Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Giuseppe Ferrari
Filosofia della rivoluzione

IntraText CT - Lettura del testo

  • PARTE PRIMA   CRITICA DELL'EVIDENZA
    • SEZIONE TERZA   DEL DEISMO
      • Capitolo IV   LA PROVVIDENZA RENDE L'ORDINE ATTUALE IMPOSSIBILE
Precedente - Successivo

Clicca qui per attivare i link alle concordanze

Capitolo IV

 

LA PROVVIDENZA RENDE L'ORDINE

ATTUALE IMPOSSIBILE

 

La provvidenza subisce la sorte degli altri attributi; invocata per ispiegare l'ordine, lo rende impossibile. L'ordine sulla terra è indivisibile dal disordine; dappertutto il bene suppone il male, il piacere dà la mano al dolore, il gaudio alla tristezza; la guerra degli esseri è universale, la natura è tutta insanguinata. Volete voi credere alla provvidenza? negate l'esistenza del mondo.

Si tenta di conciliare la provvidenza coll'esistenza del male, attribuendolo alla libertà di Dio. Dio è libero, dicesi; non deve nulla alla sua creatura; superiore alla distinzione del bene e del male, signore assoluto dell'universo, aveva il diritto di abbandonarci alla distruzione ed alla morte: la sua bontà splende nel bene, la sua libertà spiega il male. Questa è la teodicea popolare, essa benedice la bontà infinita degli Dei più terribili; nelle scuole cristiane si trovò giusto che nella sua libertà Dio potesse permettere il peccato originale; si trovò giusto che Dio punisse il genere umano per la colpa di un uomo; si trovò che avesse predestinato la maggior parte degli uomini a soffrire supplizi senza fine per avere ceduto a passioni momentanee, a seduzioni, in cui egli stesso era l'istigatore della colpa. Fu detto che egli aveva il diritto di moltiplicare le malattie, i flagelli; che poteva servirsi delle stragi, delle pesti, dei diluvi per raggiungere il fine da lui prefisso. Siamo presi da spavento seguendo passo passo gli sciagurati casuisti della sua libertà; non un delitto, non una sventura che non sia giustificata, per farlo superiore alla morale. Qual'è il risultato della giustificazione? Quello semplicissimo di tradurre la teodicea in una vera demonologia, celebrando Dio tiranno dell'universo. Nè la logica dei teologi può fermarsi alla tirannia attuale: tutto deve essere permesso alla libertà divina; le deve essere accordato di aggiungere male a male, senza riposo, senza fine, senza termine fino alla consumazione del dolore, fino alla morte della morte. Dio ha già imposto il male alla terra. Nel cristianesimo Dio ha condannato il genere umano per la colpa di un uomo; ci ha condannati al fuoco dell'inferno, ed usava sempre del diritto della sua libertà infinita. Si prosegua il ragionamento: la demonologia cristiana sarebbe raddoppiata, il male sarebbe progressivo nell'universo, sarebbe la legge universale; la vita avvenire dovrebbe essere per tutti un inferno perfettibile; nessun dolore, nessun disordine avrebbe il diritto di mettere un limite alla libertà divina. Dunque la libertà divina conduce alla deificazione del male, suggerita per iscolpare un Dio infinito, detta l'apologia di un male infinito; e l'uomo che si prosterna davanti un Dio assolutamente libero, venera un essere infinitamente scellerato per la libertà; adora un mostro che riassume in una sola persona gli attributi di Ormusd e quelli di Arimane. Si sfugge così alla contraddizione terrestre del bene e del male: ma a qual patto? a patto di trasportare la contraddizione nel seno di Dio.

Una seconda teoria giustifica la provvidenza colla idea che la potenza di Dio trovasi sottoposta alla necessità di servirsi di certi mezzi per raggiungere lo scopo dell'universo. Si dichiara che la bontà divina è infinita, che noi siamo certi a priori di essere nel migliore dei mondi possibili; che se il male esiste, se ci opprime, non è male, è mezzo per giungere ad un bene; non è male assoluto, è inconveniente relativo, inseparabile dal bene generale di tutti gli esseri. Con simili ragioni si è paragonato Dio a un medico che prescrive bevande disgustose e salutari; a un re che si serve di un Wallenstein, di un generale devastatore, per conservare le sue provincie. Non vuole mai il male per il male, ma lo permette in vista del bene; che ne risulterà? può impedirlo, ma lascia fare; egli dà il pugnale al sicario, le armi all'assassino, l'essere alle azioni più spaventevoli; assiste alle guerre dei popoli, le prepara; e tuttavia non è complice del male, non vi concorre che materialmente per trarne un più gran bene. Alcun tribunale della terra ammetterebbe simile difesa per giustificare un accusato; nessun uomo dotato di senso morale approverebbe questa iniqua ragione di stato, per cui Dio opererebbe come i Borgia, e non terrebbesi iniquo. Pure ammettiamola, deduciamone l'ultima conseguenza; trattasi di un essere infinito, e l'infinito c'impone di toccare il fondo dell'ipotesi. Dio dà il pugnale ai sicari, è un re debole, che governa col mezzo de' tiranni; i Wallenstein, i Borgia, i Metternich sono i suoi ministri; colle migliori intenzioni sottoposto alla fatalità dei mezzi, deve permettere le malattie, le carestie, i diluvi; per la sua impotenza i teologi cristiani hanno giustificato la maledizione scagliata sulla razza di Adamo, hanno dimostrato che l'eternità delle pene e la dannazione della immensa maggioranza del genere umano erano inconvenienti necessari al più gran bene della repubblica dell'universo. Si compia adunque il ragionamento. Accetteremmo una tradizione mille volte più terribile di quella degli Ebrei, ma la provvidenza sarebbe sempre giustificata; il numero dei flagelli nel tempo e nella eternità sarebbe mille volte più grande; e sempre sicuri della bontà divina dovremmo attribuire il male alla ignota necessità che limita la potenza di Dio. L'avvenire nel tempo e nell'eternità sarebbe una decadenza progressiva, illimitata, infernale; e la provvidenza sarebbe sempre giustificata all'infinito, perchè nessuna sciagura finita, per quanto spaventevole sia, può diminuire d'un punto una bontà infinita, la cui potenza può restringersi all'infinito. Eccoci dunque dinanzi a un Dio che riunisce in una sola persona una bontà infinita e un'impotenza senza limiti: una misericordia immensa e una incalcolabile incapacità. Il bene e il male del mondo si conciliano; ma la contraddizione passa negli attributi di Dio, i quali riproducono quei due ideali della perfezione e della imperfezione che si sviluppano, combattendosi e intervertendosi a vicenda, nel nostro spirito.

Per un ultimo sforzo si vuol eludere la contraddizione tra la provvidenza e l'origine del male, riducendo il male ad una mera privazione. L'espediente è semplice; il male vien fatto eguale al nulla, e si scorre a traverso le difficoltà a forza di sofismi. Si mostra che lo scellerato si avanza verso il nulla, che lavora alla propria distruzione; si tracciano scene metafisico-fantastiche, in cui le nozioni del bene vengono svisate per istabilire poi la bizzarra equazione del male col nulla. Fatica perduta: ogni scena può intervertirsi, e ci è agevole di presentare gli eroi più celebri come illustri suicidi, e i fanciulli più innocenti come vere negazioni. Se la tristezza, se il dolore, se il vizio non sono altro che le negazioni del piacere, del gaudio, della virtù, perchè alla loro volta il gaudio, il piacere, la virtù non sarebbero pure negazioni del male, mere privazioni?

Dimentichiamo la interversione; sia pure il male eguale al limite, alla privazione, al nulla; il limite accusa Dio, lo accusa di imperfezione; Dio non è egli giustificato; la difesa deve ricominciare. Nel fatto i teologi la ricominciano, e stranamente dicendo che egli non poteva creare altri Dei; che l'infinito non poteva creare altri infiniti: egli ha dunque creati gli esseri limitandoli, e col limite generava simultaneamente il male nel mondo. Ma le due nozioni del male e del limite sono distintissime; il limite è sì distinto dal male, che si applica egualmente al male e al bene: havvi un termine al dolore, havvene uno al piacere; distruggansi i limiti, la misura, la proporzione delle cose saranno violate; il bene stesso sarà trasformato nel male. Dunque per qual ragione il limite sarebbe il male piuttosto che il bene? Si risponde continuando il romanzo metafisico. Dicesi: il limite circoscrive il nostro pensiero, lo confonde, la confusione ci fa cadere nell'errore. Ecco una prima equazione del limite coll'errore; equazione imaginaria, perchè il pensiero può circoscriversi, limitarsi fino ai confini del nulla, senza ingannarsi; l'ignoranza non è l'errore. Poi l'equazione non basta; per sè stesso l'errore non è un male, può essere un bene, possiamo essere felicemente ingannati, o felici nell'inganno: d'onde il male? L'errore, si soggiunge, c'induce alla colpa; facendoci vedere il bene là dove non è; ci seduce, e precipitiamo nel male. Ecco una nuova equazione dell'errore col delitto; e ancora non basta: l'omicidio involontario non è punito; l'errore non è che un errore; non è che un male psicologico, non è un mal morale. Infine si conclude, il delitto trascina con sè la pena, dimodochè il male fisico non è che una punizione, la conseguenza naturale di un mal morale. Ma diremo noi che l'ammalato è un condannato? Come concepire un Dio che punisce gli errori inevitabili dello spirito, i quali conducono a delitti egualmente inevitabili? Come ammettere che egli punisca in noi la sua propria colpa, di averci creati fallibili? Qual è il misfatto commesso dall'infante che nasce preda del dolore? Quale il misfatto della donna condannata a partorire soffrendo? Nondimeno identifichiamo il male col limite: stia pure che la donna debba partorire con dolore, che l'uomo sia condannato al lavoro, che ogni animale debba essere destinato alla morte, che la terra debba essere invasa dalla peste, dalle carestie, dai diluvi, e sempre perchè il mondo è creato sotto la condizione del limite, e perchè Dio non poteva creare altri Dei; ne conseguirà nella bontà divina la colpa di non essersi astenuta dal creare, di non aver resistito alla ignota forza che la spingeva a manifestarsi limitandosi, cioè divenendo malefica. - Quanto all'idea di attenuare il misfatto divino considerando il grandissimo numero de' beni prodigati nel mondo, quanto alle ambagi teologiche nelle quali si celebrano mille gioie scempiamente bucoliche per nascondere l'amara tristezza delle umane sorti, disdegniamo la discussione e passiam oltre. Dinanzi a Dio siamo al cospetto di un essere matematico; il più, il meno, i palliativi, le transazioni sono incompatibili colla necessità logica dell'assoluto. Ciò che accusa la provvidenza è il male, non la quantità del male: poco importa che esso si riduca alla privazione, che la somma dei piaceri oltrepassi quella dei dolori, che le virtù siano più numerose dei vizi. Si tenta di consolarci assicurando che maggiori piaceri ci avrebbero danneggiato, che il dolore ha la sua missione, che veglia a conservarci, e che la natura ci fu matrigna per esserci miglior madre. Si tenta di scolpar Dio avvertendo che i dolori degli animali sono minimi; che forse l'uomo, creatura misera e sacrificata, era necessaria per empiere un vacuum formarum nell'ordine universale della creazione; ci vien fatto osservare che dalla terra non si può giudicar l'universo; che se la terra è infelice, la repubblica universale di tutti gli esseri è forse felicissima, e che l'universo medesimo è forse in progresso. Son tutte ipotesi per sè cavillose, meschine, senza valore. In primo luogo si può intervertire e supporre che più grandi piaceri ci avrebbero resi felici, che il piacere poteva vegliar solo sulla nostra conservazione, senza che il dolore fosse necessario: invece di imaginare che la terra sia un'eccezione sventurata nello universo, si può credere, al contrario, che sia un'eccezione di felicità, che l'universo decada, che l'uomo sia sacrificato, che nessuna ricompensa lo attenda nell'altra vita. Ma intralasciamo ogni considerazione accessoria e puramente secondaria, ogni interversione delle possibilità del dolore: ciò che più rileva è che dinanzi a Dio è il male, e non la quantità del male che pesa. Se anche un insetto soffrisse solo e per eccezione nell'universo, basterebbe all'accusa e questa sarebbe forte come se l'universo fosse un inferno. Posta la bontà infinita, non si può dare il male; ammesso il male, Dio è limitato, lotta col mal genio, e noi non sappiamo di chi sarà la vittoria. Se il limite era la condizione del creato, se imponeva il male all'universo, creando il mondo Dio si è degradato, la creazione fu una caduta; la provvidenza rendeva il mondo impossibile.

La filosofia si volse a Dio per sottrarsi alla contraddizione universale; disperando d'ogni cosa, volle innalzarsi all'assoluto. Ma la logica, che distruggeva tutti gli esseri della natura e tutti i pensieri dell'uomo, le impediva di lasciare la terra, smascherava la contraddizione originaria in tutte le prove dell'esistenza di Dio; se vuolsi dissimularle, la logica le mostra in Dio per distruggere la natura per mezzo di Dio, e Dio per mezzo de' suoi stessi attributi.





Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2007. Content in this page is licensed under a Creative Commons License