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Anonimo
Mastro Titta, il boia di Roma

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  • XLVIII. Carità pelosa.
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XLVIII.

Carità pelosa.

 

Dopo due o tre giorni, terminata la cena del prete, il cameriere gli chiedeva:

Don Asdrubale, non vorrebbe risciacquarsi la bocca con un bicchiere di Est-Est.

— Perché no? Agostino tu sei un portento. Indovini i miei gusti. Stasera è proprio il nettare di Montefiascone che ci vuole. Portane un fiaschetto. Ne berrai anche tu.

— Così mi scioglierà la lingua.

— Hai qualche novità a comunicarmi?

Importantissima novità.

Affrettati. Non farmi morir d’impazienza.

Agostino aveva già preparato sulla dispensa il vino proposto e lo serviva tosto.

Dicevi dunque?

— Ho parlato all’orzarola.

— Ebbene?

— È in cattivi rapporti col marito.

— Già? Come mai?

— È una storia lunga.

Raccontala più brevemente che sai.

— I suoi genitori le avevano promesso due mila scudi di dote, dopo il matrimonio. L’orzarolo si è fidato della parola. Ma quando il matrimonio fu celebrato i due mila scudi non vennero.

— È una bricconata, non ti pare?

— Sì, e no.

— Come sì e no?

— Dal punto di vista dell’onestà, certamente è una bricconata, ma dal punto di vista dei nostri affari potrebbe essere molto utile.

— Non ti capisco, spiegati meglio.

— Ecco qui. Sbolliti i primi entusiasmi, l’orzarolo ha incominciato a molestar la sposa per la dote. La poveretta non ha più un momento di pace. — Non so che farei — mi diceva, per poterglieli buttare in faccia. — Eh a voi non sarebbe difficile trovarli — le risposi — purché voleste. — Chi volete che me li dia? — domandò lei, ed io: Ci sono al mondo delle persone caritatevoli. — Gli uomini non danno mai nulla per nulla — mormorò l’orzarola, ed io di rimando — Si capisce! Ma in fin dei conti, quando si tratta di levarsi da un impiccio e di farsi ben volere dal marito...

Don Asdrubale seguiva attentamente il discorso d’Agostino ed avendo questi a tal punto fatta una pausa, domandò anelante:

— Ed ella?

— Ella sorrise.

— Buon segno! Ma due mila scudi, capperi, non sono un baiocco.

— Li vale.

Pare anche a me.

— Una sposina fresca, fresca...

— È tutto quel che si può desiderare di meglio. Ma non li ho qui disponibili. Bisognerebbe che me li facessi mandare. Ne avrò in cassa un millecinquecento e mi servono per altre spese.

Parlando così, pareva che il prete ragionasse con se stesso: di quando in quando si interrompeva, come se il suo pensiero volasse altrove. Il cameriere seguiva cogli occhi ogni suo moto, ma non fiatava.

— Non avete aggiunto altro? — chiese improvvisamente il prete.

— Abbiamo continuato il discorso. L’orzarola mi disse: sono pazzie! Io non conosco persone in Roma — Per questo vi potrei aiutare, le risposi, c’è il mio padrone, sapete, don Asdrubale — Sì, lo conosco; dicono che è un santo uomo — E dicono il vero. Mi ha giusto parlato ieri di voi. — Di me? — Sì, di voi. Gli avete suscitato un desiderio vivissimo di parlarvi. Vorrebbe essere il vostro direttore spiritualeGiusto non mi sono ancora confessata dacché venni a Roma. E credete?... — Credo che se gli chiedeste i duemila scudi non ve li rifiuterebbeMagari! È un uomo tanto simpatico.

Simpatico m’ha chiamato?

Signorsì, simpatico.

— E tu?

— Io gli ho dato parola di parlarvene.

— Dunque è disposta a venir da me?

— A confessarsi sì. Giovedì suo marito deve recarsi a Genzano donde non tornerà che sabato, ella ne approfitterebbe, chiuso il negozio, per venire senza impicci.

— Due mila scudi è un sacrificio un po’ grosso: ma lo posso sopportare senza disagio. Me li faccio anticipare domani dal mio notaio, e dopodomani sera, se viene, se sarà buona e compiacente...

— Per questo, non può dubitare.

— Se sarà buona e compiacente glieli darò.

— Posso dunque parteciparle la lieta nuova.

Partecipagliela pure. Sai che quando ho deciso, ho deciso.

Don Asdrubale se ne andò a letto e sognò la bella orzarola. Agostino fece altrettanto e sognò i duemila scudi.

 

 




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