IX.
La gamma del delitto.
Nel 1727 fu giustiziato per primo, cioè mazzolato e
squartato il giorno di sabato 18 gennaio Antonio Maria Valentino che aveva
avuto una vita burrascosissima. Nato ebreo, voleva farsi turco e per ottenerlo
gli convenne avere prima il battesimo. Stanco di stare fra i Turchi tornò a
Roma, domandò ed ottenne di essere riammesso nel grembo della Chiesa cattolica
e gli fu concesso. Il papa stesso lo battezzò con grande solennità insieme ad
altri, la Pentecoste, 29 maggio del 1724 e gli diedero un posto di soldato a
Ponte Sisto. Stando sotto le armi si innamorò di una meretrice benestante che
abitava a piazza del Fico e gli corrispondeva cinque scudi al mese. Una notte,
mentre giaceva con lui, la povera donna gli disse che era stanca di menar
quella vita, e voleva abbandonarlo per chiudersi in un convento ed espiare i
suoi falli. Il Valentino dolendogli che tutta la roba ch’essa possedeva dovesse
andar perduta, si alzò mentre dormiva e tratto dalle tasche un coltello la
scannò, e portata via ogni sua cosa, andò a nasconderla fra le macerie, adunate
di fronte al palazzo Monte Cavallo: il coltello lo spezzò e lo buttò nella
cantina di uno stagnaro di que’ pressi. Fu accusato dell’assassinio uno sbirro
che abitava a piazza del Fico, nella casa stessa della meretrice, ma questi
fece voto di un cuore d’argento alla Vergine, se la sua innocenza fosse
riconosciuta e fu esaudito. Arrestato il Valentino e sottoposto alla tortura,
dopo pochi tratti di corda confessò tutto e fu condannato. Non volle saperne di
pentimento. E siccome il giorno dell’esecuzione era la festa di San Pietro,
perché il convoglio non avesse ad incontrarsi con qualche cardinale, nel qual
caso, sarebbe stato spontaneamente graziato, fu fatto passare per via Giulia,
San Giovanni de’ Fiorentini, piazza Ponte, via dell’Orso, e per Ripetta giunse
al Popolo, dove fu mazzolato e squartato dal garzone del carnefice, essendo
questi degente allo Spedale di Santo Spirito per malattia.
Il secondo fu Francesco Tarquinj romano, impiccato sabato
mattina 5 aprile a Campo Vaccino per aver scassinato parecchie botteghe. Lo
denunziò una donna che l’aveva veduto nascondere all’arco de’ Pantani i ferri
di cui si serviva. Fu appostato e arrestato due giorni dopo mentre
sull’imbrunire era andato a riprendere i summenzionati ferri. Subì un esame
durato cinque ore. Ciò accadde il venerdì, il susseguente sabato venne fatto
girare per tutta Roma seduto a ritroso a cavallo d’un asino con un trivello
pendente al petto. Era un bel giovane di 22 anni, figlio di un beccamorto
ammazzato alla Pace; aveva un altro fratello in galera, una sorella ed una zia
monache ai Santi Quattro. Delle tredici botteghe che aveva scassinato non aveva
riportato che 10 scudi, essendosi limitato a levare il denaro dalle cassette.
L’ultimo di quell’anno, Ludovico Benigno da Macerata, fu
impiccato al Popolo, la mattina del 22 novembre. Era un giovane di ventidue
anni, non molto alto della persona, colla barba nera, folta e prolissa, il naso
leggermente aquilino, lo sguardo vivace. Avendo avuto una rissa con un suo
compare, fecero la pace. Ma incontratolo per via un anno dopo, preso da subita
ira gli cacciò il coltello nel petto e passò oltre. Ma dubitando che non fosse
morto tornò indietro e vide infatti che tentava di rialzarsi.
— Dammi il mio coltello gli intimò.
Il ferito ne tirò la lama fuori dal petto e glielo porse; il
Valentini in quel mentre lo freddò con una pistolettata.
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