LXXII.
Incontro inaspettato.
Benché stabilito anche lui in Roma, la romantica innamorata
del biondo cacciatore di Monteguidone, non l’aveva mai riveduto. E questo
contribuiva alla sua tranquillità.
Una mattina Geltrude se ne stava seduta nel fondo del
negozio, quando la sua attenzione fu richiamata da un lontano salmodiare di
voci, che si andava avvicinando e nel contempo vide la gente di fuori
accalcarsi sui marciapiedi. Doveva essere un trasporto funebre di qualche
importanza. Spinta dalla curiosità si affacciò anch’essa, per assistere dalla
soglia della bottega allo sfilare del funebre corteggio.
— È una zitella, poveretta — diceva una donnicciuola. Vedete
che ha il panno bianco, sul feretro.
— No, rispondeva un’altra.
— E chi è, dunque?
— Una signora morta di parto.
— Poverina, lascia dei figliuoli?
— No. Era il primo, dopo parecchi anni di matrimonio.
— Guarda un po’ che disgrazia.
Il convoglio intanto si avvicinava preceduto e seguito da
una quantità di frati dei vari ordini e da una folla di persone per bene,
munite di grossi ceri, che alternavano le preci e i canti funebri. E il
chiacchierio degli spettatori e delle spettatrici continuava.
Chi ne sapeva qualche cosa, lo diceva, per mostrarsi ben
informato. Chi non sapeva nulla, o inventava delle fole, o chiedeva notizie ai
vicini.
— Vedete — disse d’un tratto quella che pareva meglio al
giorno delle cose — il marito, segue la cassa, col padre e coi fratelli.
— Qual è il marito? — si richiese d’ogni parte.
— Quello là biondo, nel mezzo, tutto vestito di nero.
— È un bel giovanotto, troverà presto da consolarsi.
— Povero sor Enrico!
All’udire questo nome Geltrude, colta da uno strano
presentimento, uscì dal negozio e mischiandosi alla folla, volse lo sguardo
dalla parte indicata dalla donnicciuola.
Impallidì subitamente, si appoggiò alla parete, ma sarebbe
indubbiamente caduta al suolo, se gli astanti non se ne fossero accorti e non
l’avessero sorretta.
— Sora Geltrude vien meno, bisogna portarla nel negozio
disse una bottegaia sua vicina.
— Poveretta! È tanto buona. Non ha potuto resistere
all’emozione.
— Quando non si ha più coraggio di una gallina, si dovrebbe
starsene a casa.
Così si diceva intorno, mentre un forte giovinotto
levandosela sulle braccia la trasportava in negozio.
Lo svenimento di Geltrude portò un po’ di scompiglio nel
corteggio e fu avvertito da coloro che lo formavano e segnatamente dal
giovinotto biondo, che era stato designato per il vedovo marito, il quale parve
assai commosso da quell’incidente e pur continuando a seguire il feretro
dell’estinta, volgeva frequentemente il capo verso la bottega di Geltrude,
finché gli fu dato di vederla.
— È un conforto per chi soffre, veder diviso il proprio
dolore sentenziò un rigido signore, rispondendo all’osservazione di taluno, cui
sembrava strano quel contegno.
Quando Toto tornò a casa, trovò la sua cara sposa adagiata
sul letto, e circondata dai garzoni e dalle donne del vicinato, perché lo
svenimento di Geltrude aveva quasi avuto le proporzioni di un deliquio. E le
sue smanie non cessarono se non quando la vide pienamente ristabilita.
Ma convien dire che l’impressione della donna fosse stata
ben terribile, perché le lasciò in fondo una tristezza, che indarno cercava di
vincere.
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