LIII.
Allo stesso
Signor nel cui divino alto valore
tanto si gloria l'una Gallia altera,
e l'altra tutta mesta e afflitta
spera
por fin a l'aspro suo grave dolore,
poscia che voi tornando, il suo
splendore
torna e fa bella Roma:
ecco la sparsa chioma,
ella v'accoglie lieta, e manda fore,
voci gioconde a asciuga gli occhi
molli,
e Tornon grida 'l Tebro e i sette
colli.
La pace, la letizia, a la sublime
schiera de le virtù sacre, ch'a noi
spariro al partir vostro, ora con voi
riedono, e fan contesa al tornar
prime
le Muse a celebrarvi in versi e in
rime;
destano i chiari spirti,
ond'or s'ergano i mirti,
e i lauri spargon l'onorate cime,
e prima de l'usato il mondo infiora,
e l'aria empie d'odor Favonio e Flora.
Fra tanto almo gioir, fra tanta
festa,
ch'oggi al vostro tornar si mostra e
sente,
anch'io la speme, e la letizia spente
poter nudrir ne l'alma dubbia e
mesta,
se mirate, Signor, quel che m'infesta
noioso e aspro duolo
che voi potete solo
ridurmi in porto da crudel tempesta,
e volgendo ver me pietoso il ciglio
trar mia vita di doglia e di
periglio.
Canzon, se innanzi a lui per grazia
arrivi,
che dee chiuder di Giano il tempio
aperto,
benchè nulla è 'l mio merto,
pregal, che sola non mi lasci in
guerra
poi che per lui si spera pace in
terra.
Sesto libro delle Rime raccolte dal RUSCELLI, Venezia 1553, c. 183.
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