III
IL FURORE
Mopso, solo.
Dive, ch'al suon
de la dorata cetra
dei sacro
Apollo, al glorioso fonte
fate
dintorno mille dolci giri,
premendo il
verde del fiorito suolo
liete
alternando le vezzose piante
non senza
l'armonia d'eterni versi:
quella, ch'è
Donna de le Donne, e Donna
è del mio
cor, o sante Donne, o Dive,
vuoi pur
ch'io canti: e vuol che 'l canto s'erga
sopra ogni
bosco. Adunque perchè 'l canto
sia canto
degno di Donna sì cara
movete
insieme e con voi mova Apollo:
mova tutto
Elicona e si raccolga
tutto lo
spirto vostro entro al mio petto.
Oh de la
mente mia lucido specchio,
alma gentil
fra le belle alme bella,
in cui fiso
mirando d'ora in ora,
si fan
dentr'al mio cor novi concetti,
da partorir
scrivendo in nove carte;
lietamente
ricevi il novo frutto,
che prodotto
ha 'l germoglìo del tuo seme;
e mentre io
fo sonar la mia zampogna
al furor del
tuo Mopso porgi orecchie,
e nel furor
di Mopso al furor mio.
Salita era
la notte al sommo cielo
e rilucea
nel mezzo del suo cerchio
la sorella
di Febo, il bianco volto
tutta splendente
del fraterno lume.
Taceva il
mondo, in sè pe' lor vestigi
tacite si
volgean l'eterne spere;
taceano i
venti e 'l mar; tacea la terra
e con lei
piani e colli, e monti, e valli.
Sol nel
silenzio d'ogni alma vivente
non tacea
Mopso: e non taceva amore
dentro al
suo petto. Ei per deserte piagge
da furor
trasportato, solo e vago,
errava,
intorno pur con gli occhi fissi
ne la
cornuta diva. E 'n quello stato
disse de
l'amor suo cose sì nove,
che ne
suonano ancor le selve e gli antri.
Mopso. Dove,
dicea, mi scorge or la tua luce,
candida
luna, per solinghe strade?
Tirar mi
sento ove per gli erti gioghi
rara di
piede umano orma si scorge.
Qual novo aspetto e qual novo desire
verdeggia
nel mio cor? La folta selva
de
l'odorate, verdi, ombrose piante,
tutto m'empie
d'orror e di diletto.
E quel dolce
ruscel, che mormorando
fugge tra
l'erbe e i flori, a sè mi chiama.
Ma donde
viene il canto? E donde il suono
che sì dolce
lusinga l'aere intorno?
E cosi è
dolce, che simil dolcezza
non porge a
me 'l belar de le mie gregge,
nè sì soave
è 'l suon de le mie canne.
Or ecco là
che giovinette donne
cinte le
terapie di fronduti rami
fan la nova
armonia; ina che vegg'io?
Non è tra
lor, non è colei ìa mia?
Ahi! m'è
tolta la voce. Or chi l'ha scorta
di mezza
notte senza fida scorta
da le rive
del Po fra questi boschi?
E che fa qui
l'altero giovinetto
c'ha la lira
dorata e d'or le chiome
e d'ogni
vello ancor le guancie ha nude:
misero:
adunque? Adunque in cotal guisa?
Or dove
sono? E che fo? Vegghio o dormo?
Non so ove
sia: non so se vegghi o dorma.
E s'io
vegghio, è ella dessa o altra? Ahi, lasso,
non conosco
io la ninfa mia? La voce
piena di
melodia, gli ardenti lumi,
il vago
aspetto, il grazioso viso:
gli atti
soavi, i movimenti alteri:
l'andar, lo star:
la mano, i piedi, i panni,
far la
dovrian pur conta a gli occhi miei.
E s'altro a
me non la facesse conta,
si la farìa
quell'amoroso orrore
ch'a
l'apparir di lei m'ha l'alma ingombra,
e quel
desio, che qui condotto m'have,
u' condur
non poteami altro desìo.
Ma ch'è quel
ch'odo, che da l'altre l'odo
chiamar
sorella e nominar Talia?
Questo bosco
di lauri e quella fonte:
le donne
coronate: il bel concento:
l'aspetto
più ch'umano? Or una, e due,
tre,
quattro, cinque, sei, sette, otto e nove,
il numero
conviensi... questo è 'l giogo
de l'alme
Muse: e queste son le Muse.
E una n'è la
mia. È la mia ninfa
dunque una
Musa, o son le Muse ninfe?
O mia, come
dir debbo, alma mia Diva,
con quanto
amor, con quanto studio ed arte,
fra mortali
discesa dentro a l'alma
m'accendesti
l'ardor; presso al cui raggio
movendo i
passi, a questo santo giogo
mi trovo
aggiunto. O mano, amata mano,
tu mi tien,
tu mi guida: o caro dono,
bramato don,
così ne foss'io degno.
Tu con la
tua sorella le mie terapie
fai
verdeggiar de l'onorata fronde
perch'ogni
mio pensier tutto verdeggia.
O sacri,
vivi e lucidi cristalli,
onde
s'inaffian così rare piante,
qual radice
ha sentito il vostro umore
c'ha virtù
di produr pianta sì ferma
che non le
nuoce il più cocente sole:
non la molesta
grandine nè pioggia:
non la
crolla il furor di Borea o d'Austro,
e non la
tocca il folgorar di Giove?
Qual radice
ha sentito il vostro umore?
Ne la sua
pianta il verde eterno vive;
vivono
eterni i fior, vivono i frutti:
nè muta
vista per mutar stagione.
Beato,
eterno umor che liete e chiare
fai le
piante, le fronde, i frutti e i fiori;
i' pur
spengo di te mia lunga sete:
e 'n te
s'attuffan mie bramose labbra.
O che
veggio? O che intendo? Il cieco velo
tolt'è da
gli occhi miei: m'è fatto amico
il sacro
coro, amico il santo Apollo.
Pur or
conosco io te fedel compagna,
fedel mia
guida e mia fedel maestra;
Erato bella.
Tu fin da la culla
mi fosti a
lato; tu la tua sorella
fra le genti
mortali in forma umana
mi scorgesti
a mirar. Tu mi dimostri
com'io lei
segua, cui più sempre amando
l'alma mia
più verdeggia e più s'infiora.
Ma che novo
desir mi punge il core
di levarmi
da terra? Oh, ch'i' mi sento
mutar di
fuori e farmi un bianco augello:
le man, gli
omeri, il capo, il collo, il petto
tutti si veston
di novelle piume;
già comincio
a cantar, già batto l'ali....
non mi
lasciar Talia, levati a volo;..
Erato spiega
al ciel l'aurate penne...
date forza
al mio ardir, che senza voi
ogni mio
sforzo alfin sarebbe invano.
Già lasciato
ho 'l terreno; altero e lieve
sopra i
nuvoli m'alzo e sopra i venti:
già mi si fa
minor e terra e mare.
Alma sorella
del compagno e Dio
de la mia
Dea benigna, a te raccogli
colui, cui
la tua luce ha mostro il calle
di gir al
monte ove la via s'impara,
che l'alme
altrui conduce a più bel monte.
I' veggio
aperte le dorate porte
del gran
gìardin, ch'i muri ha di zaffiro;
qui
n'accoglie Diana; e qui n'envia
per la
verdura del suo bel verziero;
qui la
fiorita e verde primavera
move
d'intorno, e va pascendo il verde
del santo
umor de la rugiada eterna;
qui l'alma
Clori e 'l suo diletto sposo
spargendo a
l'aere ognor novelli odori
van
dipingendo il variato suolo;
qui non arde
la state e qui non sfronda
l'autunno i
rami e non gli imbianca il verno;
qui vive il
verde eterno; eterni rivi
di liquidi
smeraldi i verdi prati
van
compartendo; al mormorar de l'acque,
al soave
spirar de le dolci aure,
al tremolar
de i verdeggianti rami,
suonano in
dolci e 'n dilettosi accenti
mille
amorosi eterni rosignoli.
Qui s'odon
risonar cetre e zampogne;
immortai
cetre e immortai zampogne;
oh dolce
vista, ed oh soavi note;
oh tra 'l
veder e udir dolci pensieri;
qui,
santissime Muse: qui Talia,
qui, qui
sia, Diva, eterno il nostro albergo.
Così diceva
il forsennato Mopso:
e così
detto, muto e sbigottito
stette buon
spazio; e 'n sé fatto ritorno
e raccolto
lo spirto, alti sospiri
dal cor
traendo, intorno al molle tronco
d'un tenero
olmo tai parole scrisse:
Udite selve,
udite Dei silvestri,
odan le
ninfe, oda ogni pastore.
Ho veduto
Elicona e 'l sacro bosco;
ho veduto 'l
licor ch'i nomi avviva;
veduto ho
Febo e le dotte sorelle,
e Tirrenia
fra loro; una di loro
è la bella
Tirrenia: ella m'ha tratto
al sacro
bosco, e dal bosco a la fonte,
e da la
fonte al cielo: ella è colei
che m'arde 'l
cor; ella è colei ch'io canto;
ella è il
mio sole; ella è la mia Talia.
Ed io son
Mopso. Pianta eterna vivi:
e i nomi
nostri eternamente serva.
|