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Anonimo Mastro Titta, il boia di Roma IntraText CT - Lettura del testo |
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XLVI. Un cameriere zelante.
Trascorsero due mesi prima che dovessi esercitare di nuovo le mie funzioni; né, per dire la verità, me ne rammaricavo, perché nella stagione estiva il mestiere diventa più faticoso e più difficile, specie nelle impiccagioni e negli squartamenti. Il 19 luglio mi fu commessa la decapitazione di Agostino Del Vescovo, che aveva assassinato proditoriamente il suo padrone, un prete abitante a San Pietro in Vincoli. La faccenda era andata come mi faccio a narrare. Agostino Del Vescovo era un giovinotto dedito ad ogni maniera di vizi; giocatore, ubriacone e maniaco per le donne, s’era sciupato i quattrini che aveva ereditato da suo padre, senza mai pensare a dedicarsi ad un’arte o ad una professione purchessia. Restato al verde visse, un po’ di tempo contraendo debiti d’ogni parte. Ma venne il giorno in cui non trovò più credito e la sera si coricò senza aver rotto il digiuno. A ventre vuoto non si dorme bene e Agostino passò la notte insonne, ma non infruttuosa; non infruttuosa perché meditò profondamente ciò che gli tornasse conto di fare. Alla mattina appena levatosi andò in una chiesa vicino al suo domicilio e trovò modo di aprire la cassetta per le elemosine, donde trasse di che vivere per parecchi giorni. Ma non per questo lasciò la chiesa. Con franchezza e sangue freddo ammirabili, vi si fermò ed ascoltò tre o quattro messe, inginocchiato colla maggior compunzione innanzi all’altar maggiore. All’indomani ritornò e così per una settimana di seguito, a capo della quale dovette ripetere la ripulitura della cassetta delle elemosine, perfettamente riuscitagli. Quel giorno si confessò e si accostò alla mensa eucaristica. La sua devozione incominciò ad essere notata, ma neppure il più piccolo sospetto cadde sopra di lui. Allora domandò il permesso di servire la messa e in breve diventò il chierico più influente della parrocchia. Fra i celebranti c’era un buon prete che viveva solo ed aveva preso a simpatizzare col Del Vescovo. — Che mestiere fai? — gli domandò questo prete. — Non ne ho alcuno. Mio padre e mia madre sono morti da poco tempo e i parenti mi hanno mangiato tutto. — Poveretto! E come vivi? — Vivo prestando servizio a chi me ne chiede e facendo delle commissioni. — È una vita non molto comoda, né lieta. — Tristissima; ma d’altronde come si fa? Dio ha voluto così e mi rassegno alla sua santa volontà. Forse sarà per il bene dell’anima mia. — Senti, se io ti procurassi il posto di... di cameriere, d’uomo di fiducia insomma, presso un signore solo, l’accetteresti? — Se l’accetterei, don Asdrubale? Altro che accettarlo. Mi parrebbe una fortuna immeritata. — Ebbene, se ti piace, ti prendo con me. Il domestico che avevo prima è tornato al suo paese, lo sostituirai. Agostino afferrò la mano del prete e baciatala colla maggior emozione, se la portò al cuore ed esclamò: — Don Asdrubale è la via del paradiso che voi mi aprite. Sarò poco esperto, ma ubbidiente e fido come un cane. Il giorno dopo Del Vescovo non aveva più bisogno di aprire le cassette dell’elemosina per vivere. Era entrato al servizio di don Asdrubale; aveva una camera linda e pulita nella sua casa: venti scudi di anticipazione per far le spese della cucina, le chiavi della cantina e della dispensa del prete; vitto, alloggio e dieci scudi al mese di salario. Don Asdrubale volle anche che si prendesse una serva per gli uffici più bassi, lavare i piatti, sprimacciare i letti, scopar le camere, attinger l’acqua e via via. A breve andare Agostino era diventato il maestro di casa, per non dire il padrone addirittura. Don Asdrubale, amava la buona cucina e Agostino la faceva in modo insuperabile. Don Asdrubale amava la buona bottiglia e Agostino sapeva scovare le migliori botti dei castelli; don Asdrubale non era insensibile alle grazie muliebri e Agostino gli portava sempre qualche nuova penitente giovane e leggiadra, qualche pecorella traviata da ricondurre sul retto sentiero. Fra prete e cameriere avevan luogo dei dialoghi di questo genere: — Agostino, non si è vista più quella tortorella che è venuta qui a confessarsi da me, due settimane fa. — Non s’è più fatta viva. — Perché mai? — Don Asdrubale le avrà toccato il cuore e non avrà più peccati da emendare. — Peccato. Era tanto carina. — Se don Asdrubale permette, domani gliene presenterò un altra; una orfanella di sedici anni, graziosa come un amore, che ha bisogno di una guida spirituale, per resistere ai seduttori che le vengano intorno da mane a sera. — Bravo Agostino! Conducila qui che le daremo dei buoni consigli. — Gli è che si trova in miseria e don Asdrubale sa come la miseria sia una cattiva consigliera, specie per le fanciulle leggiadre. — Vedremo d’aiutarla, per quanto ci consentono le nostre forze, poi le faremo ottenere dei sussidi. — La ringrazio anticipatamente in suo nome. Dio le renderà merito.
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