria, quali sono i suoi diritti; la Bibbia gli cela le verità della fisica; si tenta la sua ambizione, non si vuole la sua virtù; si vuole accaparrare la sua mente. Poi, a che le scuole del povero? Sono aperte; ma il proletario ha bisogno de' suoi figli, che sono parti integranti dell'economia domestica; i figli devono guadagnare il pane o col custodire le mandre o col lavorar nelle fabbriche. Il proletario ha fame, e voi gli offrite cognizioni inutili? Ha bisogno dei figli, e parlate di obbligarlo a mantenerli alla scuola? Muore di stento, e volete che imiti i ricchi? E quando gli ha imitati! Quando il figlio del proletario si desta alle ragione, quando si sente eguale al padrone, più utile del proprietario, the farà della sua istruzione; dei suo ingegno, del suo diritto? L'università gli offre di farlo dottore, se può pagarla; le scuole tecniche non lo conducono a nulla; l'industria non mette capo che all'interesse personale; l'interesse del diseredato non ha il capitale sul quale attivarsi. Non v'ha mezzo; regni il prete, regni il sofista, regni libera la favola; la teoria della servitù sarà necessaria, finche l'eguaglianza non aprirà le scuole del popolo, in cui tutti i figli della patria siano nudriti a spese dello Stato. Intanto la libertà dei culti è la schiavitù del popolo, e la schiavitù della scienza viola i diritti della verità e quelli dell'umanità.
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6 Rinvio il lettore al mio lavoro: Les philosophes salariés. - Parigi, presso Sandré, 1842 |
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