Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
Giuseppe Ferrari Filosofia della rivoluzione IntraText CT - Lettura del testo |
|
|
Capitolo II
I CRITERI DELLA VERITÀ
L'idea di cercare il criterio del vero si riduce ad un tentativo per sopprimere la contraddizione tra la logica e la materia della logica. Ben considerato, il criterio del vero mpn può essere che la regola infallibile contro l'errore e contro i dilemmi; non può raggiungere lo scopo, se non facendo concordare il processo della logica con quello delle cose. Il criterio della verità suppone uno il principio dell'alterazione e quello della deduzione, uno il principio del rapporto e quello dell'identità, una la logica e la sua materia. Pure ogni criterio non si può trovare se non nella natura o nella logica stessa: nel primo caso il criterio respinge la logica, nel secondo caso respinge la natura. I criteri proposti dai filosofi, lungi dal dominare il dilemma della logica e della natura, lo confermano, aggiungendovi nuove forze. La sensazione è l'uno dei criteri che furono presi nel seno della natura, e fu proclamata perchè trovasi indivisibile dalla vita e dal pensiero; egli è in forza del senso che le qualità si rivelano e che le cose esistono. Vogliamo noi verificare i nostri pensieri? dobbiamo tornare ai fatti, e non vi si ritorna se non col mezzo del senso sensi. Vogliamo dirigere le nostre azioni? dobbiamo interrogare le cose, e non s'interrogano che per la sensazione. Bisogna diffidare delle nostre idee, dei nostri giudizi, dei nostri pregiudizi; chè tutte le chimere sorgono nel pensiero dell'uomo lungi dalla sensazione; dinanzi ai fatti l'errore svanisce. Questa è la voce della natura; il senso si presenta a prima giunta come verificatore, e pare che voglia identificare l'essere col pensare. Ebbene si segua. Qual'è l'ultima conseguenza del principio della sensazione? Il senso varia secondo il soggetto, secondo l'oggetto, secondo il punto di vista, secondo il mezzo in cui si vive. Dunque se il senso è giudice delle cose, se è il solo ed unico giudice, ciò che appare sarà vero; anche il falso sarà vero. Tutti gli oggetti ingrandiranno e impiccoliranno nello stesso tempo, perchè ingrandiscono avvicinandosi a noi, e impiccoliscono allontanandosi; tutti si muoveranno in senso inverso, perchè la nave fugge la riva, e la riva fugge la nave. L'illusione avrà il diritto di soggiogarci, di imporci tutte le sue contraddizioni; nè si dovrà tener conto della contraddizione, perchè la logica stessa sarà obbligata di cedere all'apparenza sensibile. Così la sensazione, criterio preso nel seno della natura, ci conduce a disprezzare la logica, siccome cosa frivola ed inutile. Volendoci far conquistare la materialità del fatto, ci fa perdere il principio che lo giudica; ci immerge nella natura, e ci lascia senza luce. Lo stesso deve dirsi di tutti i criteri empirici. Scegliamo l'ispirazione: se essa fosse il criterio della verità, ogni idea dal sentimento suggerita sarebbe vera, ogni entusiasmo sarà sacro; ogni settario sarà infallibile. Quindi la fede del Buddista inviolabile come quella del Cristiano: il fanatismo sacrificatore di una casta sacerdotale, rispettabile come la tenera affezione della madre per il figlio. Quindi tutti i dogmi saranno veri, tutti i sentimenti saranno giusti; quindi non si terrà conto delle innumerevoli contraddizioni che li separano, che li oppongono gli uni agli altri; quindi si dovrà disprezzare la logica: e da ultimo, il principio preso nella materia della logica darà per conseguenza inevitabile la guerra contro la logica. Alla sua volta il criterio dell'autorità, preso anch'esso nella materia della logica, si rivolta contro la logica. Che l'autorità sia fissata da un libro, da un pontefice, dalla maggioranza o dalla unanimità del genere umano, l'autorità è sempre un fatto, una cosa empirica presa nel seno della natura. Dal momento che l'autorità è costituita giudice del vero, la ragione perde ogni diritto, la dimostrazione ogni forza; non è più lecito parlare a nome della logica. Havvi di più: il regno dell'autorità, preso al di fuori della logica, si lascia intervertire in tutti i sensi. Volete che il luogo scelga per voi l'autorità? Costantinopoli dà criterio dell'islamismo, Roma del cristianesimo: a Roma si onora ciò che a Parigi si vilipende. Volete che l'autorità sia scelta dall'interesse dell'incivilimento? Porrete l'autorità del genio in contraddizione colla autorità della maggioranza: da una parte il novatore è necessario, è autorevole, è legislatore; l'individuo pensante è il principio primo d'ogni legge; dall'altra parte, l'autorità legittimata dalla maggioranza è indispensabile per combattere i traviati, i visionari, gli egoisti, gli sfrenati, gli scellerati. Non si può neppure scegliere tra l'autorità della religione e quella dello Stato, tra l'autorità del perito e quella della legge. In generale ne' criteri empirici il punto stesso di partenza rimane arbitrario, e non abbiamo motivo di preferire la sensazione all'ispirazione, o l'ispirazione all'autorità: ogni fatto è fatto, e non havvi mala causa che non possa essere patrocinata. La pretesa de' criteri presa nel seno della logica è precisamente quella di sopprimere le contraddizioni di tutti i principj della natura, di tutti i criteri empirici. I criteri logici si riducono alle forme stessa della logica, ed anzi alla prima forma dell'identità. Ogni cosa dev'essere identica con sè stessa: una cosa non può essere e non essere nel tempo stesso; due attributi opposti non possono appartenere nel medesimo momento allo stesso oggetto; questi sono gli assiomi che vengono presentati quali criteri del vero; e noi sappiamo già che sono gli assiomi distruttori della natura; lungi dal guidarci quando cerchiamo il vero, lo rendono impossibile quando è scoperto. Astrazione fatta dalla loro applicazione critica, presi nella loro espressione più semplice, più inoffensiva, più volgare, gli assiomi dell'identità si circoscrivono a metterci nell'alternativa di affermare o di negare, si ristringono a stabilire il dilemma dell'essere o del non-essere; e non offrono alcuna nozione per isciogliere lo stesso dilemma. Giusta il principio di contraddizione gli antipodi esistono o non esistono; l'una delle due asserzioni è assolutamente vera, perciò si chiede se vi sono antipodi: il principio di contraddizione stabilisce il dilemma: ci insegna esso se vi sono gli antipodi? Non risponde. Ogni evento accadrà o non accadrà: dimani Parigi sarà o non sarà assediato: il principio di contraddizione ci dice che l'una delle due asserzioni è necessaria; che importa? questa necessità è straniera all'evento. Parigi sarà egli assediato veramente? Il principio di contraddizione lo ignora, e limitasi a stabilire la contraddizione dell'essere e del non-essere. Il pianeta di Giove è abitato? Lo è o non lo è. Il principio della differenza ci costringe a scegliere il sì o il no, e resta indifferente alla scelta, estraneo al motivo che la decide. A chi spetta dunque la soluzione? Ai dati, agli indizi, alle probabilità; in altri termini, alla natura, che ci mostra se vi sono gli antipodi, se Parigi è assediato, se Giove è abitato. La realtà, la verità sfuggono dunque interamente agli assiomi logici, e si rifugiano nella natura, nella materia della logica. Qual'è l'ultima conseguenza? Gli assiomi sono la logica; impadronendosi di una cosa reclamano ch'essa sia eternamente ciò che è: esigono che Parigi sia sempre assediato o sempre libero; che Giove sia sempre abitato o sempre deserto; giusta gli assiomi ogni cosa è un dilemma; non si passa da un termine all'altro del dilemma; la mutazione, il rapporto sono impossibili e quindi si arriva all'ultimo risultato che la mutazione, il rapporto sono falsi. Che ci resta di vero sulla terra, se ciò che varia è falso? Descartes proponeva il criterio della chiara e distinta percezione; criterio equivoco ed ondeggiante tra la logica e la materia della logica. La chiara e distinta percezione di Descartes abbraccia tutte le verità che non possono essere messe in dubbio. Descartes non fissa mai il numero di queste verità, non le determina con precisione, non le descrive; pure abbiamo il diritto di ridurle a due classi distinte: la prima classe contiene gli assiomi della logica, cioè l'identità, l'equazione e la deduzione: la seconda classe contiene tutte le nozioni evidenti e necessarie della materia della logica, quali sono lo spazio, il tempo, il principio che nulla viene da nulla, che la qualità suppone la sostanza. In ultima analisi, la chiara e distinta percezione appartiene egualmente alla logica e alla materia della logica: quando s'identifica colla logica, ogni fenomeno è falso, ogni nozione impossibile; quando s'identifica colla materia della logica, tutto è vero, anche il falso. Così la chiara e distinta percezione di Descartes scorre insidiosamente dal significato logico al significato materiale. Nella prefazione del suo sistema, Descartes immedesima la chiara e distinta percezione colla chiarezza logica, quindi divien critico e dubita di tutto. Disprezza la storia, la politica come cose per sè incerte e variabili; considera la morale come un accidente su cui bisogna prendere a caso la decisione che dirigerà la nostra vita. Descartes sdegna le verità tutte della tradizione che il minimo sforzo della nostra mente può mettere in dubbio; disdegna quindi ogni autorità, ogni governo, ogni legge, perchè la via al dubbio rimane sempre aperta là dove manca la certezza matematica. Sotto l'impero della logica, il filosofo francese non sa distinguere il sogno dalla veglia, dubita della esistenza del mondo, pensa che l'universo possa essere un errore del nostro spirito; e che un genio qualunque, ingannandoci col mezzo de' nostri organi, potrebbe creare l'apparenza di un mondo che non esiste. Sotto l'impero della logica tutto è falso, tutto incerto, non vi ha limite alla critica. Ma la chiara e distinta percezione s'identifica, d'altra parte, colla chiarezza della materia della logica; e allora la scena si muta, il moto s'interverte, tutto è certo. Descartes passa arbitrariamente dall'evidenza del suo pensiero a quella della sua esistenza, dal suo concetto di Dio all'esistenza di Dio: Descartes assevera arbitrariamente che Dio è creatore; che quanto appare esiste, che Dio non saprebbe ingannarci, nè per mezzo della natura, nè per mezzo de' nostri sensi; sostituisce così la percezione materiale, travisata da' suoi dogmi, alla percezione logica; sostituisce la materia della logica alla logica, e di corollario in corollario, giunge a soppiantare l'assioma logico che tutto è falso, coll'assioma materiale che tutto è vero. Dal momento in cui Descartes diventa dogmatico, non è più angustiato dall'assenza del vero ma lo è dalla presenza del falso, di cui non sa più render ragione, non potendosi dare che l'uomo guidato da Dio possa ingannarsi. Descartes non ha mai chiarito la distanza che lo separava dall'errore; e se lo avesse osato, avrebbe distrutto il suo sistema, si sarebbe accorto che la logica annullava quanto sorge dalla materia della logica. Difatto, la chiarezza materiale comincia dal giustificare ogni cosa e dal renderci infallibili: «Dio è un essere perfetto, dice Descartes; non può volermi ingannato; l'impulsione che mi fa credere che i miei concetti corrispondono ai corpi, viene da Dio». Dio è perfetto, dunque il mondo è verissimo: quale ne è dunque la verità? oscura, secondo Descartes, in guisa che le cose non sono forse intieramente quali si manifestano ai nostri sensi: ed ecco una verità che non è verissima, che non è forse una verità. Che c'insegna l'impulsione naturale, e si può dire divina? Che vi sono dei corpi, risponde Descartes, e che io ho un corpo: in breve l'impulsione naturale ci svela le qualità primarie e geometriche della materia, l'estensione, la resistenza, la figura, la mobilità. Qui la sincerità di Dio trovasi soppressa per metà, perchè nelle qualità secondarie, cioè ne' colori, ne' suoni, ne' sapori, in tutti i fenomeni della visione, del tatto, de' sensi, della passione, il Dio cartesiano non ci guida, e ci lascia assolutamente liberi d'ingannarci. Descartes si sforza di giustificare Dio di questa negligenza. Che importa, dice egli, di saper il vero sulle qualità secondarie? Il senso deve limitarsi a dirigerci nella scelta del bene e del male; se crediamo che il dolce, l'amaro, il bianco, il nero sono nelle cose stesse l'errore è nostro, e non nuoce. Misera astuzia! vera sconfitta! Noi domandiamo che si spieghi l'errore, diventato impossibile, grazie alla sincerità di Dio, e ci si risponde: «I nostri errori non cadono se non sulle qualità secondarie, sono di poco momento». Non si tratta dell'estensione del nostro errore, si tratta del fatto dell'errore. Il senso ci inganna nella scelta degli alimenti, nelle malattie, nelle allucinazioni, nel pregiudizio universale, che attribuisce le nostre sensazioni alle cose; il dolce alle cose dolci, il bianco alle cose bianche; questi sono errori innumerevoli, quotidiani; sono errori spesso funesti e micidiali; come sono essi possibili? Descartes, continuando, ci assicura che certi inganni erano necessari alla economia della nostra macchina, che le illusioni di ottica erano inseparabili dalle leggi della visione. Resta però sempre che Dio ha permesso l'errore, che nella sua legislazione il falso si confonde col vero, che ci inganna per impotenza, che noi non sappiamo dove finisca l'inganno, e che infine l'errore imposto da un essere infinito può svilupparsi all'infinito. Sotto il predominio della logica tutto è falso. Aggiungasi, che le verità sottratte da Descartes al dubbio universale, a quel genius aliquis che poteva ingannarci facendoci apparire l'illusione di un mondo che non esiste, si trovano in balia d'un'incognita che può di nuovo annullarle. Da che dipende il vero cartesiano? Da un Dio assolutamente libero, e quindi superiore ad ogni legge, superiore alla verità stessa, e non obbligato di essere fermo ne' suoi propositi, nè sincero nelle sue manifestazioni. – «Le verità metafisiche», dice Descartes, «che voi chiamate eterne, sono state stabilite da Dio, e ne dipendono interamente, come ne dipendono tutte le creature. E difatto, si parla di Dio come di un Giove o di un Saturno, si sottopone allo Stige e al destino, quando si afferma che le verità metafisiche sono da lui indipendenti. Non temete, ve ne prego, di assicurare, di pubblicare dovunque che Dio stesso ha proclamate queste leggi nella natura, nel modo stesso con cui un re stabilisce le sue leggi nel suo regno.» Dunque la più chiara verità, la più distinta percezione dipendono da un atto di un Dio che può revocarle; le verità che sembrano eterne, non sono eterne; gli errori che sembrano impossibili, non sono impossibili. Descartes lo confessa: «Quanto alla difficoltà di concepire come fosse libero e indifferente a Dio di fare che non fosse vero che i tre angoli di un triangolo non fossero eguali a due retti, o generalmente che le contraddittorie non potessero stare insieme, la si può togliere facilmente, considerando che il potere di Dio non può avere alcun limite, e che d'altronde il nostro intelletto è finito e creato in guisa, che può concepire come possibili le cose che Dio volle essere veramente possibili; ma non è creato in tal maniera ch'egli possa altresì concepire come possibili le cose che Dio avrebbe potuto rendere possibili, ma che nondimeno egli ha voluto rendere impossibili». Almeno siamo noi rassicurati sulla permanenza delle verità eterne, sulla bontà, sulla sincerità di Dio? No; Dio è assolutamente libero, è superiore al bene e al male, «non essendovi alcuna idea che rappresenti il bene o il vero, ciò che bisogna credere, o fare, od ommettere, la quale idea possa fingersi essere stata l'oggetto dell'intelletto divino prima che la sua natura fosse costituita, come lo è da un atto della volontà divina... Per esempio, non è per aver visto ch'era meglio che il mondo fosse creato nel tempo piuttostochè dall'eternità, ch'egli ha voluto crearlo nel tempo; e non ha voluto che i tre angoli di un triangolo fossero eguali a due retti per aver egli conosciuto che non poteva darsi altro, ecc. Ma al contrario, perchè Dio ha voluto creare il mondo nel tempo, per questo il mondo è migliore che se creato dall'eternità; ed in quanto Dio ha voluto che i tre angoli di un triangolo fossero eguali a due retti, per questo, è ora vero, e non può essere altrimenti; così di tutte le altre cose.» Dunque il bene è creato da Dio, il bene non è bene se non perchè egli lo vuole. Se egli avesse voluto il male, il male sarebbe stato il bene, ed il bene il male. Vorrà egli sempre il bene? non lo sappiamo; non possiamo impor limite alla sua volontà; egli può ingannarci colle leggi morali, col mondo fisico, colle idee che ci dà della sua stessa natura; e la libertà di Dio ci toglie quella verità che nel sistema cartesiano ci sembra concessa dall'esistenza di Dio. Non ci resta nemmeno quel primo vero, quell'aliquid inconcussum, quel felice cogito, ergo sum, che inebriava i cartesiani. Il cogito è nelle nostre facoltà, ed è Dio che legittima le nostre facoltà: Dio può voler ingannarci, questa volontà può svilupparsi all'infinito. In che dunque differisce egli dal genio del male? Perchè non potrebbe esser egli quel genius aliquis che potrebbe illuderci col fantasma di un mondo che non esiste? Per Descartes ogni cosa dipende da Dio: Dio è l'unico principio; senza di lui la matematica è incerta, perchè il matematico può dubitare della legittimità della sua ragione. Tolto Dio, il mondo può non essere che un sogno, perchè nessuno ci rassicura della verità dei nostri sensi; tolto Dio, nessun assioma potrebbe esser vero; lo stesso principio io penso, dunque esisto, potrebbe essere falso. Sotto il rapporto della creazione, sotto quello della conservazione, tutto dipende da Dio, che è l'unico criterio del vero; e questo Dio che riassume la materia della logica, può ingannarci, c'inganna, e ci ingannerà forse all'infinito. Eccoci dunque respinti nel dubbio, fra le braccia del genius aliquis, del genio dell'errore; eccoci di nuovo all'assioma tutto è falso, tutto impossibile. Tormentato dal mistero dell'errore, Descartes ha imaginato una seconda teoria psicologica, nella quale attribuiva l'errore alla nostra volontà. Ma la volontà non pensa, non giudica, l'errore è nel pensiero e nel giudizio: la volontà genera la menzogna; l'illusione è sempre involontaria. Lo stesso Descartes non credeva ottima la sua teoria psicologica dell'errore; e altrove cercava nella memoria ciò che Malebranche avrebbe chiamato la prima occasione dell'errore. Qui ancora un altro scoglio lo attendeva: se abbiamo in noi il criterio della chiara e distinta percezione, come mai gli avversari del signor Descartes possono resistere alle sue dimostrazioni? Per rispondere Descartes fu costretto di creare una parola, che ebbe poi gran fortuna, la parola di pregiudizio, colla quale pretendeva di vilipendere a priori ogni obbiezione come frutto di nozioni ciecamente preconcette o ciecamente difese dalla sola forza dell'abitudine. Secondo Descartes le cause dei pregiudizi erano: 1° l'infanzia, 2° l'abitudine, 3° la stanchezza, 4° le parole. Ma come l'infanzia, l'abitudine, la stanchezza, le parole potrebbero turbare la memoria? come ogni errore potrebbe essere un errore di memoria? Non si evita il dilemma tra la logica e la materia della logica, perchè non v'ha criterio che possa togliersi all'alternativa di appartenere alla logica e alla materia della logica. Se vi fosse un principio superiore ai due termini, anch'esso mancherebbe, non potrebbe signoreggiare il dilemma. Principio unico, eternamente identico con sè stesso dovrebbe discendere colla equazione e colla deduzione di cosa in cosa per generare tutta la varietà e tutta la realtà degli esseri. Dovrebbe partire dall'uno e giungere al multiplo, partire dall'identico e diventare l'alterazione, partire dal genere e arrivare all'individuo; infine dorebbe essere inalterabile e alterabile, immortale e perituro, generale e particolare, soggetto ed oggetto, cosa e pensiero; lungi dal dominare il dilemma, ne sarebbe dominato e riassumerebbe in sè le contraddizioni dell'universo. L'abisso che scorre tra la logica e la materia della logica è troppo profondo perchè possa essere colmo da alcun principio.
|
Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2007. Content in this page is licensed under a Creative Commons License |