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Delle ricchezze.
Religione e filosofia lòdano la povertà quand'è virtuosa, e l'antepongono grandemente all'irrequieto amore delle ricchezze. Nondimeno concèdono potere un uòmo èsser ricco ed avere egual mèrito di quegli òttimi che sono pòveri.
Non abbisogna per ciò se non ch'ei non sia schiavo delle sue ricchezze; ch'ei non le procacci nè le conservi per farne mal uso; ch'egli anzi null'altro vòglia, fuorchè farne uso giovevole a' suòi simili.
Onore a tutte le onèste condizioni umane e quindi ai ricchi! - purchè rivòlgano la loro prosperità a benefizio di molti: purchè i godimenti ed il fasto non li facciano pigri e supèrbi.
Tu verisimilmente rimarrai nella sòrte in cui nascesti: funge dalla grande opulènza come dalla povertà. Non appiglisi mai a te quel basso òdio che rode sovènte i meno ricchi ed i pòveri vèrso i più ricchi. È un òdio che suòl prèndere la gravità del linguaggio filosofico; sono calde declamazioni contro il lusso, contro l'ingiustizia delle sproporzionate fortune, contro l'arroganza de' felici potènti; è una sete apparentemente magnanima d'eguaglianza, di sollièvo a tante miserie dell'umanità. Tutto ciò non t'illuda, sebbène t'avvènga di udirlo da gènte di qualche grido, e tu lo lègga in cènto eloquentissimi pedanti che mèrcano l'applauso delle turbe, adulandole. In quei frèmiti v'è più invidia, ignoranza e calunnia che zèlo pel giusto.
L'ineguaglianza delle fortune è inevitabile, e ne derivano mali e bèni. Chi tanto maledice il ricco si metterebbe volentièri al suo posto: tanto fa che rimanga nell'opulènza chi vi si tròva. Pochissimi sono quei ricchi che non ispèndono il loro òro; e spendèndolo, divèntano tutti in migliaia di guise, con più o meno mèrito, ed anche talvòlta senza mèrito, cooperatori del bèn pubblico. Danno mòto al commèrcio, allo ingentilintento del gusto, alla gara delle arti, alle infinite speranze di chi vuòl fuggire la povertà mediante l'industria.
Non saper vedere in essi che òzio, mollezza, inutilità è stolta caricatura. Se l'òro impigrisce gli uni, spinge gli altri a degne azioni. Non v'è città colta del mondo dove i ricchi non abbiano fondato e non conservino istituti importanti di beneficènza; non v'è luogo alcuno dove non sieno, e per associazioni ed individualmente, i sostenitori del misero.
Guardali quindi senza ira, come senza invidia, e non ripetere le denigrazioni del volgo. Non èssere nè sdegnoso nè vile vèrso di loro, siccome non vorresti che vèrso di te fosse sdegnoso o vile chi è meno ricco di te.
Di que' mezzi di fortuna che hai, sii saviamente ecònomo; fuggi egualmente l'avarizia che incrudelisce il cuòre e mutila t'intellètto, e la prodigalità che guida a vergognosi imprestiti ed a non lodevoli stènti.
Tèndere ad aumentare le ricchezze è lecito, ma senza turpe anèlito, senza immoderate inquietudini, senza tralasciar di ricordarsi che da esse non dipènde il vero onore e la vera felicità, ma sì dall'èssere nòbile d'animo innanzi a Dio ed al pròssimo.
Se cresci di prosperità, cresci a proporzione di beneficènza. L'èssere ricco può andare unito a tutte le virtù, ma l'èssere ricco egoista è vera scelleratezza. Chi ha molto, dee dar molto; non v'è scampo da tal sacro dovere.
Non negare aiuto al mendico, ma non sia questa la tua sola elemòsina: grande ed assennata elemòsina si è il provvedere a' pòveri più onèsto mòdo di vivere che mendicando; cioè il dare alle divèrse arti, tanto comuni quanto gentili, lavoro e pane.
Pènsa talora che impreveduti evènti potrebbero spogliarti del retaggio de' tuòi avi e gettarti nella misèria. Troppi rovesciamenti siffatti accaddero sotto i nòstri òcchi; niun ricco può dire: «Non morrò nell'esiglio e nella sventura.»
Gòdi le tue ricchezze con quella generosa indipendènza da esse che i filòsofi della Chièsa col Vangelo chiamano: Povertà di spirito.
Voltaire ne' suoi momenti di scurrilità ha finto di credere che la povertà di spirito raccomandata dal Vangèlo fosse la sciocchezza. Ma invece è la virtù di mantenere, anche nelle ricchezze, uno spirito umile e non nemico della povertà, non incapace di tollerarla se venisse, non incapace di rispettarla in altrui. Virtù che esige tutt'altro che sciocchezza; virtù che non può scaturire se non da elevazione d'animo e sapiènza
«Vuòi tu coltivare l'anima tua? dice Sèneca; vivi pòvero, o come se povero tu fossi.»
Nel caso che tu cadessi in miseria, non pèrder coraggio. Fatica per vivere e senza vergognarti. Il bisognoso può èssere uòmo stimabile quanto colui che lo aiuta. Ma allora sappi rinunziare di buòna grazia alle consuetudini della ricchezza: non offerite il ridicolo e misèrando spettacolo d'un pòvero supèrbo che non vuole assumere queste virtù sommamente conveniènti al pòvero: ma una dignitosa umiltà, una stretta economia, una paziènza invitta nel lavoro, una amabile serenità di mente ad onta dell'avvèrsa fortuna.