LE
AMOROSE
EGLOGHE
DEL MUZIO GIUSTINOPOLITANO
ALLA
SIGNORA TULLIA D'ARAGONA
I.
MOPSO
Mopso, solo.
Canti chi
vuol le sanguinose imprese
del fiero
Marte, e d'onorati allori
cinto le
tempie a suon di chiara tromba
desti i
bianchi destrier, ch'in Campidoglio
han da
condur i purpurei trionfi;
a me, cui 'l
ciel non diè sì altero spirto,
basta parlar
tra le fontane e i boschi
de gli onori
di Pan; e che la fronte
m'ornin le
Ninfe d'edere e di mirti,
mentre ch'al
suon de le incerate canne
fo risonar
quella virtù che move
dal vivo
ardor de i lor splendenti lumi.
E or darà al
mio dir ampio suggetto
l'amor del
pastor Mopso; di quel Mopso
lo qual
sacrato ha infin da i teneri anni
i sensi e
l'alma al tempio di Parnaso.
Il buon
pastor, cercando le pendici
de i santi
gioghi, ha con novella cura
novo oggetto
trovato ai suoi pensieri;
nova materia
ha data a le sue rime:
che
l'interno splendore e 'l chiaro viso
de la bella
Tirrenia il petto ingombro
gli ha sì
del suo piacer, che la sua lingua
d'altro non
sa parlar, nè può, nè vuole
che di lei,
ch'or gli siede in mezzo l'alma.
Ei non
potendo un di 'l soverchio ardore
chiuder
dentro al suo cor, in tali accenti
la strada
aperse a la vivace fiamma.
Mopso. Bella Tirrenia mia, che di bellezza
avanzi i più
bei fior di primavera,
morbida più
che tenera vitella,
ch'ancor non
ha gustato erba nè fonte;
e delicata
più ch'i bianchi velli
di non
tonduto pargoletto agnello;
e più schiva
d'amor e più fugace
ch'innanzi a
cacciator timida cerva:
odi, bella
Tirrenia: a queste ombrette
meco t'assidi,
e i miei sospiri ascolta.
Era ne la
stagion ch'i verdi prati
d'ogni
intorno fiorian; fiorian le rose,
e cantavan
gli augei tra i novi fiori,
quando prima
ti vidi; e come prima
ti vidi,
così ratto al cor mi corse,
mosso da la
virtù de' tuoi bei lumi,
con gelato
timor caldo disio.
Da quel dí
innanzi entro 'l mio petto chiuso
ho continuo
portato il foco e 'l ghiaccio.
E già due
volte le campagne aperte
visto han
d'intorno biondeggiar le spighe:
e due volte
han veduto i salci e gli olmi
le non lor
uve su per li lor rami
quai d'oro
divenir, e quai vermiglie:
e tu nel
duro cor, ghiaccio nè foco
crudel non
senti, e non senti pietade.
Sappi, ninfa
gentil, che dal suo giro
Venere bella
per ciascuna parte
rimira
aperte l'opre de' mortali;
e qual pastor, qual satiro e qual ninfa,
contra chi
l'ama è disdegnosa e schiva,
la santa Dea
ne sente altero sdegno,
e dimostrar
ne suole agre vendette,
arder
facendo i lor gelati cori
d'amor di
tal, che gli disprezza e fugge.
Che doglia,
che tormento, alma mia cara,
credi che
sia l'amar chi te non prezza?
O tolga Dio,
ch'in così amaro stato
i' ti vegga
giammai; Tirrenia intendi:
non voler
contra te l'ira de' Dei
mover sì
leggiermente: ama chi t'ama.
Ama il tuo
Mopso, il quale lode immortali
va cantando
di te mattina e sera;
e va
segnando intorno i sassi e i tronchi
del nome tuo
per farti eterna e chiara.
Ama 'l tuo
Mopso, il qual e giorno e notte,
o vegghi, o
dorma, di te pensa e sogna:
te rimira, te cerca e te disia.
Braman le
pecchie gli odorati fiori:
le molli
gregge i rugiadosi paschi;
brama 'l
cervo assetato i chiari fonti;
e te,
Tirrenia, l'infiammato Mopso.
Mostra,
ninfa gentil, il bel sereno
de la lucida
tua tranquilla fronte;
de la cui
vista l'aere e 'l ciel d'intorno
d'ogni parte
s'allegra e si rischiara.
Rivolgi a me
i begli occhi: o occhi belli,
occhi
leggiadri, occhi amorosi e cari;
più che le
stelle belli e più che 'l sole:
e a me cari
più che armenti e gregge:
più che la
vita cari e più che l'alma.
Occhi miei
belli e cari, il chiaro lume
volgete a me
benigni: e non vi annoi,
ch'arda del
vostro ardor: e non v'incresca
mirar talor
com'io mi struggo e ardo.
Oh ti fosse,
Tirrenia, un giorno a grado
di fermar
così presso e così fisso
que' tuoi
begli occhi dentr'a gli occhi miei,
ch'ogniun di
noi facendo a l'altro specchio,
con gli
occhi suoi vedesse ne gli altri occhi
il suo
stesso ritratto e l'alma altrui.
Volgi a me
gli occhi: volgi gli occhi e volgi
il chiaro
viso e le polite guance,
le molli
guance ad ogni aura tremanti,
che fan
tremar in me l'anima e i sensi
di diletto,
di voglia e di dolcezza.
Ma qual'è
quel diletto e quella voglia?
Qual la
dolcezza che sentir mi face
il veder e
l'udir le dolci labbra?
Quelle
labbra amorose, dolci e care,
or
dolcemente chiuse, or dolce aperte,
spirar per
gli occhi e per l'orecchie mie
a l'alma mia
dolcissimo veleno?
O misti
insieme fior vermigli e bianchi:
o sparso tra
be' fior soave odore:
o bramose
mie labbra: o spirto ardente:
o anima mia
accesa: e qual desire
tutto
m'infiamma? E qual'è quel conforto
che mi promette
il bel, che s'ode e vede?
Apri,
Tirrenia, le rosate porte:
mostra,
Tirrenia, i candidi ligustri:
spargi,
Tirrenia, in graziosi accenti
l'ambrosia e
'l mel de l'amorosa lingua.
Di',
Tirrenia, una volta: te solo amo,
al fedel
Mopso tuo, che te sola ama.
Dillo,
Tirrenia, e scopri il caro seno,
apri 'l
giardin d'amor, dimostra al sole
i dolci pomi
e gli odorati gigli.
Leva,
Tirrenia, l'inimico velo
ch'a te'l
tuo bel, a me 'l mio ben nasconde.
Invido avaro
velo: avara mano,
crudo velo;
man cruda e crudo core,
che tanto
bene a gli occhi miei contendi.
Ninfa
crudele, e perché con tant'arte
sì
fieramente a' miei desir contrasti?
Ninfa
crudele infin a gli occhi miei,
a gli occhi
miei, crudele, hai posto 'l freno.
Deh, leva 'l
velo omai, levane i nodi;
leva la
crudeltà del natio petto:
lascia andar
gli occhi vaghi al lor diporto
tra i
diletti di Flora e di Pomona,
là ve vaga
beltà, bella vaghezza
movon
d'intorno le purpuree penne,
e fan festa
ad Amor, che la sua fede
ha locata
tra 'l bel de i cari pomi.
Man bella,
cara man disciogli il laccio,
allarga il
velo, o mano: a la man mia
sii cortese
man cara: a la mia sete
porgi alcun
refrigerio poi ch'invano
prego 'l
petto crudel, e 'nvano aspiro
a la beltà
de le purpuree gote,
invano al
bel de le rosate labbra.
Ninfa bella
e crudele, in cui combatte
bellezza e
crudeltà, come non hai
qualche
pietà di me? Le selve e gli antri
piangono al
pianto mio; meco si lagna
eco non men
del mio che del suo duolo:
e sovente
gli augei su per li rami
muti si
fanno a le mie doglie intenti:
e le gregge
rivolte a i miei sospiri,
i paschi e i
fonti mandano in oblio.
E tu sola
se' nuda di pietade.
Vien, Ninfa
bella, e fra le molli braccia
raccogli
quel, che con le braccia aperte
disioso
t'aspetta; e nel tuo grembo
ricevi lieta
l'infocato amante;
stringi 'l
bramoso amante, e strette aggiungi
le labbra a
le sue labbra, e 'l vivo spirto
suggi de
l'alma amata, e del tuo spirto
il vivo
fiore ispira a le sue brame.
Giungansi
insieme gli amorosi petti:
premer si
sentan le vezzose poppe,
le belle
poppe delicate e sode,
dal petto ad
amor sacro e sacro a Febo,
non si
ritengan più celate o chiuse;
le belle
membra tue morbide e bianche
più che 'l
cacio novello e più che 'l latte,
ad amor le
consacra: e al tuo amante
qual vite ad
olmo avviticchiata e stretta,
con lui
cogli d'amore i dolci frutti.
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