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Giuseppe Ferrari
Filosofia della rivoluzione

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  • PARTE PRIMA   CRITICA DELL'EVIDENZA
    • SEZIONE TERZA   DEL DEISMO
      • Capitolo I   LA DIMOSTRAZIONE DELL'ESISTENZA DI DIO
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SEZIONE TERZA

 

DEL DEISMO

 

 

Capitolo I

 

LA DIMOSTRAZIONE DELL'ESISTENZA DI DIO

 

Vinta sulla terra, la filosofia cercò la certezza nel cielo; lasciando la materia e lo spirito in balia della critica, sperò di trovare in Dio un principio inalterabile e inaccessibile alle contraddizioni. Per sè stesso il deismo non avrebbe il diritto di qui fermarci, perchè noi critichiamo l'evidenza dei fatti, nè ci siamo proposti di esaminare alcuna ipotesi filosofica. Qualche volta i critici combattono l'esistenza di Dio dandole il valore che si concede alle cose della natura; e confutano ad un tempo i deisti ed i fisici: ma tanto varrebbe il sottoporre indifferentemente alla critica l'esistenza della Senna e quella dell'Averno. L'Averno è contraddittorio quanto la Senna, ma non è evidente, non appare; a che la critica? Lo stesso si dica di Dio: combatterlo quando si combatte la natura, è un voler inteso che esiste come la natura, è un transigere moralmente mentre si lotta logicamente. No, se noi sottomettiamo Dio alla critica, non è che lo crediamo evidente come la natura, ma è che dobbiamo rivendicare e mantenere tutte le contraddizioni che si pretendono conciliate dall'ipotesi di Dio.

Il deismo ci scopre il suo vizio nell'atto stesso in cui vuol costituirsi: esso deve cercare la dimostrazione del suo idolo, e la dimostrazione deve dare per risultato, non un'ipotesi, ma l'assoluto. Ecco l'errore. Voi dovete costituire l'assoluto; voi volete dimostrarlo, voi cercate la dimostrazione per trionfare di ogni contraddizione. Or bene, su che fondate il vostro assoluto? Su di una dimostrazione; la quale deve fondarsi sulla natura o sul pensiero, cioè su due mezzi già riconosciuti contraddittori e condannati dalla logica: dunque Dio avrà per base l'incertezza della nostra propria esistenza: la scienza infinita ed eterna avrà per base il dubbio universale. D'altronde, questa scienza si svilupperà necessariamente nella regione delle idee; quindi la dimostrazione dell'esistenza di Dio sarà sempre una nostra idea, un nostro concetto personale, la nostra maniera di vedere; non farà Dio, non uscirà mai da sè per identificarsi con Dio, non sarà mai una vera dimostrazione. Come ogni nostro giudizio, essa soccomberà sotto la distinzione fatale del soggetto e dell'oggetto, del pensiero e della cosa. L'abisso che ci separa dalla natura e da noi stessi, s'apre altresì tra il nostro pensiero e la Divinità.

S'anco la dimostrazione dell'esistenza di Dio fosse possibile, il risultato ci sfuggirebbe ancora. Noi non possiamo pensare se non sotto la condizione del finito; un limite è indispensabile ad ogni concetto; ora in qual modo concepiremo noi un essere infinito ed illimitato? Per concepir Dio bisogna limitarlo, distruggerlo; bisogna perdere il pensiero o perdere Dio, sacrificare la nostra persona o sacrificare l'assoluto al quale si aspira. Del resto Dio non è nel mondo, e nulla sulla terra ci può rivelare la sua immagine; Dio non è la vita, perchè la vita si áltera, cambia e si esaurisce; Dio non è un pensiero, perchè il pensiero suppone un limite, poi riproduce tutte le contraddizioni della natura esteriore: in qual modo adunque innalzarci a Dio? I deisti tentano di spiegarlo pe' suoi attributi, lo proclamano onnipotente, onnisciente, infinitamente buono, ed ogni attributo ci fa ricadere nella contraddizione. Noi non possiamo concepire la scienza senza limitarla nel suo oggetto; non possiamo comprendere la forza, senza lo sforzo, senza la resistenza; non ci è dato di ammettere una bontà che non sia anch'essa limitata, lottando col male: a che dunque si riducono gli attributi divini? Si riducono a parole vuote di senso. Gli stessi deisti, parlando di Dio, sono sforzati a dichiarare che il loro discorso non è se non una metafora proporzionata alla nostra debolezza, un traslato falso, relativo, imaginato per supplire all'invincibile ignoranza della nostra mente. L'assoluto è dunque inconcepibile, ineffabile, assolutamente al di fuori delle nostre facoltà; e se col dire che Dio esiste si giunge al più alto grado della scienza e della certezza, la dimostrazione di Dio ci lascia esattamente al punto di partenza in mezzo alle contraddizioni. Solo, sulla terra, l'uomo si trova oppresso dal dubbio; ammesso Dio, si trova tra una natura contraddittoria e un essere inconcepibile, tra una contingenza inesplicabile ed un'oscura necessità. Così, al momento stesso in cui speriamo d'innalzarci a Dio, siamo sconfortati dal mezzo inetto di cui dobbiamo servirci; al momento in cui cerchiamo la premessa della dimostrazione, ci accorgiamo che sfuggirà eternamente alle nostre ricerche. Supposto che noi possiamo ottenere la dimostrazione dell'esistenza di Dio, essa resterebbe confinata nelle nostre idee, nè giammai potrebbe toccar Dio. Supposta anche la possibilità di uscire dal nostro pensiero, il risultato della dimostrazione ci farebbe retrocedere al punto di partenza, perchè noi saremmo dinanzi un essere che non si può comprendere. Pertanto attendiamoci a vedere in tutte le dimostrazioni che furono date dall'esistenza di Dio, una contraddizione radicale, in cui la conclusione e le premesse si renderanno a vicenda impossibili.

 

 




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