XVII.
Violazione di una promessa
sposa.
Il 30 marzo del 1805 dovetti recarmi a Fermo, l’antica
capitale delle Marche, per impiccarvi un giovane di buona famiglia che aveva
commesso un assassinio ed uno stupro: l’assassinio in persona del padre dell’ex
sua promessa sposa, lo stupro in persona di lei medesima. Luigi Masi era il suo
nome.
Di carattere estremamente violento, si era innamorato di
Elvira Placenti, figlia di un merciaio che teneva negozio in piazza di Fermo, e
dopo averla per parecchio tempo corteggiata le chiese in isposa al padre, il
quale acconsentì, a patto che prima del matrimonio si procurasse una posizione
stabile. La fanciulla era esperta quanto leggiadra, e avrebbe potuto benissimo,
dopo la sua morte, condurre da sé il negozio. Voleva quindi che il marito
avesse un’altra occupazione.
Luigi, apparteneva, come dissi, ad agiata, ma numerosa
famiglia e non poteva fare assegnamento sul solo asse paterno per vivere.
D’altronde aveva fama di dissipato e gozzovigliatore. Il tempo e la moglie
l’avrebbero emendato, e di farlo egli solennemente prometteva. Ma il padre
d’Elvira, che era vedovo, ed aveva quell’unica figlia voleva assicurarle la
felicità, perché l’amava come la pupilla degli occhi suoi.
Il Masi, innamorato, promise tutto quello che vollero
l’Elvira ed il suo genitore; ma si guardò bene dal fare quello che aveva
promesso. Però siccome anche la fanciulla era innamorata di lui, su questo
capitolo si sarebbero accordati.
Luigi le prodigava tenerezze infinite e le dava prove
continue di verace affetto. Però, soffriva di gelosia. E questa a poco a poco
diventò un tormento pei due promessi. Stando in negozio, bella com’era, aveva
naturalmente degli adoratori, ai quali non corrispondeva punto, ma che non
poteva cacciar fuori di bottega quando v’entravano col pretesto di fare degli
acquisti.
Di qui una quantità di litigi per parte del Masi, col futuro
suocero, colla promessa sposa e cogli avventori, ch’egli aveva presa la mala
abitudine di provocare. Il padre diceva quindi ad Elena:
— Figliuola mia, Masi non fa per te, bisogna licenziarlo, se
no un giorno o l’altro, va a finir male.
La povera fanciulla ne soffriva; comprendeva la
ragionevolezza delle opposizioni del padre, ma voleva bene al suo Luigi e non
sapeva decidersi a staccarsi da lui. E ripeteva al padre:
— Lo vorrei sposare: una volta che saremo moglie e marito si
cheterà.
Ma il padre non voleva saperne.
Risaputo un giorno che un giovane del paese aitante della
persona, simpatico, intraprendente, mentre egli era andato a caccia, s’era
trattenuto lungamente nel negozio della sua promessa, Luigi andò a farle una
scena terribile e nel bollore dell’ira alzò le mani sopra di lei e sopra del
padre, gridando:
— Sciagurati! Se credete d’ingannarmi v’ammazzo tutt’e due.
Quindi uscì dal negozio, innanzi al quale s’era addensata la
folla, chiamata dal chiasso, andò direttamente dal giovane per provocarlo.
Quegli cercò sulle prime di schermirsi e di dissipare i dubbi gelosi, sorti
nella mente del Masi; ma questi avendolo apostrofato col titolo di vigliacco,
reagì.
Trassero entrambi i coltelli e si fecero un sopra l’altro.
Erano entrambi vigorosi e d’animo invitto e la scena sarebbe finita male, se
per buona sorte, alcuni amici coraggiosi, non si fossero frapposti in tempo per
evitare una catastrofe, mentre i due contendenti non erano riusciti che a
prodursi delle lievi scalfitture.
Ma lo scandalo destò un’eco profonda in tutto il paese. Il
principe arcivescovo, mandò a chiamare il padre di Elvira, e lo ammonì perché
facesse in modo di troncare la relazione fra la sua figliuola e il Masi.
Entrambi, del resto, s’erano già decisi ed il promesso venne licenziato
definitivamente.
Tentò il Masi più volte di far la pace e di riaccostarsi
all’Elvira, anco all’insaputa del padre. Ma non vi riuscì, perché la fanciulla
s’era disgustata e forse già pullulavano nel suo cuore i germi di un novello
amore. Luigi seppe infatti che il giovanotto col quale aveva tentato di fare a
coltellate, frequentava di soppiatto la casa di Elvira. E allora decise di
vendicarsi non di lui, ma dell’ex promessa e di suo padre.
Una sera, sull’imbrunire, Elvira e il Placenti ritornavano
da Porto, ove avevano passata metà della giornata, a Fermo, salendo la costa
che vi conduce. Giunsero a mezza via che era notte fatta, essendosi di
soverchio indugiati. Il silenzio regnava profondo di ogni intorno. Ad uno
svolto della strada, videro un’ombra appostata che al loro avvicinarsi si alzò
e all’incerto luccicare delle poche stelle, riconobbero Luigi Masi. Il cuore
presago avvertì il padre che un pericolo era imminente e spinto dall’affetto
mosse innanzi alcun passo per far schermo alla diletta figliuola.
All’infuori dei tre non v’era anima viva.
Masi si gettò fulmineo sul vecchio e colpendolo
replicatamente, col coltello al petto lo stese morto al suolo. Quindi con pari
rapidità afferrata l’impaurita fanciulla la ferì due volte o tre volte,
lievemente perché la mano gli tremava, commosso com’era dalla passione d’amore.
— Giggi mio, lasciami la vita — gridava l’infelice Elvira.
La sua voce toccante, mutò il corso delle idee del
forsennato. Volle possedere quella fanciulla adorata e abbracciandola a mezza
vita, ad onta delle di lei energiche resistenze, l’addossò alla rupe, nella
quale è tagliata la strada e violentemente l’ebbe.
Arrestato la notte stessa, Luigi Masi confessò il suo
delitto, cercando di giustificarlo coll’accecamento della passione. Ma per
quante influenze ponesse in giuoco la sua famiglia, non potè sottrarlo al
supplizio della forca alla quale fu condannato.
Morì pentito e munito dei conforti religiosi, ma non senza
coraggio.
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