XCII.
Colpo fallito e colpo
riuscito.
Una sera Maria Rossetti si vide comparire innanzi Serafino
Benfatti in abito da marinaio.
— Che strana fantasia ti ha preso? — gli domandò aprendogli
le braccia e stringendolo poi fortemente al seno.
— Non è una fantasia, è un fatto, rispose il marinaio.
— Spiegati, non ti comprendo.
— Sono rovinato.
— Non è da oggi che me lo dici.
— Quando te lo dicevo, la rovina era semplicemente in
prospettiva; ora è compiuta. Ho liquidato i miei conti: ora non sono più
armatore, non sono più commerciante. Non mi rimane più che la mia intelligenza,
sorretta dalle braccia e da qualche migliaio di lire.
— Ebbene?
— Sono venuto per dirti addio. Mi imbarco: andrò al nuovo
mondo, per tentare la sorte. Se mi arride tornerò; se mi continua avversa non
ci rivedremo più.
A queste parole, presa da un subitaneo slancio d’affetto,
Maria gli gettò le braccia al collo, e, sciogliendosi in lagrime, proruppe in
un grido d’angoscia straziante:
— Impossibile! Impossibile! Ne morrei.
— Seguimi allora.
— Seguirti? Ma come?
— Io prendo imbarco in qualità di nostromo: tu puoi
prenderlo come passeggiera, pagando il trasporto. Giunti in America, a
Buenos-Ayres ci stabiliamo. Ciò che mi è rimasto di denaro è più che
sufficiente per iniziare un piccolo corso d’affari. In breve mi rifarò una
fortuna e...
— E allora?
— Saremo sempre uniti e felici.
— Questo non basta, lo sai, Serafino. C’è un ostacolo
insormontabile: tua moglie, Cesarina...
— Non ricordarmela, Maria, perché nella mia testa corrono da
tempo delle idee nere in proposito.
La Rossetti, invece di staccarsi da lui, gli si accostò più
e se lo strinse di nuovo fra le braccia, sussurrandogli all’orecchio:
— Quali idee?
— Non chiedermelo.
— Hai dei segreti per me? Non mi ami.
— T’amo, fino a concepire il progetto di un delitto.
— È così che voglio essere amata.
L’incitamento non poteva essere più diretto e più preciso.
Ma Serafino Benfatti esitava ancora, aveva paura di comprender male: temeva di
destar orrore a quella donna adorata manifestandole il suo truce proposito.
— Dunque? — chiese Maria.
— Quando un ostacolo è insormontabile, invincibile
bisogna...
— Sopprimerlo.
— L’hai detto. Parto per Perugia questa notte medesima.
— Ti seguo.
— Che? — esclamò atterrito il marinaio — tu seguirmi?
— Se c’è un pericolo, voglio dividerlo con te.
— Se mi mancasse il coraggio all’ultimo momento?
— Colpirei io stessa.
E suggellarono con un bacio il patto infame, che doveva
legarli per tutta la vita. Mortifero bacio.
Cesarina era uscita a diporto, quando suo marito si recò da
lei. Imbruniva, ed egli era penetrato nel giardino d’onde intendeva scivolare
nell’appartamento della moglie non appena questa fosse rientrata, e di
nascondersi per perpetrare nella notte il delitto.
Maria Rossetti l’attendeva di fuori; avrebbe voluto entrar
pur essa nel giardino e nella casa; ma Serafino si era opposto, temendo avesse
a riuscirle più d’impaccio che di aiuto.
Cesarina, non tardò guari a ritornare e ritornò sola. Entrò
per la porticina del cancello del giardino e passò oltre nella prima camera del
suo appartamento terreno, che su quello si apriva.
Serafino Benfatti la seguì. Il momento non poteva essere più
opportuno: tutto sembrava concorrere al buon esito della scellerata impresa.
Ma mentre il marito entrava dietro di lei, Cesarina che era
già penetrata nella seconda stanza ne uscì e si trovò a fronte di Serafino, il
quale, alzato il coltello, di cui era armato, le lasciò piombare un colpo nel
petto dalla parte del cuore.
La disgraziata mandò un grido:
— Assassino!
E cadde riversa al suolo.
Serafino Benfatti, invaso da un terrore invincibile, fuggì
verso il giardino, sempre brandendo il coltello insanguinato.
Quivi si imbatté con Maria che aveva attraversato il
cancello. In quel mentre si vide rizzarsi, sulla porta di ingresso
dell’appartamento, Cesarina, la quale, ferita soltanto leggermente, perché le
stecche del busto avevano fatto deviare la lama del coltello, si era levata e
teneva dietro al marito, che aveva riconosciuto.
Maria Rossetti, misurò la situazione e vide che era mestieri
sostituirsi a Serafino. In un baleno strappò l’arma al Benfatti, che le muoveva
incontro pazzo di terrore, e fattasi sulla moglie del suo amante la crivellava
di ferite, al volto, alla gola, dove le veniva fatto di colpirla.
L’odore del sangue le dava una specie di ebbrezza. Né lasciò
la sua vittima che quando sentì le grida di Serafino e dei parenti che
rientravano in tempo per assistere all’orrendo spettacolo.
Maria Rossetti e Serafino Benfatti, furono immediatamente
arrestati. L’uomo confessò il delitto in tutti i suoi particolari, cercando di
rigettare la maggior parte di responsabilità sulla sua amante, dalla quale si
disse incitato a commettere il misfatto.
Condannati entrambi alla decapitazione, subirono il
supplizio in ben diverso modo.
Serafino Benfatti si mostrò pentito e contrito del delitto
commesso, si confessò e si comunicò esemplarmente e mosse al patibolo
confortato dai frati, invocando il perdono di Dio e degli uomini.
Maria Rossetti, per converso, si conservò impenitente.
Accolse la sentenza con un sogghigno. Rifiutò perentoriamente le religiose
consolazioni e i sacramenti.
L’uomo arrivò sul patibolo disfatto dalla paura e senza
manco potersi reggere. La donna impenitente pose, per la prima, come ne avea
diritto, la testa sotto il ferro, dopo aver rivolto al suo complice uno sguardo
di supremo disprezzo.
L’emozione destata nel pubblico che assisteva al supplizio,
fu immensa, indescrivibile. Molte donne ed anco parecchi uomini piangevano.
Altri imprecavano. Ma la giustizia ebbe il suo corso preciso ed esatto, com’era
di ragione.
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