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Giuseppe Ferrari
Filosofia della rivoluzione

IntraText CT - Lettura del testo

  • PARTE PRIMA   CRITICA DELL'EVIDENZA
    • SEZIONE SECONDA   IL PENSIERO
      • Capitolo II   LA PSICOLOGIA PERFEZIONA LO SCETTICISMO
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Capitolo II

 

LA PSICOLOGIA PERFEZIONA LO SCETTICISMO

 

Quando osserviamo la natura, dimenticando noi stessi, scopriamo che la natura è incoerente, impossibile, pure riconosciamo che esiste: quando ci ripieghiamo sopra di noi, incontriamo un nuovo fenomeno: l'errore. In forze dell'errore affermiamo ciò che non è, neghiamo ciò che è, alteriamo la realtà che si sottrae ai nostri sforzi, e accade che possiamo dubitare dell'universo intero considerandolo come un errore del nostro pensiero. Come distinguere l'errore dalla verità? Se non sciogliamo questo problema, nessun problema sarà sciolto.

In presenza della logica il falso e il vero stanno come i due termini di un eterno dilemma. Impadronendosi del falso la logica non può giungere al vero; tra l'errore e la verità non vi ha identità, nè equazione, nè deduzione; la verità, diventa quindi impossibile. Viceversa, impadronendosi della verità la logica non può piùarrivare all'errore, ed è l'errore che diventa impossibile. La logica ci dichiara assolutamente fallibili o assolutamente infallibili, secondo che prende il suo punto di partenza nel falso o nel vero.

Prendiamo il dato dell'errore. La nostra fallibilità non avrà limiti. I sensi mettendoci in comunicazione colla natura, ci ingannano sulle distanze, sui colori, sulle figure, sui suoni, su tutto; ogni nostro organo è aperto all'illusione. I sentimenti falsificano le nostre opinioni, cogli interessi álterano il valore delle cose; l'età, il sesso, il temperamento, la razza, dispongono della nostra intelligenza, per cui le nostre opinioni dipendono dall'accidente della nascita, il clima governa i nostri pensieri, la latitudine governa i nostri dogmi. Dove trovare il clima, il temperamento, il sesso della verità? L'abitudine ci dà una seconda natura; qual'è questa natura? Essa è tutta meccanica, cieca, in balia al caso delle leggi, delle religioni, dell'educazione. L'analogia, quest'abitudine dell'intelligenza si impadronisce dell'universo per rifarlo a imagine e somiglianza del nostro paese, della nostra famiglia, di noi stessi; essa attribuisce a Dio le nostre forme, e lo adora come un re. Possiamo noi chiedere la verità all'abitudine o all'analogia? La chiederemo noi alle passioni? sarebbe pure lo stesso che chiederla al pregiudizio, all'amore, al furore, all'imaginazione, predestinata a mentire, alla follìa, la quale non è se non la malattia delle passioni e dell'imaginazione. L'errore si propaga colla potenza dello sguardo, della parola, col fascino dell'imitazione; nulla gli sfugge, nemmeno le percezioni; l'allucinazione usurpa la parte della natura, e simula cose che non esistono; il sogno usurpa le parti della nostra persona, ci fa vivere in un io falso e menzognero; qualche volta ci mostra il nostro io fuori di noi, e c'insegna così che noi stessi possiamo essere un errore. Dove sarà dunque l'asilo della verità? Nel giudizio? nel raziocinio? ma le sono facoltà vuote, serve de' nostri sensi, delle nostre abitudini, delle nostre passioni, di ogni nostro pregiudizio. Formalmente il Bramino, il Cattolico ragionano come noi: se la verità dipendesse dal raziocinio, essa regnerebbe sulla terra fin dall'origine del mondo. Abbandonati da tutte le nostre facoltà ad una fallibilità universale, non possiamo toccare la terra promessa della verità; posto il dato dell'errore, la logica ci vieta di uscirne.

Accordiamo invece alla logica il dato della verità. Evidentemente, se arriviamo alla verità, se le nostre facoltà, la nostra ragione, le nostre forze, se il giudizio, la memoria, l'imaginazione non c'ingannano, ne risulterà di primo tratto che siamo infallibili. L'errore riesce inesplicabile. Descartes cadde completamente in questo tranello filosofico. A forza di cercare l'assoluto si persuase di averlo trovato e scopriva un Dio così benevolo, così gentile, che non poteva supporre in lui la scortesia di volerci ingannare dotandoci di facoltà erronee. Prima della sua scoperta egli era tormentato dall'errore; ma dopo fu peggio, perchè fu tormentato della verità; egli non seppe più come spiegare le nostre illusioni, e le imputò alla volontà, che ne è innocente.

A parte Descartes e il suo Dio; se tutte le nostre facoltà sono infallibili, l'errore deve risultare da una combinazione delle nostre facoltà, che innocentemente si ingannerebbero a vicenda. Quest'ipotesi non è che un fatto, atteso che ci è facile di giustificare le nostre facoltà, e di mostrare che nessuna isolatamente può traviarci. La sensazione, l'analogia, gli interessi, le passioni non possono illuderci? Esse non giudicano, esse rinviano al giudizio la responsabilità dell'errore. Il giudizio poi non può errare: esso dipende dai dati che lo dominano; deve affermare i fenomeni che gli sono presentati dalle altre facoltà. Se le facoltà cospirano per dare una combinazione insidiosa, perchè accuseremo la ragione? Essa va dove è spinta dalle nostre facoltà; il giudizio è in balia de' fenomeni, l'induzione è serva dei fatti, le deduzione è schiava delle premesse; l'intelligenza dell'uomo è sempre infallibile, le altre facoltà sono innocenti, e l'errore è una disposizione di fenomeni, dove tutti gli elementi sono veri, mentre il risultato c'inganna. Questa, secondo me, è l'origine naturale dell'errore. Vogliasi ammetterla o rigettarla, qui poco importa; io la propongo come mera ipotesi per istabilire che, secondo la natura, il falso può essere un falso risultamento delle nostre facoltà, tutte infallibili. Ma la logica ci impedisce di imputare l'errore ad una combinazione di facoltà infallibili. Aggiungendo il vero al vero non ne può risultare che il vero, nè si potrebbe comprendere come due o più testimoni infallibili potrebbero deporre il falso. Ecco dunque l'impossibilità dell'errore dal momento che si ammette la verità.

Abbiamo supposto dapprima che tutte le nostre facoltà sono fallibili, in seguito, che tutte le nostre facoltà sono infallibili; ci resta a imaginare che alcune facoltà siano infallibili, mentre le altre c'ingannano. Così Epicuro, ci rende infallibili in forza del senso, e fallibili in forza del giudizio; Locke, Hume, Condillac, danno la verità all'osservazione, l'errore alla riflessione; i razionalisti intervertono la teoria, per cui, secondo essi, il senso inganna, mentre la ragione resta infallibile. Lo stesso cristianesimo costituì la dualità del vero e del falso, quando concesse alla fede il potere di salvarci, alla ragione quello di perderci; materializzandosi nel cattolicismo, la dualità cristiana largisce l'infallibilità ad un uomo che non ragiona, al papa; e accusa di ribellione gli uomini che sarebbero tentati di far uso della ragione. Descartes prende al rovescio la teoria cattolica; e, secondo lui, la ragione è infallibile; ma la fede, cioè la volontà e l'autorità, sono essenzialmente incerte e arbitrarie. L'ipotesi che spiega l'errore attribuendolo ad alcune facoltà è frequente sotto forme diverse e opposte nella storia della filosofia; pure non vale che a fare dell'uomo un essere mezzo infallibile, mezzo fallibile, mezzo Dio e mezzo demente. Coll'ammettere qualche facoltà erronea, si ammettono errori fatali, invincibili, ineluttabili; quindi la contraddizione si ristabilisce più forte di prima, dandosi il sì e il no a due parti della mente. Concediamo noi che la parte infallibile può correggere la parte fallibile? questa non sarà più che un vizio organico; conosciuta come erronea, non potrà più ingannarci, sarà un testimonio disprezzato, l'errore non è spiegato. L'infermo in un accesso di febbre previsto non s'inganna sul calore atmosferico; benchè ardente o assiderato, conosce la verità, almeno la sospetta. Ciò non può essere nell'errore, che quando è sospettato cessa di essere l'errore. Convien dunque che la parte infallibile della nostra mente non possa correggere la parte fallibile; ed in questo caso il falso non può essere distinto dal vero. Poichè ogni facoltà resta nella sua sfera d'azione, l'orecchio non può rettificare l'occhio, nè il tatto l'orecchio; ogni facoltà è incompetente fuori della sua sfera d'azione nè può essere consultata o ascoltata; quindi non verificandosi mutuamente, il testimonio delle une vale quanto il testimonio delle altre; quindi la volontà non può vincere la ragione, nè la ragione può trionfare della sensazione, nè la sensazione della riflessione. Dove sarà dunque l'errore? ingannati, noi non sapremo trovarlo; un demente avrà il diritto di resistere al consenso del genere umano.

 

 




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