XVIII.
La bella — L’abbacchiaro di
Campo de’ Fiori.
Questo processo singolare me ne rammenta un altro che ebbe
luogo in Roma pochi mesi appresso, del quale dirò brevemente, dopo aver
menzionate le esecuzioni che operai fra l’uno e l’altro.
Avvertii già come l’imperversare del malandrinaggio alle
porte di Roma inducesse l’autorità ad una sorveglianza molto più attiva.
Vennero infatti colti sullo scorcio di maggio dai birri di campagna fuori di
Porta Angelica, nei pressi di Monte Mario, i due grassatori Filippo Mazzocchi e
Giuseppe Guglia, che io impiccai a Ponte Sant’Angelo e squartai il 10 giugno;
Nicola Alicolis, che impiccai e squartai io stesso il 1° ottobre alla Merluzza
e Santino Moretti, parimenti condannato alla forca, poi allo squartamento.
Questa esecuzione l’operò il giorno medesimo il mio aiutante al Ponticello,
fuori di Porta San Paolo, essendo io occupato alla Merluzza. Nel frattempo io
ero stato il 4 settembre a Iesi per impiccarvi il fratricida Sebastiano Spadoni
e il 23 pur di settembre a Civitavecchia, per impiccarvi Luigi Giovansanti, un
forzato che aveva ucciso nel bagno un altro forzato.
Il giorno 9 ottobre compii, dunque, un’altra esecuzione, che
destò grandissimo rumore per il movente del delitto, l’amore e la gelosia, come
per il Masi di Fermo, e per l’autore del misfatto, Gioacchino quondam
Bernardino Rinaldi, abbacchiaro ne’ pressi di Campo de’ Fiori. E appunto a
Campo de’ Fiori, per esemplarità maggiore, ebbe luogo il supplizio.
Gioacchino Rinaldi era uomo sulla quarantina, piuttosto
inoltrata. Rozzo della persona, della fisonomia e delle maniere, ma molto ben
provveduto di roba e quattrini, aveva condotto in moglie una bellissima ragazza
di Trastevere, di nome Giacinta, la quale aveva ceduto alla volontà de’
parenti, più che alla sua inclinazione, sposandolo.
Giacinta non sentiva una decisa avversione pel marito, lo
tollerava, ad onta della sua bruttezza e gli si mostrava grata per le finezze
che le prodigava: abiti costosissimi, gioielli preziosi, e quanto al
trattamento alimentare: bocca che cosa vuoi? Ad onta della provetta sua età
Gioacchino era ancora robusto e fervente nelle lotte genetiche. Tanto che la
sposa gli era uscita quasi subito gravida. Una donna che avesse avuto soltanto
degli appetiti materiali, avrebbe potuto appagarsi ed essere felice con lui.
Disgraziatamente Giacinta sapeva d’essere bella, poiché glie
l’avevano detto mille volte i più simpatici, garbati e galanti giovanotti di
Trastevere.
I suoi occhi mori, tagliati a mandorla a volte languidi e
irrorati, stillanti di voluttà, a volte fosforescenti e saettanti di passione;
la sua piccola bocca rossa, sanguigna, fra le cui labbra spiccavano denti candidi,
aguzzi come quelli di un sorcetto, fatti per dar baci e morsi, dolci del pari;
il suo bel viso ovale, dalla pelle bruno-dorata, più morbida del velluto; il
suo collo rotondo e grassottello; la sua testa vezzosa, dai capelli neri e
ricciuti; le sue piccole orecchie rosee e diafane, incitanti a sussurrarle
soavi parole d’amore; la sua superba persona, slanciata, snella e pur densa e
pasciuta, dal petto torreggiante, dalle anche poderose ed ondeggianti
nell’incedere; le sue mani bianche e levigate; i suoi piedi arcuati e duttili,
avevano già suscitati desideri cocenti e provocate delle dichiarazioni alle
quali non era rimasta sempre insensibile. Molti minenti e molti paini le
avevano fatto una corte assidua esaltando il suo spirito, già per natura mobile
e fantasioso.
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