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Giuseppe Ferrari Filosofia della rivoluzione IntraText CT - Lettura del testo |
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Capitolo X
LA FELICITÀ È IMPOSSIBILE
Dimentichiamo la giustizia come assurda, fermiamo la nostra attenzione sull'interesse; corriamo all'unico scopo della felicità; la logica ci raggiungerà ancora; in traccia della felicità, ci troveremo avviluppati da nuove contraddizioni. L'arte di vivere non è possibile, e se esiste rende impossibile la felicità. Il primo passo dell'arte di vivere si è di scegliere tra il bene e il male, che ormai considereremo come sinonimi di utile e di danno. Perchè scegliamo solo il bene? Perchè evitiamo il male? Il motivo della decisione ci manca, la natura ci trascina; si abbraccia il bene, si evita il male; la logica non ha motivo di preferenza. L'impossibilità di scegliere tra il bene e il male riappare sotto nuove forme, ove vogliasi definire il bene. Di fatto, non si può definirlo, nè concepirlo se non col mezzo del male: sopprimendo i nostri dolori, sopprimiamo i nostri piaceri; senza la fame il cibo è odioso; chi non conosce la miseria non desidera la ricchezza; la sventura è la migliore maestra della felicità. Ne risulta, che per godere è d'uopo soffrire; per moltiplicare i piaceri, fa d'uopo moltiplicare i bisogni, i dolori. Chi è satollo non mangia; Salomone non trova più diletti; l'uomo felice si ritempra più col dolore che col piacere: cerca i pericoli del giuoco, dell'amore; l'epulone investito dallo spleen divien suicida. Quindi un dilemma: volete essere felici moltiplicando i beni che vi circondano? sarà necessario moltiplicare i vostri dolori e la possibilità d'essere infelici. Il ricco può essere offeso nella sua terra, nel suo danaro, in ogni suo avere; l'uomo felice per la famiglia, per l'amicizia, per la patria, può essere infelice quante volte ha moltiplicato la sua esistenza fuori di sè. L'arte di vivere aumentando il numero dei piaceri, ci allontana dallo scopo. Al contrario volete voi evitare l'infelicità, raccogliervi in voi, circoscrivere, per così dire, la superficie della vostra sensibilità? allora vi fia d'uopo rinunziare alla ricchezza, all'amicizia, alla famiglia, alla patria; vi fia d'uopo rinunziare a tutte le ricchezze dell'animo, per isolarvi nello stomachevole egoismo dei cinici. E troveremo noi la felicità in questa solitudine? Vi troveremo l'esistenza senza piaceri, la vita spoglia d'ogni gaudio, il bene affatto privo d'ogni bene, una felicità che è una miseria. Dunque noi restiamo sempre nel dilemma, o di accrescere i nostri dolori nell'atto che cerchiamo la felicità, o di sopprimere ad un tempo la felicità e i dolori. La turba cerca i beni senza curarsi dei mali che li seguono: si ragiona talvolta della felicità del povero e dell'infelicità del ricco; nondimeno, a malgrado della logica, ognuno sorride e la natura la vince. Cediamo dunque all'impulso della natura, raccogliamo intorno a noi il maggior numero di beni: sarà sempre vero che non possiamo darci ad un tempo a tutti i piaceri; è forza scegliere tra i diversi beni, e la logica c'investe di nuovo ripetendoci l'inevitabile sua contraddizione. I beni sono diversi, distinti; sono irreducibili; il motivo della scelta ci manca assolutamente. Si paragoni la voluttà coll'ambizione. La voluttà si fonda sul senso, chiede solo il piacere, consulta solo il capriccio; l'ambizione vuole il comando, l'ordinamento degli interessi, la signoria dello Stato. La voluttà e l'ambizione si escludono stimando in senso opposto ogni valore. Per la voluttà il denaro è la chiave de' piaceri, l'amore è l'imagine suprema della felicità, la gloria una fonte di dolcezze: per l'ambizione il denaro è la chiave delle coscienze, l'amore un espediente, la gloria un mezzo onde affascinare i popoli. Se anco la gloria e l'ambizione fossero sole sulla terra, se la contenderebbero senza nemmeno intendersi. Per l'uomo sensuale l'ambizione è un affetto che si svolge in mezzo ai tumulti; è un morbo della vanità; essa ci sottopone a fatiche esose, a intollerabili privazioni; è una forza che ci strugge. D'altra parte, il politico disprezza la felicità dell'inerte, lo lascia a' suoi piaceri insipidi, alle sue soddisfazioni neghittose e domina l'ozioso come sua cosa. La voluttà e l'ambizione si accusano scambievolmente di follìa; il bene dell'una è il male dell'altra; e viceversa. La stessa opposizione si rinviene tra tutti i beni, si moltiplica nella varietà degli istinti, delle passioni, delle ispirazioni, e ci toglie ogni motivo di scelta. Non potendo scegliere, non possiamo scambiare un bene coll'altro, nè cangiare, nè vendere, nè determinare alcun valore. E che? si dirà, ogni cosa ha un valore; vi ha il commercio, vi ha il denaro che rappresenta tutte le cose, e lo scambio sarà impossibile? Non nego l'esistenza del valore, concedo che vi ha nell'oro un valore universale, stabilito anticipatamente dalla natura nell'istinto misterioso che spinge l'uomo a cercare le materie preziose: anzi supporrò che ogni sentimento possa comprarsi e vendersi, che nulla possa resistere alla forza dell'oro e che nessuno resisterebbe se la natura non avesse nascosto le ricchezze necessarie per vincere tutte le affezioni, e per contraccambiare i valori di tutti gli istinti. Vedesi che accordo l'impossibile; eppure la impossibilità logica, di scegliere tra i beni, sussiste a malgrado dello scambio, a malgrado del denaro, a malgrado delle equazioni stabilite di continuo tra i diversi valori: non si negano le preferenze, non si nega il fatto dello scambio; si nega la spiegazione logica del fatto, il sillogismo della deliberazione, la stima matematica dei valori, la possibilità di stabilire il più o il meno quando i beni sono diversi. La contraddizione che separa un bene dall'altro si rinnova nel concetto stesso del cambio dei valori. Perchè scambiate una cosa coll'altra? Perchè differiscono; se non differissero, lo scambio si ridurrebbe a un atto vano, si opererebbe senza operare; sempre lo scambio suppone la differenza, suppone ad un tempo l'eguaglianza e l'ineguaglianza, suppone due cose che si escludono. Invano la filosofia si sforza di determinare l'arte della vita, e di dare un criterio che serva alla stima di tutti i valori. Essa ha proposto il piacere, il vivere beato dell'animale; ma variano i piaceri, sono diversi, nè abbiamo motivo alcuno di preferire il ballo al canto, la commedia alla tragedia, un piacere ad altro piacere. Inoltre, perchè preferire la felicità animale a quella che si trova nei nostri sentimenti? - Preferite i sentimenti? anch'essi variano, ognuno di essi si sviluppa in due sensi opposti; i dilemmi si aumentano. - Volete voi che il principio della felicità stia nella ragione? L'arte di vivere si dilegua di nuovo; la ragione ci offre la felicità nella scienza; ma anch'essa varia, chè le scienze ci largiscono soddisfazioni speciali, distinte, opposte le une alle altre: dobbiamo noi preferire la storia o la filosofia? la matematica o la fisica? Non sappiamo. La ragione vuol renderci felici colla verità; ma la verità rende forse felici? Non vi sono forse verità tristi, funeste? la realtà non ci può trafiggere con mille dolori? Al contrario, l'illusione può colmarci di gioia; la speranza sparge di fiori il cammino della vita, che sarebbe un deserto se non ci fosse permesso l'ingannarci. La stessa follìa ha i suoi momenti lieti, mentre la saggezza è amareggiata dagli eventi, dal male, dalle ingiustizie. Dobbiamo preferire la tristezza del savio alla felicità del pazzo? Non si scioglie il dilemma. - Finalmente, può l'intelligenza proporsi di vegliare sulla nostra conservazione, di toglierci ai piaceri micidiali, alle gioie struggitrici per prolungare la nostra esistenza. Ma la longevità è forse un bene? Dobbiamo forse preferire una vita lunga, squallida e mesta alla felice agitazione di una vita breve, forte e splendida? Temuta è la morte, lottasi per vivere con tutte le forze della natura; pure ad ogni occasione sprezziamo la salute, aneliamo al pericolo, e spesso siamo pronti a dare parte della vita pel trionfo di un principio od anche di un capriccio. Come scegliere? La logica si tace. Adunque godere è soffrire; non si può nè scegliere il male, nè scegliere il bene, nè scegliere tra i beni, nè preferire la morte alla vita, o la vita alla morte. Se tracciamo ad ogni patto l'arte di vivere, volendo imporci i suoi precetti, ci imporrà piaceri che non saranno piaceri, contenti che saranno dolori, delle felicità che saranno sventure. I deisti cercarono in cielo la felicità che ci sfugge in terra: vollero toglierci alla terra per renderci felici altrove; non li seguiremo nella loro corsa trasmondana. La critica deve applicarsi alla evidenza, sprezzar l'errore. Del resto, se il cielo pur si vedesse, ancora non potremmo penetrarvi; i beni del cielo cadrebbero sotto la stessa contraddizione dei beni della terra; perchè non si concepisce felicità senza infelicità, nè ci è dato imaginare un bene infinito; e se Milton e Dante sanno parlarci dell'inferno, non possono dipingerci i gaudj celesti senza cadere nella monotonia di un tedioso idillio.
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