XI.
Barbari sistemi di
giustizia.
Un capitolo a sé meritano i vari supplizi ai quali erano
sottoposti i condannati dalla giustizia papale.
Una domenica di luglio del 1581 un fanatico Inglese, venuto
a Roma con alcuni compagni della nazione medesima, per fare atto di sfregio al
cattolicismo, mentre un sacerdote celebrante alzava l’ostia consacrata, gli si
gettò sopra per strappargliela. Non essendo riuscito, afferrò il calice e ne
disperse al suolo il contenuto. Il popolo indignato lo investì, lo percosse, e
fu finalmente condotto alle carceri dell’Inquisizione. Fu condannato a morte e
mentre lo conducevano al patibolo gli si inferivano dei colpi con torce accese
di modo che le carni del paziente bruciavano, esalando un lezzo, nauseante.
Nondimeno resistette impassibile e morì da forte.
Durante la processione del Santissimo Sacramento, fatta dai
frati di Sant’Agata, un altro inglese, fanatico luterano, volle gettarlo a
terra, ma non riuscì, perché i fedeli ne lo trattennero e consegnaronlo
all’Inquisizione. Era un giovane di 30 anni, maniaco. E nonpertanto lo
condussero in carretta innanzi alla chiesa e quivi gli furono tagliate le mani,
poi a Campo di fiori, bruciandogli per via le carni colle torce, come
all’altro, e quivi finalmente arso vivo.
Eppure anco il rogo par pena mite in confronto d’altre che
si prodigarono agli eretici. Narra Giovanni Rucellai d’aver veduto nel 1450 due
donne murate in due pilastri della chiesa di San Pietro.
Nel celebre processo che portò al patibolo il Carnesecchi
furono condannati ad essere murati in vita «Girolamo Guastavillani gentiluomo,
Filippo Capiduro causidico, Ottaviano Fioravanti, mercante bolognese, e
Girolamo Dal Pozzo faentino». Un secolo più tardi questa atrocissima pena
vigeva ancora.
La frustatura, applicavasi, quasi per sollazzo del popolo,
alle meretrici.
Questa solevasi infliggere, specialmente quando le
prostitute venivano meno al divieto loro imposto di portar la maschera, durante
il carnevale. Ed era uno dei più grati divertimenti che si potesse offrire alla
plebe romana.
Il bargello soleva scegliere le più famose e più note, le
quali denudate erano fatte correre per la via del Corso, mentre il bargello e i
suoi aguzzini le colpivano con delle verghe, fra gli schiamazzi del popolo
addensato e delle maschere. Celebre fu la frustatura della «Cecca-Buffona»
colta in un legno al Corso, mascherata, insieme ad un domestico della
Ambasciata Cesarea (austriaca) per la quale intercesse indarno l’ambasciatore
stesso. E parimente quella di «Joanna, la spagnuola» seguita un secolo dopo.
Ma non ne andavano immuni neppure altri poveri diavoli
accusati di piccoli reati. Il mercoledì mattina, reca un foglio degli Avvisi
di Roma del 10 febbraio 1635, fu frustato per la città un tale, imputato di
falsa testimonianza. Aveva un compagno che doveva subire la stessa pena. Ma
quando il carnefice fece per legargli le mani, per sottrarvisi, tentò di
ammazzarsi e si ferì con un coltello al collo. Questo atto inconsulto gli
fruttò due anni di galera e non lo sottrasse alla frustatura, la quale gli fu
inflitta non appena risanato dalla ferita, circa 20 giorni dopo.
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