XXII.
Scoperta, processo, condanna ed
esecuzione.
Il malandrino non si era ingannato; pochi momenti dopo
giungeva sul teatro della grassazione una pattuglia di birri a cavallo, i quali
sciolsero i tre legati e domandarono loro i particolari del fatto.
Il Corriere del Papa e il Conte di Lavello esposero agli
agenti della legge ciò che era accaduto, asserendo che doveva trattarsi di una
grossa banda, capitanata dall’audace e temerario aggressore del quale erano
rimasti vittima.
Solo la corrispondenza di cui era latore era stata salvata
dall’accorto Corriere, il quale se n’era cacciato il piego nel fondo de’
calzoni, mentre il Conte lottava col brigante.
L’interrogatorio del cocchiere riuscì molto più
interessante,
— Siete pratico del paese? — gli domandò il bargello di
Macerata, che era venuto coi birri.
— Perfettamente.
— Avreste qualche indizio a fornire?
— Ne ho più d’uno.
— Conoscete forse il capobanda?
— Come conosco voi.
— Ed è?
— Paolo Salvati.
— La paura vi ha posto le traveggole. Paolo Salvati,
incalzato da tutte le parti ha sciolto la sua banda ed è passato nel regno di
Napoli.
— Non dubito delle vostre affermazioni signor bargello, ma
io sono sicuro che ci ha aggredito Paolo Salvati.
— In tal caso non poteva che essere solo; se avesse
riordinato la sua compagnia brigantesca, se ne avrebbe avuto già sentore.
— L’avevo già riconosciuto a Porto Recanati, mentre ci siamo
soffermati a Caval Marino per berne una bottiglia, lo vidi dietro le griglie
della finestra superiore.
— E perché non ne avete dato avviso all’Autorità?
— Contavo di farlo non appena giunto a Macerata.
— E come mai non avete prese delle cautele prima di partire?
— Come potevo immaginare, con due cavalli di quella fatta,
che egli sarebbe riuscito a superarci? Io lo supponevo diretto verso Ancona.
— Sta bene. Ma, ad ogni buon conto, io ti dichiaro in istato
d’arresto. Monsignor Fiscale disporrà di te.
Seguendo gli ordini del Bargello, i birri staccarono il
cavallo ucciso dalla sedia di posta, e vi sostituirono uno dei loro. Quindi
fatti salire i due viaggiatori nel legno, uno dei birri si collocò a cassetta,
allato del cocchiere, rimasto affidato alla sua custodia, e la sedia partì.
— Bisogna andar subito a Porto Recanati, disse poi il
Bargello ai birri rimastigli. Scommetto che Salvati ci è tornato. Deve aver
avute delle informazioni precise per tentare un simile colpo. Forse riusciremo
a sorprenderlo coi complici.
Ben s’appose l’astuto Bargello.
Paolo Salvati, compiuta l’aggressione tornò a Porto
Recanati: con un leggero sibilo chiamò il campagnuolo, che altri non era se non
uno dei più famosi manutengoli, e in men che non dicasi il masnadiero e la
bisaccia del bottino, avevano preso il loro posto nella camera dell’albergo del
Caval Marino. Inutile dire che la bisaccia aveva subito una notevole
diminuzione, perché Salvati aveva già riposta la propria parte e quella dei
suoi supposti compagni in luogo sicuro.
Il brigante s’era cacciato fra le coltri e dormiva
profondamente, riposando delle sue onorate fatiche, quando il Bargello e i suoi
birri, ingrossati di numero, da quelli raccolti in Recanati, giunsero
all’albergo del Caval Marino e ne prendevano in custodia gli accessi.
Menicuccio che apriva allora il negozio, fu molto sorpreso
della loro comparsa, e al Bargello che lo interrogava rispondeva, non esservi
nella sua locanda, che due onesti viaggiatori, giunti il giorno innanzi.
Il Bargello salì alla camera superiore e trovatala aperta
entrò pian piano. Ma invece di due viaggiatori ne trovò un solo: Paolo Salvati
dormente nel suo letto. L’altro letto era disfatto.
Indispettito si gettò sul dormente e cercò di allacciarlo;
ma il Salvati svegliato di sorpresa, riuscì a mettersi sulla difesa e impegnò
una lotta accanita. Vedendosi sopraffatto, il bargello chiamò aiuto. Allora
Salvati presi i suoi panni si gettò giù dalla finestra e prese a fuggire
tentando di guadagnare la via dei campi. Ma fu presto raggiunto dai birri
appostati e dal Bargello, che prontamente riavuto, non voleva lasciarsi
scappare la preda.
Il manutengolo se n’era già andato prima, mentre Salvati
dormiva, colla valigia, temendo di doverne ripartire il prodotto.
Paolo Salvati portava ad un dito un anello con brillante
solitario, tolto al conte di Lavello e questa fu una prova schiacciante del
delitto, la quale aggiunta alla testimonianza del cocchiere gli procurò una
sentenza di impiccagione.
L’esecuzione fu una delle più famose che io abbia operate.
Accorsero per assistervi una folla immensa da tutti i paesi delle Marche, non
solo, ma anco da Roma, attratti dalla fama del brigante, dai particolari
dell’audacissima grassazione e dal fatto che ne era stato vittima un Corriere
del papa, il quale accompagnava un personaggio di qualità e d’importanza, come
il conte di Lavello.
Esortato a pentirsi dei suoi misfatti e regolare i suoi
conti colla eterna giustizia, Paolo Salvati rispose:
— Mi pento d’esser caduto nella tagliola come un leprotto.
E respinse confessore e confortatori.
Conducendolo al supplizio, la sua alta figura torreggiava
sulla carretta. Giunto al palco, girò uno sguardo schernitore sulla folla, poi
porse da sé il collo al capestro.
Lo squartamento mi riuscì bene, ma non ebbi a faticar poco:
pareva ch’avesse muscoli d’acciaio.
Vent’otto giorni dopo dovetti recarmi in Amelia, per
impiccarvi e squartarvi un altro grassatore. E fu il 20 maggio 1806. Pasquale
Rostelli era il suo nome, le sue gesta comunissime. Volgarissimo ladro da
strada, soleva aggredire carrettieri, contadini, gente insomma da pochissimo
conto e sovente gli veniva fatto di ammazzare un uomo per togliergli pochi
baiocchi.
Sorpreso dai birri, si gettò piangente ai loro piedi,
invocando pietà; lui che non ne aveva mai avuta per nessuno! Ammanettato e
legato colle mani dietro le reni, venne tradotto in Amelia e sottoposto a
procedimento.
Confessò gli innumerevoli suoi delitti, e gli assassinii
commessi spesso per un semplice tozzo di pane, che avrebbe potuto chiedere per
carità.
Annunziatagli la sentenza di morte, cadde in una specie di
letargo, per trarlo dal quale bisognò ricorrere ai più poderosi eccitanti e
giunse al patibolo più morto che vivo. Morì ignobilmente, come ignobilmente
aveva vissuto.
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