XCIV.
La Denunzia — La Confessione —
Conseguenze.
Le nozze ebbero luogo con grande pompa. Luigi Finocchi
pareva avesse deposta tutta la sua selvatichezza ed aveva usate alla sua
promessa delle finezze squisite.
È un fenomeno che si verifica spesso: il sole dell’amore
rischiara le menti più ottenebrate e suscita negli animi apparentemente più
insensibili e rozzi, sentimenti di delicatezza incomparabili.
Giggi amava già passionatamente Geltrude e nessun sacrificio
gli sarebbe sembrato troppo grave per esserne corrisposto. Ma la trovava troppo
al di sopra di lui. Le si sentiva inferiore talmente, che disperava di giungere
alla sua altezza e avrebbe salutato con piacere qualunque fatto, per quanto
doloroso, che avesse diminuita la ipotetica distanza che li separava.
Il Finocchi aveva voluto, con delicato pensiero, che le
feste nuziali avessero luogo in casa della Montini, benché sopperisse del
proprio alle spese. Terminato il ballo, che aveva seguito la sontuosa cena, gli
invitati se ne andarono. E gli sposi si avviarono alle loro abitazioni,
accompagnati fin sulla soglia dalla madre di Tuta e da altri parenti. Accomiatatisi
si trovarono finalmente soli.
Il momento psicologico si avvicinava: Giggi condusse la sua
diletta fino alla porta della camera da letto, che aveva fatto allestire con
ricchezza e buon gusto, e si ritirò un momento, per lasciarle compire in libertà
la toletta notturna.
In quel mentre un famiglio gli recò una lettera dicendogli:
— Sor padrone, hanno portato questo foglio fin da
stamattina, dicendo di consegnarvelo subito. Ma io non ho voluto disturbarvi.
— Hai fatto bene.
Il famiglio se ne andò, e Finocchi si pose in tasca la
lettera, rimandandone la lettura all’indomani. Ma poi per ammazzare il tempo e
vincere l’impazienza, la tirò fuori, e guardò la soprascritta:
Signor Luigi Finocchi, Corneto. Urgentissima.
Uomo d’affari anzitutto, quell’urgentissima colpì il
destinatario, l’aperse, la lesse, impallidì e dovete appoggiarsi ad un mobile
per non cadere.
Entrò nella camera nuziale, dopo aver fatto uno sforzo
disperato per vincere la emozione e porse la lettera alla sposa dicendole:
— Leggi.
Avvolta in un bianco e sottile accappatoio, che le scendeva
in fitte pieghe lungo la persona, superbamente bella, disegnandone le forme
dense ed aggraziate ad un tempo, colle carni rosee e palpitanti delle rotonde
spalle, dal seno eretto e dalle magnifiche braccia sotto le trasparenze del
diafano tessuto, Geltrude era divina a vedersi ed avrebbe tentato anche un
santo. Ma Luigi Finocchi aveva la testa in fiamme, una vampa sanguigna gli
saliva agli occhi e non scorgeva che un immane quadro rosso innanzi a sé.
Geltrude lesse la lettera, tranquillamente, serenamente,
come se si trattasse di cose che non la riguardassero e quando ebbe finito
pronunziò una sola parola, ma con tale accento di supremo disprezzo, che scosse
tutte le fibre del suo sposo:
— Vigliacco!
— Dunque è vero? — chiese Finocchi con una inflessione di
voce che pareva un rantolo.
— Sì — rispose con accento fermo, pieno di muta disperazione
Geltrude.
— Ebbene? — domandolle ansante il marito.
— Vi ho ingannato, sono indegna di voi, cacciatemi; siete
nel vostro diritto.
— Perché ingannarmi? — disse con accento straziante Luigi.
— Per salvare il mio onore; porto nelle viscere il frutto
della mia colpa, se è colpa per una fanciulla inconsapevole l’essersi lasciata
sedurre da un vile.
Quella confessione schietta, piena di rammarico e di
rassegnazione, colpì profondamente il disgraziato e fu come un refrigerio per
lui. Riprese la calma, e considerò la situazione freddamente.
Era stato ingannato; ma lo scopo se non giustificava,
scusava l’inganno. Quella fanciulla era caduta sotto le arti di un malfattore:
era una vittima più da compiangersi che da condannarsi. Poteva egli d’altronde
supporre che tanto tesoro di leggiadria, fosse creato per lui, rozzo, villano,
ineducato? Aveva desiderato che la distanza che lo separava da Geltrude fosse
dimezzata: ecco il fatto che lo assecondava. Se la fanciulla non amava il suo
seduttore, egli l’avrebbe perdonata, le avrebbe conservato tutto il suo amore,
tutta la sua adorazione. Era stata sincera fino a quel momento, perché avrebbe
cessato d’esserlo? Guardò negli occhi di Geltrude e gli apparve come una
visione angelica, celeste. La sua mente non era mai arrivata a concepire tanta
beltà. Le prese una mano candida e un fremito gli agitò tutte le fibre.
— Geltrude! — le disse con tale accento di tenerezza che
pareva una contraddizione col suo fisico — l’ami quell’uomo?
— L’odio, lo detesto, vorrei immergergli un pugnale nel
cuore colle mie mani.
Così favellando la fanciulla mandava lampi dai corruscanti
occhi neri, le sue labbra rosse erano agitate da un tremito, la sua fronte
aveva formata una piega profonda, le martellavano le vene gonfie delle tempia,
nella sua voce c’era tutta l’impronta della verità.
— È noto il tuo errore ad altrui?
— A mia madre sola.
— È egli di Corneto?
— No, è un viaggiatore di commercio, che capita qui due o
tre volte al mese e non si trattiene mai più di quarant’otto ore.
— Quando verrà?
— Dev’esser qui... poiché v’ha scritto: è di suo pugno
questa lettera infame, che vi ha rivelato la mia colpa.
— Se l’uccidessi?...
— Ti adorerei come un Dio! esclamò Geltrude, con uno slancio
di passione, cingendogli il collo colle braccia ignude che uscivano dalle ampie
maniche della vestaglia.
Luigi a quel contatto si sentì inebbriato fino al delirio,
strinse la bellissima donna poderosamente al petto e rovesciandole indietro la
testa, le diede un lungo bacio sulla bocca.
Quelle quattro labbra ardevano come braci.
Poi repentinamente si svincolò dalla stretta, che Geltrude
gli aveva corrisposto, dicendo risolutamente:
— No: prima la vendetta.
— Voglio assistervi.
— Assisterai.
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