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Tullia d'Aragona
Le rime

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  • LE AMOROSE EGLOGHE DEL MUZIO GIUSTINOPOLITANO ALLA SIGNORA TULLIA D'ARAGONA
    • V.   LA LONTANANZA
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V.

 

LA LONTANANZA

 

Mopso, solo.

 

È già gran tempo o Muse il mio suggetto

l'amor di Mopso, e voi beate Dive

sete 'l suo amore. Or il dolente Mopso

dal dolce amato nido e dal suo bene

fatto lontan, va empiendo selve e campi

di dolor, di sospiri e di querele.

Contan le ninfe che fra gli altri un giorno

lungo la riva, su verso le fonti

del vago Po salendo, a tali accenti,

a sì pietosi, a sì dogliosi accenti

allargò 'l fren, facendo in ogni verso

gemer le sponde al nome di Talia;

che le triste sorelle di Fetonte

obliando 'l lor duol, al suo dolore

porsero orecchie, e vinte di pietate

largaro il corso a non usati pianti.

Or qual fosse il suo pianto o santo coro

ditelo a' boschi nostri, e non vi annoi

di por le dotte e dilicate labbra

a le mal culte mie silvestre canne,

E tu mio dolce duol, mia amara gioia,

mio solo eterno amor, mia prima Musa,

mentr'io cantando lacrimo e sospiro

con pietate raccogli il triste canto.

Incominciate o Dee: le selve e gli antri

daran risposta al lacrimabil suono.

Mopso. Lasso; quest'è ben dura dipartita;

dura, crudel, amara dipartita,

via più ch'assenzio amara e più che morte.

Ed è ragion, ch'estremamente amaro

mi sia 'l partir da lei che m'è più cara

che la zampogna mia, più che l'armento:

più che la vita cara e più che l'alma.

Ahi, ahi! protervo amore di te mi doglio,

protervo, iniquo e dispietato amore.

Tu con fredde paure in van sospetti

mi tenesti gran tempo, mentre ch'io

lei per Tirrenia e per ninfa del Tebro

amai languendo, ardendo e lacrimando.

Poi che 'l favor de' più benigni divi

salir mi fece il glorioso monte,

e mi fece veder fra i sacri allori

l'alto mio santo e dolce amore; e poi

che tolto via il furor di gelosia

alti e dolci pensier battendo l'ali

m'inalzavano al cielo altero e lieto;

hai tronco 'l volo a' miei gentil desiri.

Ahi lasso me dolente, e qual furore

mi conduce ad oprar la rabbia e i denti,

contro il benigno mio soave Iddio?

Mercè Signor, dolce Signor perdona

al soverchio martir che mi trasporta.

Tu la mia scorta se', tu 'l mio maestro;

tu se' 'l mio onor e tu se' la mia palma;

tu con la face tua m'hai mostro il calle

d'ir al bel monte: tu con l'auree penne

impenni i miei pensier; tu nel mio petto

scolpita hai la dolcissima Talia.

Per tante grazie a te di sacro sangue

spargerei d'or in or i santi altari,

a te arderei gl'interi sacrifici,

se non che tu (qual'è 'l tuo cor pietoso)

di crudeltà nimico, il sangue aborri.

Ma di quel, checchesia, che non rifiuti,

di fior, di lode, e d'odorati fumi,

la mia man, la mia lingua e la mia mente

a te non sieno in alcun tempo avare.

Da dolermi ho di mia crudel fortuna,

anzi di lui, che fa la mia fortuna.

Di te m'ho da doler, di te Tirinto,

crudel Tirinto, or se mai 'l petto caldo

ti sentisti d'amor: se punto amico

se' de le dotte Muse, il petto caldo

pur ti senti talor, e eterno amico

se' de l'amate Muse, ahi crudo, e come

puoi scurar dal suo amor l'acceso amante?

Come tòrre a la Musa il suo poeta?

Ben ti dovria Tirinto esser a grado

d'udir al suon di Mopso e di Talia

risponder Eco: e l'una e l'altra sponda

del tuo bel fiume: il tuo bel fiume e Eco

ti pon far fede che eia le pendici

de l'alto giogo, onde 'l Dio del tuo fiume

da l'ampio vaso versa i larghi rivi

insin dove, per diverse foci,

si scorga in Adria, in tutte le sue rive

non ha 'l più santo ardor, 'l più gentile.

E tu cerchi d'opporti a tale amore.

O Tirinto crudel, se non ti move

il mio dolore e 'l mio cocente affetto,

di lei ti mova il grazioso sguardo,

ch'acceso di desir tacendo grida,

e per pietà pregando a te s'inchina.

Movati 'l suon di que' pietosi versi

in ch'ella amaramente sospirando

riprega te per l'amorosa face,

che 'l suo diletto Mopso a lei ritorni;

sia pietoso Tirinto e sia sicuro

che qual pastor, qual ninfa e qual bifolco

non ha pietade a chi d'amor sospira,

non gli ha pietade amor, quand'ei sospira.

Misero me, i' mi dolgo, e tuttavia

dilungando mi vo dal mio desio,

e per molto desio piango e languisco;

e fo col pianto mio col mio languire

pianger gli sterpi e fo pietosi i sassi.

Fera ventura, veramente fera,

che tu diva gentile e 'l tuo fedele

esser debbiate eternamente insieme

fermo suggetto a dolorose note.

Or il vago pensier va rimembrando

quelle parole tue; quelle parole,

quelle, quelle, quell'ultime parole

che mi sterparo il cor, mi svelser l'alma.

Ben è ragion ch'eternamente t'ami,

e se verace amore, se ferma fede

merta cambio d'amor, ragion è ancora

che tu, mia vita, eternamente m'ami.

Non sia mai luogo o tempo che disgiunga

da me 'l tuo amor, che mai per luogo o tempo

non sarà l'amor mio dal tuo disgiunto;

meco sia 'l tuo pensier, che 'l mio pensiero

sempre è con te. Con me sia 'l tuo desire,

che teco è 'l mio desir: sia l'alma tua

sempre con me, che teco è l'alma mia.

Così ci ricongiunga un giorno amore;

e ricongiunga con felice sorte

i pensieri, i desiri e l'alme nostre.

Lasso che 'l ragionar il pensier segue

e ragionando ognor cresce la voglia,

e crescendo la voglia il duol sormonta.

Vago fiume, alte rive, ombrose piante,

passò mai quinci, o qui mai si ritenne

pastor alcun a cui sì tristi lai,

cocenti sospir, sì largo pianto

facesser fede del dolor suo interno?

Ma degno è ben che mia lingua si dolga,

e che sospiri il core e piangan gli occhi.

È tolto agli occhi il sol de gli occhi santi;

il sol, ch'è solo il sol de gli occhi miei,

il sol, ch'oltre per gli occhi al cor passando

tutto l'empiea di vivi ardenti spirti;

di spirti che mia lingua a ta' suggetti

movea sovente, che per avventura

non son suggetti da ciascuna lingua.

Or sendo privo di sì altero oggetto

ragion è ben che 'l mio dolor sia solo;

e che sia la mia lingua, il cor e gli occhi,

lingua fioca, cor tristo e occhi molli.

I' vo dolente, e pur convien ch'io vada;

misero Mopso ov'è la tua Talia?

Cara Talia, ov'è il tuo fido Mopso?

O duro fato, o cruda dipartita.

Lasso, che importa a poverel pastore

quel che facciano i ricchi, empii tiranni?

Che tocca a me cercar l'armate squadre?

Inique stelle: veramente i cieli

contra me son giurati; e 'l fiero Marte

ha tant'arme commosse e tanti sdegni

per dipartirmi dal maggior mio bene.

O fortunati, a cui 'l terren natìo

è fermo seggio e certa sepoltura:

fortunati bifolchi voi se 'l giorno

i buoi giungete e col gravoso aratro

sottosopra voltate i duri campi,

non v'è negato almen tornar la sera

a le capanne vostre, a i dolci alberghi,

a le dilette vostre compagnie.

Voi non arate il periglioso suolo

del tempestoso mar: voi gli alti gioghi

non varcate giammai de l'orrid'alpi;

voi non bevete le straniere fonti.

È 'l lungo cammin vostro a la cittade,

a la città, al mercato; e quindi il sole

che v'ha condotti ancor vi riconduce.

Voi fortunati e sfortunato Mopso:

ei da quel ch'al sol pria gli occhi aperse

non ha potuto ancor pur una volta

dir: qui sarà domane il mio soggiorno.

Ma da la patria ad estrani paesi

dal Tebro a l'Istro e dal Po alla Garonna,

d'oltre il Carnaio a l'ultimo Oceano,

e dal Vesuvio a gli alti Pirenei

errando ognor, è stato a tutte l'ore

perpetuo strale a l'arco di fortuna.

Misero Mopso! O patria, o patria cara;

o grande Antiniano, o bel Sermino,

o vago Formione, o scoglio amato

quando sarà ch'io vi rivegga e dica:

quel poco omai di vita che m'avanza

mi vivrò pur tra voi, ch'è quel ch'io bramo?

Il grande Atiniano, il bel Sermino

il vago Formion, l'amato scoglio

a me è Talia. Talia mi renda 'l cielo

ch'è Talia la mia patria e 'l mio riposo.

 

 

 





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