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Anonimo
Mastro Titta, il boia di Roma

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  • Appendice     Le giustizie a Roma
    • XIV. Atrocità moderne: un’esecuzione elettrica.
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XIV.

Atrocità moderne: un’esecuzione elettrica.

 

Le barbarie dei supplizi di cui Mastro Titta andava leggendo faceva si che egli si accendesse di giustissimo sdegno vedendo l’arte sua così maltrattata. Ma dopo un secolo e mezzo, abbiamo noi di molto progredito?

Se si badasse soltanto alle esteriori parvenze si dovrebbe rispondere affermativamente; ma se si esamina profondamente la questione si trova, che nella vantata civiltà odierna c’è, per quanto concerne questo doloroso argomento, un tessuto di ipocrisia.

La folla che assiste alla esecuzione di una sentenza di morte è un controllo, un freno ed una salvaguardia. Noi abbiamo veduto in queste pagine il popolo fremere e minacciare il carnefice maldestro, che faceva soffrire il paziente. Ma che ne sappiamo noi di ciò che avvenne nell’interno di un carcere, o di una torre, dove tutti coloro che vi assistono sono cointeressati ad occultare la verità? Alcuni anni fa il carnefice di Vienna, prolungò il supplizio di un disgraziato in modo orribile e un grido di indignazione si sollevò contro di lui in tutto il mondo civile, perché pubblica era stata l’esecuzione. Ma sappiamo noi a quali pene orrende può aver soggiaciuto l’infelice Guglielmo Oberdan, impiccato a Trieste, forse da quello stesso carnefice, in un cortile del carcere, agli incerti chiarori di un’alba fosca?

Che più?

I giornali americani recarono in questi giorni un racconto del supplizio di Kemmler, assassino della propria amante, seguito a New York col nuovo sistema dell’elettricità, che supera per ferocia fredda e per l’orrore che desta, tutti gli impiccamenti, gli squartamenti, le decapitazioni, gli attanagliamenti, la ruota stessa in uso nell’età di mezzo, la cui descrizione ci faceva rizzare i capelli in capo.

Ne riferiamo qui la storia, ne’ suoi terribili particolari, perché serva di termine di confronto.

Oh! è ben mille volte preferibile Mastro Titta, che uccidendo legalmente 514 persone, non ne fece soffrire, più del necessario, una sola, a questi umanitaristi che assistono, scientificamente, impavidi e cinicamente immobili allo strazio di un uomo, dotato di un coraggio sopranaturale, quasi esperimentando in corpore vili un trovato imperfetto per dar morte.

William Kemmler aveva trent’anni ed era nato a Filadelfia, da una famiglia tedesca protestante. Da ragazzo fu mandato a scuola, ma il padre lo ritirò presto per farsi aiutare nel suo mestiere di macellaio. Cresciuto, Kemmler servì come garzone macellaio presso diversi padroni e finalmente diventò negoziante di frutta e di verdura; fu allora che annodò con certa Matilde Zeigler quella relazione che è stata la causa della rovina d’ambedue.

Nel 1888 egli sposò a Chamden una donna chiamata Poster, che abbandonò dopo due giorni per fuggire colla Ziegler. Essi si recarono a Buffalo, dove si stabilirono nel peggior quartiere, menando una vita disordinata di orgie continue, uno da una parte e l’altra dall’altra, non trovandosi insieme che per litigare e battersi.

Il Kemmler non poteva più continuare a vivere con quella donna, che gli rubava tutti i denari per andarli a sciupare con altri uomini.

Il 29 marzo 1889, tornando a casa ubbriaco, egli la ritrovò in atto di preparare un lunch e la rimproverò della relazione che manteneva con uno spagnuolo. Poi, riscaldandosi sempre più prese un accetta e le spaccò la testa: quindi la tagliò tutta a pezzi e uscì.

La sentenza che lo condannava a morte fu pronunziata il 9 maggio dello stesso anno. L’esecuzione, ritardata per la discussione sorta sull’opportunità di servirsi dell’elettricità ebbe luogo la mattina del 6 agosto 1890.

A sei ore e mezza in punto la porta della camera di esecuzione si aperse e apparve la persona del guardiano Durston.

Dietro di lui si videro un uomo di bassa statura, dalle larghe spalle, e dalla folta barba, accuratamente pettinato e vestito di un abito completo nuovo.

Era Kemmler il condannato.

Lo seguiva il cappellano.

Kemmler era senza dubbio il meno commosso dei tre. Egli osservava la camera con interesse speciale. Ma provò un breve fremito quando la porta si rinchiuse dietro di lui.

— Volete favorirmi una sedia? — disse laconicamente.

Il guardiano gli porse una sedia di legno che egli collocò davanti, un po’ a destra della poltrona d’esecuzione, in faccia ai ventisette testimoni, riuniti nell’angusta camera.

Kemmler vi si pose a sedere tranquillamente e volse uno sguardo intorno a sé, poi dall’alto al basso, senza dar segno né di paura, né di preoccupazione.

Pareva quasi che fosse contento di servire in quel momento da soggetto di studio.

— Quest’uomo, signoridisse il guardiano — è Guglielmo Kemmler, gli ho detto che andava a morte e che se avesse qualche cosa a dire, dovrebbe farlo.

Kemmler, che pareva avesse preparato un discorso disse:

Benissimo. Io auguro ogni fortuna a tutti in questo basso mondo. In quanto a me credo di andare in un buon posto. I giornali hanno pubblicato sul conto mio un’infinità di cose non vere. Ecco ciò che ho da dire.

Kemmler voltò le spalle al giurì, si levò l’abito e lo diede al guardiano. I suoi pantaloni erano stati tagliati all’estremità del dorso, per modo che si potesse vedere la base della colonna vertebrale.

Kemmler mosse poi qualche passo slacciandosi la sottoveste; ma il guardiano lo avvertì che poteva tenerla, ed egli se la riabbotonò tranquillamente.

— Non vi turbate, disse il guardiano al paziente. Ma non ce n’era proprio bisogno, perché Kemmler era più calmo di tutti gli astanti.

Fu fatto sedere nella poltrona elettrica ed egli lo fece colla massima indifferenza come se si fosse trattato di porsi a tavola.

Si incominciò subito a passargli le corregge di cuoio intorno al corpo; Kemmler porgeva da sé le braccia ai legami.

Quando le corregge furono strette, il giustiziando disse:

Guardiano fate a comodo vostro. Non vi affannate; state certo che mi troverete sempre pronto.

Il guardiano mise la mano sulla testa di Kemmler e la fermò contro la lamina d’ottone che guarniva la spalliera della sedia.

Il paziente disse ad alta voce:

Perfettamente. Vi auguro buona fortuna.

Lo sceriffo Vieling abbassò l’elmo d’ottone, il quale premette la spugna che conteneva contro la sommità del capo.

— Vi assicuro che potreste spingere maggiormente, se vi giovasse, disse Kemmler.

Si ottemperò al consiglio.

Il guardiano Durston prese le corregge che dovevano serrare la testa di Kemmler.

Durante l’operazione il dottor Spizka disse:

Dio ti benedica, Kemmler.

Grazie, rispose il condannato.

Il coraggio di Kemmler era sorprendente. Egli conservava nella poltrona fatale la stessa calma colla quale era entrato nella camera.

Il dottor Spitzka, rispondendo alla domanda del guardiano carceriere, assicurò che tutto era finito.

Pronto! — ripetè Durston e aggiunse:

Addio.

Poi andò verso la porta, la semiaperse e disse a qualcuno che si trovava di :

— Tutto è pronto. —

La corrente elettrica fu stabilita. Il corpo sussultò violentemente e le membra si rattrassero. I muscoli del viso rivelarono lo spasimo del paziente, ma non si udì il più piccolo grido. Il corpo rimase 17 secondi irrigidito.

Il giurì e i testimoni, si alzarono frettolosamente in quel punto e circondarono la seggiola elettrica.

Il dottor Spitzka, ordinò di sospendere la corrente elettrica dicendo:

— È morto.

— Sì, è morto, ripeté il dottor Mac-Donald, con sicurezza.

Gli altri presenti erano del medesimo parere. Nessuno dubitava della morte di Kemmler.

Il dottor Spitzka, fece osservare che il naso del giustiziato era teso, prova evidente della sua morte.

Nessuno lo contestava.

Toglietegli l’elmo, disse il dottore, si può portare il corpo allo spedale.

Il dottor Busch, che esaminava attentamente il corpo del paziente, richiamò l’attenzione del dottor Spitzka sopra una macchia rossa che scorgevasi in una mano. Erano gocce di sangue.

— Si ristabilisca la correntegridò il dottoreKemmler non è morto.

Ma la corrente non poté essere ristabilita subito.

Si videro allora cose orribili.

La schiuma colava dalle labbra di Kemmler.

Un leggero alito sembra uscirgli dalla bocca.

Il petto si sollevava.

Si contorceva spaventosamente.

Quando la corrente fu ristabilita, si sprigionò dal corpo un vapore bianco, con una puzza orribile.

Il cadavere di Kemmler bruciava.

Si capì che bisognava interrompere la corrente.

La corrente fu interrotta.

Questa volta Kemmler era ben morto.

Divulgatasi per New-York la notizia di questo nefando supplizio, fu una protesta generale contro l’esecuzione elettrica.

Di quattro carcerati che aspettavano lo stesso supplizio, risaputone l’esito, due impazzirono e si dovette trasportarli al manicomio: gli altri due indirizzarono una fervida supplica al presidente degli Stati Uniti, perché li facesse appiccare.

Non aggiungeremo commenti a questa esposizione di fatti, che è di per se stessa eloquente.

 

 

 

 




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