LVI.
Le lezioni di piano e
canto.
La signora Facenni non era molto portata per la musica.
Assistendo alle lezioni di sua figlia incominciava ad annoiarsi presto e finiva
coll’addormentarsi profondamente.
Ora le mamme che dormono sembrano fatte apposta per le
figlie che studiano la musica, specie sotto la guida di un maestro giovane.
Elsa e Corrado si toccavano spesso colla mano, scorrendo
sugli avori e gli ebani della tastiera, involontariamente s’intende.
Ma ogni qualvolta si toccavano, pareva che una scintilla
elettrica si sprigionasse dalle loro mani e ne investisse tutte le persone.
Ma presto le toccatine di mano non bastarono più e neppure
le pressioni dei piedi sul pedale. Una sera, mentre Elsa inchinava leggermente
la testa a destra, accompagnando con quel vezzoso moto il suono, Corrado le
appioppò un bacio sul collo a sinistra.
La fanciulla arrossì fin nel bianco degli occhi, ma non
disse verbo e continuò ad accompagnarsi coll’ondulazione del capo.
— Perdonatemi, signorina, mormorò il maestro all’orecchio
della fanciulla, benché non ce ne fosse il più piccolo bisogno — perdonatemi.
Elsa lo guardò di sottocchio e sorrise — quasi a dirgli:
— Grullo! Se mi hai fatto piacere.
Corrado ne fu inebbriato; ma non ebbe il coraggio di
procedere oltre.
Intanto l’esecuzione del «pezzo» continuava, accompagnata
dal russare intenso della signora Facenni, la quale andava digerendo un certo
fagiano con ripieno di tartufi bianchi, che, per far onore al suo cuoco, aveva
quasi divorato completamente a pranzo.
Continuando il moto ondulatorio della testa, la fronte
d’Elsa venne a trovarsi sotto le labbra del maestro; e questi, ormai sicuro del
fatto suo, la sfiorò colle labbra.
Era il secondo bacio e fu l’ultimo per quella sera.
All’indomani si trattò di provare un duetto d’amore di un
valente autore, che Elsa contava di eseguire, sempre col maestro, nel prossimo
ricevimento serale della sua famiglia. La signora Facenni, sicura della virtù
di sua figlia e della discrezione del musicista, credette di potersi assentare
senza pericolo, dicendo che le prove l’annoiavano e le avrebbero messo in uggia
il duetto, il quale le sarebbe tornato più gustoso ed aggradito udendolo per la
prima volta, la sera del ricevimento.
Corrado stava al piano; Elsa in piedi alla sua manca: il
maestro cantava e accompagnava; la fanciulla cantava e divorava cogli occhi il
giovanotto. Il fascino di quella musica sensuale, afrodisiaca la vinceva, e
quando Corrado dominato pur lui dalla passione le cinse con un braccio la vita,
si chinò sopra di lui e rovesciatogli il capo indietro cacciandogli la bianca
mano nei capelli, la baciò sulla bocca.
— Mi amate, signorina? — domandò il maestro balbettando per
l’emozione.
— E me lo chiedete?
— Lo so. Ma è sì dolce sentirselo ripetere da una bocca come
la vostra.
— Ebbene, sì t’amo; t’amo pazzamente, non vedo che pei tuoi
occhi, non ho alito di vita che per te.
— Sei un angelo. Eppure questa confessione che dovrebbe
farmi il più felice degli uomini, mi agghiaccia di spavento.
— Perché?
— Perché non potrà che esserci cagione di affanni, di dolori
infiniti.
— Pazzo! Ci sarà cagione di ebbrezze ineffabili, se davvero
tu pure m’ami, come io ti amo.
— Non riflettete, signorina, alla disparità delle nostre
condizioni? — le domandò Corrado assumendo un fare riguardoso e con piglio
quasi severo. La fanciulla ne fu scossa vivamente e sentì più ardente il
desiderio dei baci. Pure sforzandosi di riporsi in tranquillità rispose con
voce appena intelligibile:
— È da molto tempo che ci rifletto.
— E non avete riconosciuta l’impossibilità d’esser mia?
— No.
— Io non ho beni di fortuna.
— Che importa?
— Sono indispensabili per vivere.
— Ne ho io.
— I vostri genitori non consentiranno mai ad un’unione così
disparata. Forse, se la fortuna mi sorregge, quando avrò dato alle scene la mia
grande opera, e mi sarò fatto un nome e sarò sulla via di arricchirmi...
— E quanto tempo occorrerà per questo?
— Che ne so io? Forse due, tre, forse dieci anni.
Elsa alzò bruscamente le spalle, segno evidente di corruccio.
Ma in quel momento s’udì uno stropicciare alla porta, e maestro e allieva
ripresero le prove.
Era tempo.
La signora Facenni ritornava in compagnia del suo
signor consorte.
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