LXXXIII.
Un dramma d’amore in
carrozza.
L’oltraggio patito non fece che aumentare la passione
suscitata da Sofia in Cesare Abbo. Egli giurò a se stesso di avere quella
donna, dovesse costargli la vita e tenne il giuramento.
Una notte di aprile, ritornando da una serata, Sofia ordinò
al cocchiere che aveva preso da pochi giorni al suo servizio di fare una corsa
fuori di Porta San Giovanni. Era nervosa più del consueto e affaticata. Voleva
godersi le fresche e profumate aure primaverili. Il ballo aveva alquanto
eccitato i suoi sensi e sperava con quella gita di ricuperare la calma.
Abbandonata sui cuscini della vettura elegante, s’era tolta
il piccolo mantello di casimiro bianco, a ricami d’oro, soppannati di seta
celestina e colle opulenti spalle le pur bellissime braccia ignude, gustava i
lievi brividi che l’aria notturna, penetrando da una delle portiere il cui
cristallo era calato, le procurava. La sua fantasia immersa nei ricordi della
serata, spaziava: sognava ad occhi aperti. Ma il freddo fattosi più pungente,
la consigliò di far alzare il cristallo. Chiamò il cocchiere e gli disse:
— Ho freddo, scendi, chiudi bene la portiera e ritorniamo.
Il cocchiere discese, aprì lo sportello, vide l’affascinante
spettacolo, di quella donna così poco vestita di trine e di seta e acceso di
subito fervore amoroso, stese le braccia, e l’attirò a sé.
Sofia cercò di svincolarsi e di respingerlo. Ma la stretta
era troppo vigorosa.
— Questa volta non mi farai cacciare dai tuoi servi, come
sei mesi fa — disse sghignazzando l’assalitore.
— Che, voi? — esclamò più sorpresa che sdegnata, la
formosissima donna.
— Io stesso, Cesare Abbo. Sfuggimi se puoi. Sarai ben mia.
Le resistenze di Sofia, furono deboli, per non dir nulle. Le
condizioni patologiche della donna erano favorevoli a quell’avventura
arrischiatissima. Se è vero che tutte le donne hanno dei momenti nei quali sono
di chi le piglia, doveva essere quello uno dei suoi momenti. I baci di Sofia
non furono meno numerosi, né meno ardenti di quelli dell’audace assalitore,
trasformatosi in cocchiere, corrompendo il vero cocchiere della signora, per
raggiungere il proprio intento. Gioiva Sofia d’esser vittima di un innamorato
della propria classe e non nella brutalità di un servo. La passione che aveva
ispirato, solleticava inoltre il suo amor proprio. La forza amatoria dell’Abbo,
compì il miracolo. Rientrando al suo palazzo era pazzamente presa
dell’intraprendente suo amante; si pentiva della sua fierezza che le aveva rapito
sei mesi di godimenti e si prometteva di ripagarsene ad usura.
Giunto al convegno stabilito, Cesare Abbo rimise al vero
cocchiere il cappello gallonato e il grande pastrano di livrea e si accomiatò
da Sofia. All’indomani costei l’attendeva impazientemente nel suo gabinetto. Ma
Cesare Abbo non vi si recò, né più mai si fece vedere. Il suo capriccio era
esaurito.
Quando una passione non ha potuto avere il suo svolgimento
nei sensi di una donna questa ne soffre orribilmente, il suo carattere si
altera e di leggieri si dà in balìa agli eccessi più mostruosi.
Così accadde a Sofia, la quale perduto il cocchiere finto si
abbandonò al vero, che gli richiamava quella notte di piacere acre, ma
delizioso. Man mano discese per tutti i gradi della depravazione e giunse a
recarsi incognita ne’ pubblici lupanari, come Messalina, per godere
dell’improvviso e dell’ignoto.
Quivi si incontrò di nuovo con Cesare Abbo e dopo aver
passato una notte con lui in quella casa infame, tornata a casa, si uccise con
un colpo di pistola al cuore.
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