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Giuseppe Ferrari
Filosofia della rivoluzione

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  • PARTE TERZA   IL SISTEMA DELL'UMANITA'
    • SEZIONE TERZA   LA RIVOLUZIONE
      • Capitolo VIII   LA PROPAGANDA DELLA LIBERTÀ
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Capitolo VIII

 

LA PROPAGANDA DELLA LIBERTÀ

 

L'astratta libertà ha rassicurato la libertà : in oggi il borghese di Parigi protegge il papa, l'imperatore e i re dell'Europa; sacrifica l'Italia all'antico patto sociale delta cristianità. La spedizione di Roma fu la conseguenze più ragionata e più insolente della libertà formale; dobbiamo analizzarla nel principio, perchè dobbiamo troncare dalla radice l'errore che l'ha ordita.

La prima premessa della spedizione di Roma sta nel manifesto di Lamartine: sotto l'impero della libertà staccata da ogni dogma, Lamartine cominciava dal togliere alla rivoluzione il senso e le conseguente della rivoluzione; riduceva la repubblica a una forma di governo come la monarchia, a un'affare assolutamente francese e interno: «La proclamazione della repubblica», sono le sue parole, «non è un atto aggressivo contro veruna forma di governo nel mondo. Le forme di governo hanno differenze tanto legittime, quanto la differenza di carattere, di situazione geografica e di sviluppo intellettuale, morale e materiale presso i popoli: le nazioni, al pari degli individui, hanno le loro diverse età » . Lamartine distoglie i popoli dalla rivoluzione, li sconforta dall'imitare la Francia. «Un popolo», secondo lui, «si perde, se non aspetta l'ora della sua maturità». Il manifesto accusa anticipatamente i rivoluzionari che volessero subordinare le forme politiche ai principj della rivoluzione. «La monarchia e la repubblica», dice Lamartine, «non sono agli occhi dei veri uomini di Stato principi assoluti che si combattano a morte; sono due fatti che si contrastano, e che possono vivere a fronte l'uno dell'altro comprendendosi e rispettandosi » . Così il vero uomo di Stato non è d'alcun dogma, vivo dalla libertà che protegge ogni dogma, vive nel formalismo dell'occasione, della circostanza; la coscienza non è legata, ogni fede è soppressa.

Dopo di aver separata la rivoluzione dalla libertà, Lamartine compiva il lavoro ritorcendo la libertà contro la rivoluzione. Ecco le sue parole: «Tornare dopo mezzo secolo ai principj del 92 o a quelli della conquista imperiale, non sarebbe progredire, ma retrocedere nei termini» . Dunque non volevasi il principio del 92 osai confidato a Luigi XVI, ma pur liberatore; confondevasi a disegno l'intento rivoluzionario del 92 coi traviamento della conquista imperiale: Lamartine accusava già la propaganda armata della rivoluzione, anzi la calunniava. «Nel 1792», diceva egli, «era soltanto il ceto-medio che voleva esercitare la libertà,e goderne. Il suo trionfo era allora egoista, siccome suole essere il trionfo di ogni oligarchia. Esso voleva tenere per sè solo i diritti conquistati da tutti, e convenivagli perciò operare una forte diversione alla signoria popolare col precipitarla sul campo di battaglia per impedirle di pensare al governo. Questa diversione era la guerra; la guerra fu il pensiero de' monarchisti e de' girondini». Qui preparavasi l'accusa di monarchismo e di girondismo contro coloro che volessero combattere il manifesto; dichiaravansi sospetti coloro che volessero spingere alla guerra contro la cristianità, accusavansi di voler operare una forte diversione all'avvenimento del popolo, di voler precipitare il popolo sul campo di battaglia per impedirgli d'entrare nel proprio governo. Erano sospetti; e dinanzi a chi? Dinanzi a Lamartine, l'uomo dei borghesi, che volevano quel governo, che lo tenevano,che volevano conservarlo, che volevano lo statu quo. Quindi le parole con cui Lamartine dichiara finito ogni dissidio interno. «Nel 1792 una lotta terribile si prolungava . tra le classi spodestate dei loro privilegi, e le classi che avevano conquistata l'eguaglianza e la libertà. Non vi sono più oramai classi distinte e diseguali. Nel 1792, il pensiero del secolo che tramontava era solo nella mente di qualche filosofo; oggi la filosofia è popolare. Cinquant'anni di libertà di pensare, di parlare, di scrivere hanno prodotto il loro effetto». Insomma, Lamartine, alla vigilia della più formidabile lotta generata dalla libertà di pensare, di parlare, di scrivere, annunziava finita la rivoluzione; e se si restava nella teoria della libertà formale, era finita; non aveva dogma, non principio d'onde muovere verso un qualsiasi avvenire, non aveva una coscienza morale e giuridica avversa alla cristianità, non aveva ragione alcuna di combattere i re, i principi, il papa, l'imperatore; aveva tutte le ragioni della pace per rientrare nel concerto europeo. L'astratta libertà dava per conseguenza lo statu quo: Lamartine non mancava di formulare la consegunza. «I trattati del 1815», concludeva egli, non . esistono più di diritto per la repubblica francese, nondimeno le circoscrizioni territoriali di questi trattati sono un fatto ch'essa accetta qual punto di partenza ne' suoi rapporti con le altre nazioni». Esse non potevano chiedere di più; la libertà proponeva alla cristianità le basi della cristianità; abbandonava le Polonia, il regno Lombardo-Veneto; limitavasi a reclamare il non intervento in Svizzera e negli Stati indipendenti d'Italia. La libertà guarentiva la repubblica elvetica e la teocrazia di Roma, sorrideva ai popoli; e rassicurava i re. Lamartine era repubblicano come gli eroi del Petrarca; come Petrarca, voleva l'Italia emancipata sotto il dominio del papa e dell'imperatore; e lo stesso Lamartine, comentando il proprio manifesto, diceva poi che non creava verun nuovo caso di guerra e che molti ne faceva sparire.

A malgrado di Lamartine e de' suoi colleghi nel governo, la rivoluzione si propaga. La vecchia Europa cade in dissoluzione. La Sicilia dichiara per sempre decaduto il Borbone; a Napoli la democrazia disdegna la costituzione concessa; a Roma Pio IX è costretto ad accordare uno statuto, e il granduca deve imitarlo. I principi di Parma e di Modena sono espulsi; Venezia proclama la repubblica; la Lombardia si solleva; il re di Sardegna è spinto sul campo di battaglia; la rivoluzione accende Vienna, Berlino, il Wurtemberg, Baden la Baviera, l'Assia-Darmstadt, l'Assia-Cassel, Nassau, la Sassonia, Oldenburgo, Mecklenburgo, Amburgo, Brema, Lubecca. La libertà formale rimansi impassibile; lascia fare la Germania, che vuol esser una, sotto l'impero; lascia fare l'Italia , che vuol essere una, sotto il papato; lascia fare i re, che ingannano i popoli; lascia ordire un'immensa cospirazione di banchieri, di diplomatici e di soldati, che stordiscono i popoli colla diversione della guerra, della nazionalità, dell'unità; perchè in nessun luogo il povero intenda l'imminente protesta del proletario di Francia. Quando la Costituente fu convocata, il dì 8 maggio, Lamartine monta alla tribuna, e descrive le ventidue rivoluzioni che hanno risposto all'iniziativa di febbraio; e dice alla democrazia: «Ecco in settantadue giorni il risultato della nostra politica». La reazione avrebbe trionfato da Berlino fino a Palermo, i re ed i principi avrebbero bombardate tutte le città dell'Europa; e Lamartine avrebbe potuto dire: noi abbiamo rassicurato il papa, l'imperatore, i re, i principi; abbiamo scoraggiati i popoli, dimenticati i Polacchi, i Lombardi, i Veneziani; noi abbiamo accettate le divisioni territoriali del 1815; or bene, in onta della catastrofe di febbraio, in settantadue giorni tutto è ristabilito nell'Europa intera.

La libertà formale era adottata in principiò dal governo provvisorio, lo fu dalla Costituente; e la Costituente vi rimase fedele fino agli ultimi momenti. Ad ogni spinta verso l'azione, rispondevasi: «Bisogna attendere in armi che l'Italia e la Germania ci chiamino, per assicurare in comune l'opera della loro emancipazione . Intanto si lusingava ogni errore, si proteggeva ogni intrigo, si vezzeggiava il tradimento. E in Italia era manifesto. «Gli amici dell'Italia si rassicurino», diceva il Petrarca francese; «se si levasse un grido di dolore, se le circostanze lo rendessero necessario, la Francia interverrebbe al suo modo e al suo tempo. L'Italia sarà libera ad ogni modo». Si prometteva di soccorrere l'Italia, quand'ella il volesse; ma il soccorso era sottoposto alle circostanze, e la Francia doveva accordarlo all'ora e tempo opportuni, d'accordo coi Tedeschi, d'accordo colla cristianità; promettevasi la libertà, ma promettevasi ad un tempo ai Tedeschi, ai Polacchi, agli Italiani, a tutti i popoli più opposti per principj, per interessi, per tendenza, per ambizioni, per tradizioni, promettevasi la libertà, ma si operava secondo la teoria dei fatti compiuti; il soccorso doveva giungere dopo la sconfitta, dopo la sciagura, quando l'oppresso non poteva più invocarlo, quando più non v'erano assemblee, nè rappresentanti, quando la libertà sarebbe divenuta cristiana, imperiale e papale. L'assurda promessa fu riassunta dal voto del 24 maggio, che poneva per principio: il patto fraterno con l'Alemagna, la libertà dell'Italia ed il ristauramento della Polonia». Il decreto dell'assemblea metteva innanzi una contraddizione in termini, una doppia, collisione premeditata tra l'Alemagna e la Polonia, tra l'Alemagna e l'Italia, affinchè tutti gli equivoci fossero apparecchiati al tradimento della libertà formale.

All'epoca della capitolazione di Milano si intende un grido di dolore: Cavaignac promette d'intervenire al suo modo, all'ora sua; promette una soluzione pacifica coll'Inghilterra, con tutte le potenze; e l'Alta Italia sarà libera se l'Austria liberamente il consente. Il papa fugge, sopraffatto dalla democrazia: la libertà vuol proteggerne la sua fuga, vuole ospitarlo in Francia, vuol liberare gli Stati romani dall'anarchia; vuol entrare in Roma, assediarvi tutti i repubblicani d'Italia. Si oppose al ministero l'articolo 8° della costituzione, che proclama la libertà di tutti i popoli. Or bene, quest'articolo non fu violato; poteva avere solo il valore della costituzione; chi protestò fece salvo l'onore della democrazia francese, ma combatteva sulla terra tradita della libertà formale; la vittoria era impossibile di diritto e di fatto. Lasciamo il fatto, troppo noto, stiamo al diritto. La costituzione ha definita la libertà? ha proscritto il papato? ha condannato il cattolicismo? No; anzi ha assicurato la libertà ai cattolici, e quindi al mondo cattolico. Preso alla lettera, l'articolo 8° della costituzione rende impossibile ogni azione della Francia all'estero. È possibile di rispettare dappertutto, e sempre, la libertà di tutti i popoli? è possibile di fraternizzare nello stesso tempo colla Germania e coll'Italia, colla Russia e colla Polonia? è possibile agire senza offendere, senza urtare alcun dogma? L'articolo 8° non ha senso, come la parola classica del Petrarca; deve dunque essere interpretato. Da chi? Dalla costituzione. Qual'è il dogma della costituzione? Essa pone per primo principio il Dio di Robespierre, che, vago per sè, deve essere interpretato: la costituzione stipendia le tre religioni; dunque le tre religioni sono le tre interpretazioni legali di Dio; dunque ogni culto deve sostenere la parte sua, onde stabilire il dominio della rivelazione soprannaturale, ciascuno deve appuntellare il governo nella misura prefissa dalla statistica, dal numero de' suoi credenti; da ultimo, la statistica della Francia deve unirsi alla geografia politica dell'Europa per fissare alla maggioranza de' Francesi la parte da sostenere all'estero. Che diveniva la causa della libertà romana? Quella del mondo cattolico; era mestieri che la repubblica francese abbattesse la repubblica romana, poichè questa colle sue insurrezioni distruggeva il principio primo che tiene alienato nel nome di Cristo il mezzodì dell'Europa e la maggioranza del popolo francese. Quindi Odilon Barrot parlò di difendere la causa dei nostri nazionali a Roma, cioè il clero francese; parlò di sostenere la nostra influenza in Italia, l'influenza cattolica; Oudinot giunse da fratello sotto le mura di Roma, intendi da fratello cattolico; M. Lesseps negoziò per la libertà di Roma; intendi la libertà cattolica; e compita l'opera, i sofisti che l'avevano diretta cedettero la parola a Falloux, che spiegò la libertà del papato. Che la discussione sugli affari di Roma fosse piena d'ipocrisia e di cavilli, d'infamie e di pentimenti, non io certo il negherò; quanto negherò sempre si è, che la costituzione fosse violata; essa non lo fu, non poteva esserlo, voleva da sè la propria violazione; e questo dico perchè ciò insegna doversi uscire dal principio astratto della libertà, se non vogliamo essere traditi ad ogni passo, e avviluppati in mille frodi. La libertà ci ha fatto genti senza dogmi, senza regola, senza condotta; le nostre leggi sono insidie, le nostro discussioni sono sottigliezze bizantine, le nostre costituzioni proteggono i più forti, i re, i papi, i condottieri. Presso gli antichi, nel medio-evo, le leggi erano precise, emanavano da un principio, affermavano, negavano i dogmi; l'equivoco era impossibile, Finchè noi non avremo il coraggio di inscrivere nelle nostre costituzioni la nostra vera religione, cioè la scienza, i nostri nemici s'insinueranno sempre nel nostro campo colle armi loro, fornite dalla nostra viltà7

 

 

 




7 Vedi la mia Federazione Repubblicana. - Londra 1851.






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