X.
La donna carnefice — Una
impiccagione modello.
Un caso forse unico nella storia fu l’ultima esecuzione
dell’anno 1731.
Antonio del quondam Gentile Tonelli da Mondolfo
doveva essere impiccato la mattina di mercoledì 22 agosto a Ponte Sant’Angelo.
Aveva 45 anni, era alto ed aitante della persona, la lunga barba gli scendeva
sul petto e gli dava un aspetto feroce. E ferocissimo era, avendo per molti
anni esercitato il mestiere di contrabandiere e spacciato molti birri, che
cercavano di prenderlo. Arrestato finalmente, stette in carcere per ben dodici
mesi e siccome aveva promesso di strozzare con due dita chi si fosse recato da
lui per portargli la sentenza della sua condanna, quando questa fu pronunziata
bisognò usare uno stratagemma, per impedirgli di compiere il proprio progetto.
Due birri, istivalati e in abito da viaggio vennero introdotti nella sua
segreta, dicendo che avevano ordine di condurlo in esilio.
Sopraggiunse il carceriere e chiese loro:
— Avete la lettera di monsignor Governatore?
— No — risposero quelli.
— E allora andatela a prendere, perché senz’essa, io non vi
consegnerò certamente un arrestato, del quale sono responsabile.
I due birri uscivano, promettendo di tornar tosto
colla lettera di monsignor Governatore. Il carceriere voltosi al Tonelli, gli
disse:
— È necessario prepararsi alla partenza.
— Sono pronto.
— Abbiate pazienza, ma devo ammanettarvi. È un incomodo che
durerà poco e val bene il prezzo della libertà, che ricupererete al confine.
Il delinquente sporse le mani.
Il carceriere gliele legò solidamente in modo che non
potesse svincolarsi.
Passò tutta la notte e i birri non si fecero più vedere. Il
Tonelli, incominciava a comprendere qual sorte l’attendesse e cadde in preda
all’avvilimento. Il mattino seguente, il carceriere, dopo essersi bene
assicurato che il prigioniero era reso all’impotenza assoluta, gli annunziò che
doveva essere impiccato, e quegli si mostrò rassegnato.
Ma frattanto era accaduto un caso ben singolare.
La sera innanzi mentre doveva rizzarsi il patibolo, non si
trovarono più, né il carnefice, né il suo aiutante.
Cercali di qua, cercali di là, non fu dato rinvenirli.
La moglie del boia si presentò allora a monsignor Fiscale e
dichiarò d’esser disposta ad adempiere le funzioni di suo marito, il quale, non
essendo stato precisamente avvertito, s’era forse allontanato da Roma, per
qualche improvviso affare.
Forse le minaccie del Tonelli v’entravano per qualche cosa.
Monsignor Fiscale, per quanto gli sembrasse la cosa
anormale, acconsentì che la moglie del carnefice facesse i suoi preparativi per
l’esecuzione. Sperava che prima di giorno le indagini ordinate per trovare il
boia, sarebbero riuscite.
La donna si disimpegnò perfettamente; senza aiuto di sorta
eresse il patibolo, il quale venne visitato e trovato in eccellenti condizioni
di solidità.
Sull’albeggiare, essendo riuscite vane tutte le ricerche,
monsignor Fiscale si fece venire innanzi la moglie del boia e le chiese:
— Ti senti tu veramente capace di supplire tuo marito
nell’esecuzione?
— Monsignor sì.
— Senza aiutante?
— Monsignor sì.
— Sai che se non ti venisse fatto, o si prolungasse di
soverchio l’esecuzione, ti esporresti ad esser fatta a pezzi dalla folla,
contro la quale, birri e soldati sarebbero forse impotenti a difenderti?
— Lo so.
— E non hai paura?
— Punto.
— Brava. Se tutto andrà bene, mercé tua, tuo marito non
subirà le conseguenze della sua mancanza e rimarrà in carica. A te, poi, darò
una congrua rimunerazione.
Si fece di tutto perché la cosa non trapelasse nel pubblico,
temendosi che la novità sorprendente del fatto avesse a chiamare una maggior
quantità di curiosi.
La carretta uscendo dal carcere, traversò al trotto la via,
circondata da un esercito di birri e soldati. La donna stava dietro il
condannato, fra due confortatori in modo che tornava impossibile vederla. Ma
quando fu giunta a piedi del patibolo e la si vide scendere sorse un immenso
bisbiglio da una parte all’altra della piazza. Tutti i binocoli dei signori si
appuntarono sopra di lei e incominciarono i commenti.
Era una donna di mezzana statura, con una gran foresta di
capelli neri e folti annodata sull’occipite: aveva il collo taurino, l’occhio
lampeggiante; le maniche della veste rimboccate al disopra dei gomiti le
lasciavano scorgere le braccia brune e muscolose.
Non appena scesa dalla carretta spinse il paziente sulla
scala annodandogli al collo la corda piccola, e afferrata l’altra più grossa
detta di soccorso salì sulla seconda scala, ratta come un lampo. L’enorme
sorpresa del pubblico a quella vista non aveva per anco avuto tempo di tradursi
in alcuna manifestazione, che il corpo del Tonelli già penzolava dalla forca,
sbalzato da un’energica spinta nel vuoto, coi piedi della donna appoggiati
sulle spalle, e un ben assestato colpo di calcagno gli spezzava il collo alle
vertebre cervicali.
Fu l’affare di pochi secondi. Mai un’esecuzione, per
impiccagione, era stata più rapida, più fulminea e più sicura.
Compiuta l’operazione la moglie del carnefice risalì sulla
carretta che la ricondusse alle carceri, con la stessa sollecitudine con cui
era venuta, sempre circondata da una moltitudine di birri e di soldati.
Intanto erano incominciati i commenti nella folla; due
partiti si erano lì per lì formati. C’erano quelli che avrebbero voluto portare
in trionfo la esecutrice e quelli che avrebbero voluto seguirla e farla a
brani. D’ogni parte insorgevano litigi e si veniva alle mani. Indarno i birri
rimasti cercavano di frapporsi e di sedare il tumulto.
Dovette uscire dal Castello Sant’Angelo un forte
distaccamento di soldati, i quali, chiusi i cancelli, si avanzarono sulla folla
coi moschetti spianati. Allora seguì un fuggi fuggi generale. Molti furono
buttati a terra e calpestati. Chi perdette il ferraiuolo, chi il cappello, chi
la parrucca, chi la spada. E ci volle del bello e del buono perché la
tranquillità e l’ordine si ristabilissero.
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