LXXXV.
Le gesta del prete.
Domenico Abbo conservò per parecchio tempo un contegno
castigatissimo ed una condotta irreprensibile. Il cardinale suo nipote ne era
edificato e non cessava di lodarsi della determinazione presa. L’affabilità de’
suoi modi e la giocondità del suo spirito gli accaparravano tutte le simpatie. Mai
le anticamere del prelato erano state così affollate di clienti delle migliori
società. Le signore erano in prevalenza e si intrattenevano con maggior
compiacimento col cerimoniere, che col cardinale. Quel bel prete, dall’aspetto
di granatiere, per l’imponenza della persona, dall’occhio nero e corruscante,
dalla bocca larga e sensuale, tuttora adorna dei suoi denti candidi e forti le
attraeva. E dal palazzo del Cardinale passavano volentieri alla chiesa, dove
don Domenico officiava, per accostarsi al tribunale di penitenza da lui
presieduto.
In breve Abbo era diventato il direttore spirituale di una
quantità di famiglie patrizie e vi era accolto con straordinarie feste, ogni
qualvolta si degnava di accettare un invito a pranzo o a qualche ricevimento.
La giovialità del suo carattere faceva di lui un prezioso
commensale, e un consigliere molto competente per tuttociò che concerneva la
vita mondana, non meno che per riguardo della vita celeste.
Il cardinale nepote non era geloso dei successi di suo zio,
che si riverberavano sopra di lui, e si fece premura di presentarlo al papa,
non appena, essendogliene giunta notizia, manifestogli il desiderio di
conoscerlo.
Papa Gregorio XVI, tolto dalla gravità delle preoccupazioni
del governo della Chiesa e dello Stato, tolto dalle afflizioni che gli
cagionavano i cospiratori e i rivoluzionari, sempre intesi a nuove mene per
sovvertire l’ordine politico e sociale, era d’umore giocondo e sollazzevole,
amava la bottiglia e le storielle amene. Si narrano di lui un’infinità di
aneddoti.
Ne ricordo due, che calzano meravigliosamente per spiegare
la deferenza che esso mostrò poi a don Domenico Abbo.
Aveva il Ganganelli preso di fresco un nuovo segretario
particolare, il quale dormiva nella stanza attigua alla camera da letto del papa
per essere pronto ad ogni sua richiesta.
Una notte gli parve di sentire il papa parlare. Scese dal
letto e si accostò alla porta per distinguer meglio la voce di Sua Santità. Ad
un tratto intese papa Gregorio XVI che diceva:
— Biondina mia, dammi un bacetto.
Il segretario fu altamente sorpreso, se non scandalizzato.
Donde mai era passata quella biondina che letificava le ore notturne di Sua
Santità? Quale mistero si nascondeva sotto quella intimità così confidenziale?
Il giorno seguente il curioso segretario fece del suo meglio
per scoprir terreno, ma non gli venne fatto di saper nulla. La notte origliò di
nuovo alla porta della camera cubiculare del pontefice e l’udì ad un certo
punto, ripetere l’invocazione:
— Biondina mia, dammi un bacetto.
Così continuò per molte notti, senza che la curiosità sempre
più eccitata del Segretario, potesse appagarsi. Soltanto le domande di bacetti
si facevano sempre più frequenti nel corso della notte medesima.
Finalmente una notte che il papa aveva domandati più baci del
consueto alla sua biondina, il segretario udì un tonfo ammortito dal tappeto.
Allora giudicò necessario di intervenire, e passò benché non chiesto nella
stanza del papa.
Uno strano spettacolo si offerse agli avidi suoi sguardi.
Gregorio XVI se ne stava accoccolato a fianco del letto in
camicia, con una bottiglia di ambrato vin santo in mano, e non riusciva a
rialzarsi, per quanti conati facesse. Altre bottiglie giacevano al suolo
abbandonate.
La notizia dai segreti penetrali del Vaticano, si diffuse
per tutta Roma, suscitando l’universale ilarità e il Segretario curioso e
chiacchierone venne rimandato.
L’altro aneddoto è il seguente.
Un dopo pranzo parecchi cardinali erano adunati
intorno a Sua Santità e favellavano sopra diversi argomenti.
Un cardinale meno prudente e meno accorto essendo il
discorso su papa Gregorio I, si mise a tessere l’elogio delle sue vere e
supposte virtù, esaltandole oltre ogni dire, e concluse che meritamente era
passato nella storia col titolo di Gregorio Magno.
Ganganelli, cui quelle sperticate laudi tornavano un po’
ostiche, chiamò il cameriere e gli ordinò di recargli una bottiglia di lacryma
christi e versatosene un calice colmo, lo tracannò d’un fiato, poi uscì con
questa sentenza:
— Gregorio I passò nella storia col titolo di Gregorio
Magno, Gregorio XVI vi passerà con quello di Gregorio Bevo.
Don Domenico Abbo fu affabilmente ricevuto dal Sommo
Pontefice, col quale seppe mostrarsi scaltramente allegro, senza uscir dai
limiti del conveniente riserbo e questo lo rimise nelle grazie di Sua Santità.
|