Silvio Pellico
Dei doveri degli uomini

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AVVERTENZA

 

Procaccia pure che la tua favèlla sia grata per la buona scelta delle espressioni e per l'opportuna modulazione della voce. Chi parla amabilmente allètta quelli che l'ascoltano, e quindi, allorchè tratterassi di persuaderli al bène o rimuoverli dal male, avrà più potenza su loro. Siamo obbligati di perfezionare tutti gli stromènti che Dio ci per giovare a' nostri simili; e quindi anche il mòdo di significare i nòstri pensièri.

PELLICO: Doveri

 

 

Fra i molti vizi di pronunzia della lingua italiana che odonsi di continuo in bocca d'Italiani e che andremo brevemente accennando, il più grave di tutti, a parer nostro, si è quello di non saper dare alle vocali e ed o, e alle consonanti s e z i loro giusti suoni. - Nel qual vizio mai non cadono i Toscani ammaestrati dalla balia, che in questa, come in altre cose di lingua, la sa più lunga assai dei grammatici colle loro regole ed infinite eccezioni.

Avendo infatti le due vocali e ed o un suono aperto e l'altro chiuso, e le due consonanti s e z un suono dolce ed uno gagliardo, per lo scambio di questi suoni le parole italiane di cui quelle lettere fanno parte, non solamente perdono quel grado di forza e di dolcezza che è loro proprio, ma spesso ricevono un significato contrario al senso del discorso ed alla intenzione dello scrittore.

In prova di ciò, prendansi per esempio le parole accetta - botte - razza - fuso nelle quali entrano le quattro lettere prenotate.

Se si pronunzierà la e della parola accetta come suona nei monosillabi me te ecc., cioè stretta, questa parola indicherà lo strumento da spaccar legna; se invece sarà pronunziata larga la vocale e come in spera, sfera, primavera, in tal caso la parola accetta sarà la terza persona singolare del presente indicativo dal verbo accettare.

Pronunziando l'o di botte come in Roma, domo ecc., vale a dire stretto, quel vocabolo vorrà significare il vaso di legno cerchiato entro cui il vino si conserva; laddove se daremo alla vocale o il suono largo come in folle, molle, estolle, la parola botte sarà il plurale di botta che significa percossa, e anche animale simile alla ranocchia.

Se alla z della parola sarà dato il suono dolce come in zanzara, pranzo, romanza, e come se fosse preceduta da un d e scritto dzandzara, prandzo, romandza, la parola razza che suonerà come radza significherà il pesce di tal nome; se poi la z sarà pronunziata gagliardamente come in mazza, piazza, ragazza e come se avesse innanzi un t e fosse scritto matza, piatza, ragatza, il vocabolo tolto ad esempio indicherà schiatta, generazione, specie, ecc.

Riscontrasi pure doppio senso nella parola fuso, secondo che la s sarà pronunziata dolce o gagliarda.

Si dirà pronunziata dolce la s quando suona come in sposo, vaso, ecc., e in questo modo la parola fuso sarà il participio passato del verbo fondere; indicherà poi quell'oggetto che serve a filare se la s sarà pronunziata gagliarda come in so, sospiro, sostegno, ecc.1

A togliere adunque che nel corso di questo libro, il quale viene ristampato dalla Società Editrice Italiana per la utilità dei giovanetti, incorrasi in tali sbagli di pronunzia, abbiamo reputato opportuno (come fece il Thouar nelle sue Letture) d'indicar con segni i vari suoni di cui son capaci le lettere sopraddette, ponendo cioè l'accento grave (`) su tutte le e e gli o di suono largo e lasciando senza accento queste due vocali quando vanno pronunziate strette, e presentando in carattere corsivo le s e le z di suono dolce per distinguerle da quelle di suono gagliardo.

E siccome i giovanetti e tutti gli stranieri che si danno allo studio della lingua italiana inciampano spesso, massime nelle parole sdrucciole, per non sapere quale sia la vocale della sillaba su cui cade l'accento, e dall'eccettuarne una piuttosto che un'altra cangia affatto il senso della parola, come in ábitino e abitíno, bália e balía, cántino e cantíno, víolino e violíno, néttare e nettáre, ecc.; così a toglier ogni dubbio in questi casi abbiam posto l'accento acuto (¢) sulla vocale su cui deve cadere l'accento, affinchè sia reso il giusto significato delle parole impiegate dallo scrittore, lasciandovi però il grave ogni qual volta l'accento e il suono largo concorrano nella vocale stessa.

In quanto poi agli altri vizi dei quali abbiam detto di voler far cenno, giova rammentare che non si deve pronunziare alla francese l'u italiano scambiarlo col v o coll'o dicendo vuomo invece di uomo, pusto, punte invece di posto ponte, ecc.; dare all's il suono della z e viceversa, pronunziando contessa per contezza, ricchessa per ricchezza, ecc.; mutare il c in s nelle parole uscenti in sce sci, dicendo rincresse per rincresce, pesse per pesce, messi per mesci riessi per riesci, ecc.; oscurare il g nei vocaboli che terminano in gna, gne, gno, come bisogna, campagne, compagno, facendoli quasi suonare come se fosse scritto bisonia, campanie, companio.

Sta poi anche bene il ricordare lo scambio che si fa del suono del t con quello del d, e del p con quello del b, pronunziando nobilmende, dolcemende, ecc. esembio, scembio, ecc., per nobilmente, dolcemente, esempio, scempio2.

Indicati così i principali difetti di pronunzia delle parole staccate, crederemmo mancante il nostro lavoro, se colla brevità che ci siamo imposti non dicessimo anche qualche cosa circa la pronunzia delle parole tra loro riunite nel discorso, del giusto colorito di esso, del modo insomma di leggere bene.

Il ben leggere è il primo scalino dell'arte del porgere, la quale può allora trasmutarsi in bella recitazione e declamazione.

«Tutti leggono (dicono Larive e Lemercier), ma pochissimi sanno leggere

E ciò dipende, soggiungiamo noi, dai cattivi metodi che si adoperano coi giovanetti in questa importantissima parte della educazione privata e pubblica.

Imperciocchè tra i vizi che si notano ordinariamente nelle scuole primeggia la cantilena o quell'uniforme alzarsi e abbassarsi della voce che è un vero strazio ai ben costrutti orecchi e un indizio certo che non s'intende e non si sente bene quello che si legge.

Non devono infatti i giovanetti avvezzarsi nella lettura a inflettere la voce a caso, e a modo di abito qualunque collocare gli accenti, ma invece, rispettati i segni ortografici, a porre in rilievo quelle parole che per il loro valore grammaticale e logico meritano di spiccare nelle proposizioni, nelle frasi e nei periodi, e dare in tal modo a ogni parte e all'insieme d'ogni discorso il conveniente colore. - Così e non altrimenti si ottiene nella lettura la musica della parola parlata; e il lettore, facendo chiaramente comprendere e sentire quello che dice, rendesi gradito a chi lo ascolta.

Educando in tal guisa i giovanetti nella lettura di cose adatte alla loro intelligenza, crediamo che con meno sbadigli si addestrerebbero all'analisi grammaticale e logica e alla infinita serie dei complementi dei quali hanno zeppe le grammatiche, e assai meglio di quello che non si faccia con aride regole e stecchiti esempi.

Ma ad ottenere questo utile intento nella lettura fa mestieri por mente ad un'altra cosa interessantissima, vale a dire, di assuefare i giovanetti a contenersi nei giusti confini della propria voce e a non ispostarla mai; perchè, oltre la spiacevolezza del suono, gli sforzi di essa possono nuocere agli organi della respirazione, i quali invece da un ben regolato esercizio ritrar debbono vigore e sviluppo.

è da passarsi sotto silenzio il modo falso d'inspirare ed espirare durante la lettura, alla qual cosa tanto poco badano i maestri, sebbene arrechi danni fisici a chi legge, indebolisca la espressione della parola e produca sgradito effetto negli ascoltanti.

L'inspirazione fuor di tempo o di abituali intervalli fa dei lettori tanti asmatici e rantolosi.

L'unico mezzo per evitare simile sconcio si è di raccomandar sempre ai giovanetti di leggere adagio, d'inspirar poco, spesso e non mai a metà parola e a senso rotto.

Ecco quanto abbiam riputato opportuno di avvertire nella ristampa di questo libro; la cui utilità, se, come speriamo, verrà riconosciuta ed apprezzata, ci sarà sprone ad altri lavori di simil genere.

L. E. Franceschi.


 

Questo discorso è dirètto ad un solo: ma lo pubblico, sperando pòssa èssere utile alla gioventù in generale.

Non è un trattato scientifico, non sono indagini recòndite stai doveri. Mi pare che l'obbligazione di èssere onèsto e religioso non abbia d'uopo di venir provata con ingegnosi argomenti. Chi non tròva tai pròve nella sua cosciènza, non le troverà mai in un libro. È qui una pura enumerazione dei doveri che l'uòmo incontra nella sua vita; un invito a porvi mente ed a seguirli con generosa costanza.

Mi sono proposto d'evitare ogni pompa di pensièri e di stile. Il soggètto sembravami esigere la più schietta semplicità.

Gioventù della mia patria, òffro a te questo picciolo volume, con desidèrio intènso che ti sia stimolo a virtù e coòperi a rènderti felice.

 

 

 





1 Il suono della s e della z che noi con molti chiamiamo dolce da altri è chiamato sommesso, sottile e anche rozzo.



2 In questi difetti e in molti altri che riscontrarsi possono nei trattati di pronunzia, cadono specialmente i Lombardi, i Piemontesi e i Napoletani. - Infiniti poi sono i vizi di pronunzia che provengono dal raddoppiare, e dallo sdoppiare erroneamente le consonanti.



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