CAPO
V.
Le milizie
paesane.
L'esercito assoldato del vecchio regime
agonizzava adunque a Venezia sotto il peso degli anni, degli errori e
dell'universale indifferenza. Indebolito nel principio di autorità, roso dal
tarlo profondo dell'indisciplina, conscio di essere diventato da ultimo uno
strumento inutile a sè medesimo, maleviso ai novatori come un'arma da tirannide
decrepita, trascurato dai medesimi governanti che ne sapevano tutta l'intima
debolezza organica e morale, l'esercito assoldato veneto più non rappresentava
alla caduta della Repubblica se non l'ombra di sè medesimo, una sopravvivenza
intristita che il primo soffio di fronda sarebbe stato sufficiente a rovesciare
nella polvere.
Causa dunque la pertinace riluttanza della
Serenissima nel concedere all'organismo nato ai bei tempi dei condottieri del
Trecento le riforme e l'evoluzione che esso richiedeva, l'organismo medesimo
stava per giungere all'ultima mèta del suo travagliato ciclo nella città delle
lagune.
Si spiega così come nello spirito dei
migliori - per quanto pochi - si rappresentasse la necessità di surrogare alla
imminente rovina delle armi regolate venete qualche altro istituto che
valesse a raffermare nelle medesime quella fiducia che sembrava oramai spenta
nei cuori. Ed il rimedio meglio adatto alle esigenze pressanti dell'ora
sembrava consistere in una risurrezione delle vecchie cernide veneziane,
in un adattamento cioè degli ordini di queste - nate in tempi non meno
travagliati per la Repubblica - alle condizioni militari, economiche e sociali
delle nuove età. Nella fede ancora superstite in questi illusi, la maschia e vigorosa
fondazione di Bartolomeo d'Alviano pareva ancora sorridere, piena di promesse e
di lusinghe, come dopo la Ghiara d'Adda e la perdita dei domini Veneti di
terraferma, nel 1794, come al tempo della Lega di Cambrai. Alla perfine non si
erano perduti dai Veneti nè terreni, nè battaglie ordinate, e l'uniforme
tranquillità dell'epoca pareva propizia, purchè si volesse, a restaurare la
milizia secondo forme meno viete e più progredite.
Si trattava in sostanza di fare ritorno alla
semplicità ed alla spontaneità delle funzioni dell'istituto militare, reso
pesante dagli attriti, rugginoso dalla lunga e sfibrante inazione, improduttivo
per essersi ridotto - causa la sfiaccolata bontà dei governanti - a
disimpegnare insieme i còmpiti di istituto di beneficenza e di vasta casa di
correzione. Le cerne, vera e prima milizia territoriale ed archetipo della Landwehr
di Stato, dovevano perciò evoluzionare nelle forme e nella sostanza. Di
conseguenza, al concetto della prestazione personale dei componenti di
tale milizia derivato dalle antiche compagnie del popolo, durante una campagna
di guerra o un determinato periodo di neutralità armata, doveva sostituirsi
quello di un servizio temporaneo sotto le bandiere, anche all'infuori
delle dette eventualità; un criterio da coscrizione progressiva, una specie di
prefazione insomma al servizio personale individuale ed obbligatorio. La
riforma era dunque ardita perchè i tempi della decadenza veneta repubblicana
potessero accoglierla, comprenderla ed attuarla.
Nondimeno, per qualche sintomo, essa poteva
sembrare ancora possibile a coloro che la vagheggiavano. Anzitutto il buon
volere con cui, dopo tanti anni di dissuetudine, le cerne erano accorse alle
armi nella primavera del 1794 per rimpolpare le scheletrite compagnie dei soldati
di mestiere, ed in secondo luogo l'arrendevolezza con cui le cerne medesime si
erano sottomesse agli sbandi resi necessari per colmare in modo uniforme
le deficienze dei diversi presidi militari di terraferma. In linea di diritto e
di organica militare adunque l'evoluzione aveva compiuto indubbiamente un
grande passo.
L'elemento campagnuolo delle cerne
rassicurava oltre a ciò i più retrivi e timorosi del governo della Serenissima,
coloro cioè che a tutto si sarebbero rassegnati pur di non toccare di un punto
il vetusto e tradizionale edificio degli ordini repubblicani.
Il rinvigorimento delle cerne infatti, mentre
poteva rafforzare i ben noti spiriti conservatori della popolazione delle
campagne, affezionate all'antico ordine delle cose, ligie ai patrizi ed al
clero, poteva nel contempo costituire nelle mani di questi ultimi un
sicurissimo presidio da contrapporre a qualunque novità avesse potuto arrecare
l'avvenire.
I documenti di tali sensi di ossequio, come
pure la presunzione che essi avrebbero corrisposto al caso di una reazione
improvvisata non facevano difetto nelle masse rurali nelle quali le cerne si
reclutavano. Nella primavera del 1796 i contadini del Bergamasco, sorpresi
dalla mareggiata giacobina nelle loro campagne in fiore, affluivano a torme al
capoluogo della terra, si accalcavano allo sbocco delle vallate, si armavano ed
eccitavano il loro podestà Ottolini ad organizzarli in vasta e tenace
guerriglia e capitanarli nel nome della patria in pericolo.
«Non sarà però molesto a V. E. - scriveva l'Ottolini
al Doge, il 2 giugno 1796 - se, con la mia solita ingenuità. confermo esser
sempre vivi i miei timori sulle direzioni della popolazione all'arrivo dei
Francesi. Ravviso anzi in generale una tale e tanta animosità contro di essi,
che attribuirò sempre ad un tratto di fortuna se non succede inconveniente,
sebbene dal canto mio faccia tutto il possibile per evitarlo. Ho rinnovato
quindi le commissioni di fare stare tutti tranquilli ai capi dei comuni ed ai
parroci della città e provincia, ed impegnai i sacerdoti a secondarmi con tutto
il fervore possibile»119.
Non molto tempo dopo, accompagnando lo stesso
Ottolini una proposta fatta dai campagnuoli bergamaschi al Doge, di levarsi
cioè a massa, quel magistrato soggiungeva:
«In relazione a quanto ebbi a rassegnare alla
E. V. intorno alle spiegate generose impazienze di numerose popolazioni delle
vallate di questo territorio, di esporre tutte volontarie le vite proprie per
la difesa e la gloria del Principato, precise come sono e confermate in reale
proposizione accolta dall'universale uniforme voto dei rispettivi consigli, mi
formo dovere di assoggettarla devotamente a cognizione di V. E. raccolta
nell'unita parte (deliberazione) del General Consiglio... con cui si
offrono a pubblica disposizione 10,000 uomini riuniti delle loro armi, tutta
gente scelta, capace e ben diretta, che può prestare un ottimo servizio...
desiderosa infine di sacrificarsi per la perpetua e felice costituzione loro
sotto il Veneto dolcissimo impero»120.
*
* *
Adunque, se a questo slancio delle
popolazioni rurali soggette a Venezia avesse corrisposto l'opera prudente e
cosciente del governo della Repubblica, si sarebbe per certo acceso sui fianchi
e sul tergo degli eserciti di Napoleone Buonaparte nella loro marcia dall'Adda
all'Isonzo un terribile incendio reazionario da Vandea121.
In realtà, al tempo di cui si parla, la
Serenissima aveva preso oramai il suo partito riguardo alle milizie paesane ed
alle cerne, il partito grigio delle mezze misure, dei compromessi e dei
destreggiamenti, tutto proprio delle individualità e delle collettività fiacche
e malate. Alle prime novelle della rivoluzione di Francia, il Senato aveva
deciso di risciorinare la vecchia e comoda divisa della neutralità armata,
quella medesima che aveva servito così bene a nascondere le magagne della
Serenissima, nel 1701, nel 1735 e nel 1743.
Ma, dileguatasi alquanto l'impressione del
primo momento, si vide che quella vecchia e sdrucita zimarra della neutralità
in armi si rivestiva in circostanze ben diverse da quelle degli anni
precedenti. La Serenissima era minacciata questa volta da un lato dalla nuova
Francia nelle basi del suo reggimento politico e fors'anco nei suoi domini, e
dall'altro dall'Impero che, per ragioni di frontiere e di militari interessi,
poteva violare la proclamata neutralità ad ogni occasione propizia. La
Serenissima doveva quindi essere pronta a tutelare un bene senza disporre della
necessaria forza per allontanare il male.
In questi frangenti l'unica forza e speranza
erano le cerne. Per rimetterle in valore si presentavano due partiti: l'uno
derivato dalla consorteria conservatrice militare veneta, l'altro dal piccolo
nucleo dei riformatori. Il primo caldeggiava un largo e fecondo innesto delle
cerne nelle truppe prezzolate, per scansarle dalla prossima morte mediante una
trasfusione di sangue rigoglioso in un corpo infermo, e proponeva quindi un amalgama;
il secondo partito mirava invece decisamente a soppiantare i regolati ed
a surrogarli senza compromessi di sorta con le milizie paesane.
Vinse il partito dell'amalgama, dopo molte
discussioni accademiche sui pregi di un metodo e sugli svantaggi dell'altro,
mentre il vento di fronda che veniva dalla Francia si era oramai tramutato in
procella.
Fino dalla primavera del 1791, il Savio aveva
esortato le primarie cariche militari a riunirsi per concretare i provvedimenti
più adatti a riordinare le cerne.
Per questi studi mancavano però i dati di
fatto, poichè la costumanza delle mostre generali e dei mostrini
era passata in dissuetudine come un'anticaglia, sicchè convenne attendere
ancora un'altra primavera per riordinare i ruoli e raggranellare gli inscritti,
«essendo questi quasi tutti ammogliati, laonde si credono dispensati,
quantunque non cassi, oltrechè non sono poche le emigrazioni nel territorio e
le morti avvenute da tempo»122.
Finalmente, nella primavera del 1794, le
cerne riapparvero alla luce in uno degli ultimi tramonti della Serenissima. La
fusione di esse con i regolati era allora al sommo dei pensieri del
Senato, «che si proponeva, non già di ripetere da questo corpo una truppa
agguerrita, capace di marciar subito tutta unita e direttamente contro il
nemico, ma bensì un corpo da potersi, tutto o in porzione, prontamente unire
alle altre truppe... disposto ad essere in assai più breve tempo delle reclute
comuni istruito nelle militari evoluzioni, reso capace a presidî, difese e
battaglie. Tale essendo il servizio che da esso corpo si propone di ritrarre il
Senato, basterà disporre quello che può essere atto a preparare ed ottenere
dalle cerne subito l'occorrente da poter divenire, con poche istruzioni, un
ottimo soldato»123.
Ma per questo amalgama - compiuto per di più
in evidente condizione di inferiorità delle cerne rispetto ai regolati -
occorreva una certa misura tra gli elementi da fondersi, affinchè riuscisse una
forte e vigorosa combinazione non già un miscuglio instabile. Si addivenne così
al partito del sorteggio, ossia all'estrazione tra le cerne, ed all'adozione
di una ferma biennale da attribuirsi a quei descritti cui sarebbe
toccato in sorte di amalgamarsi con i regolati.
La costumanza d'altronde aveva qualche
precedente nei periodi delle neutralità anteriori, specie nel 1703 e nel
1709124, sicchè fu accolta dalle masse campagnuole con uno spirito di
rassegnazione che parve superare le aspettative. L'esempio del piccolo ma forte
Piemonte - rievocato a proposito dal Fontana ambasciatore Veneto a Torino -
aveva persuaso alla fine anche i più scettici in materia di cerne125.
Quivi i reggimenti stanziali erano assai di frequente rincalzati con uomini
tratti dai reggimenti provinciali, cioè dalle milizie paesane
piemontesi, e mercè tale incorporamento periodico, replicato a più riprese e
quindi numeroso di elementi scelti del paese obbligati temporariamente alle
armi, ben sicuri di far ritorno alle case al termine della ferma, il sistema di
reclutamento dell'esercito subalpino aveva fatto un grande passo verso i metodi
in fiore ai nostri giorni126.
In queste buone predisposizioni ed in queste
analogie organiche, i novatori di cui sopra scorgevano da ultimo un indizio
benaugurante per la propria tesi.
*
* *
Adunque, nel maggio dell'anno 1794, dietro
istanza del brigadiere Stràtico - il miglior campione del partito conservatore
militare veneto del tempo - il Savio di Terraferma alla Scrittura Antonio Zen
emanò un decreto con il quale si prescriveva, «di effettuare l'estrazione
tra le cerne dell'Istria e la coscrizione tra le craine della Dalmazia, di
un competente numero di individui per essere imbarcati ed inoltrati al Lido per
rinforzo occorrente ai soldati di Terraferma127.
L'obbligo alle armi dei sorteggiati doveva
essere di un biennio, i compensi di 2 ducati a titolo di donativo
da corrispondersi all'atto del loro innesto nella milizia regolata, la
paga eguale in tutto e per tutto a quella dei soldati di mestiere, cioè a 31
lire venete nominali.
In questo modo, nel maggio dell'anno sopra
ricordato, si ingaggiarono sull'altra sponda dell'Adriatico 500 reclute, e cioè
125 nell'Istria Veneta e 375 nella Dalmazia, sorteggiate rispettivamente e
proporzionatamente sopra un contingente di 525 uomini atti alle armi della
prima provincia e 1375 nella seconda. Il mese successivo si levarono altre 450
reclute tra le cerne di Terraferma e nell'agosto altrettante in Dalmazia: in
complesso 1400 uomini in 4 mesi. Erano esenti da questa prestazione i comuni
della Bresciana, per l'antico privilegio loro di servire con la gente solo
nell'interno della terra, sicchè quelle cerne si incorporarono nei presidi
della provincia e più precisamente nelle due compagnie dei fanti italiani di
presidio in Orzinovi.
Ma, più che altrove, questi primi saggi di
coscrizione avevano incontrato grande favore sull'altra riva dell'Adriatico.
«L'estensione della Dalmazia - diceva la relazione di un piedilista dall'epoca
- la sua aperta e moltiplicata confinazione esigendo talora per l'indole dei
finitimi uno straordinario aggregato di individui, anche per una sola occasione
al servizio, così si arrolano ivi le colletizie, le quali sono più
adatte di ogni altro per la loro nascita ed educazione a difendere i focolari
ed il pubblico suolo. Armigeri per istituto, essi non hanno bisogno di annui
esercizî che li addestrino come i sudditi della Terraferma e dell'Istria, ma
cadono ben volentieri in stipendio per il solo tempo del servizio che fanno nel
corpo delle colletizie sotto i loro ufficiali che, stipendiati con
costanti tenuissime paghe, tengono una certa sopravveglianza sull'andamento dei
sudditi della Sardarìa (o rispettivo contado), sono come accreditati e
riveriti dalla popolazione e preposti al caso a dirigerla con paghe in tal caso
corrispondenti al grado che dalla pratica è loro accordato per rientrare, tosto
che cada la ragion dell'armo, nel consueto metodico loro piede»128.
In quell'anno 1794 si ristabilirono pure le mostre
generali, si completarono i ruoli sotto la responsabilità dei singoli
rappresentanti e capi di provincia nonchè di 2 colonnelli delle cernide
oltre Mincio ed in Terraferma e di 4 ufficiali dello Stato Generale
all'uopo prescelti dal Savio alle Ordinanze, pure due per di qua e
due per di là del Mincio; infine si ristamparono le norme della «Elementar
istruzione ad uso delle cernide» edite nel 1763129.
Sempre però ligio al concetto fondamentale
dell'amalgama - da attuarsi cautamente e circospettamente - il Senato aveva
prescritto di escludere al possibile i volontari dalle nuove
coscrizioni, sia perchè il vocabolo aveva troppo sapore di giacobinismo, sia
perchè ammettendo i volontari medesimi quella suprema magistratura temeva che
l'istituto tradizionale delle cerne tralignasse con troppo rapida vicenda nel
campo dei fautori delle nuove milizie.
Intanto su questo terreno delle mezze misure
il tempo passava veloce. Scoccati due anni dalla coscrizione delle prime cerne
con ferma biennale, nella primavera del 1796 convenne provvedere ad altre
levate in Terraferma ed Oltremare130. I ruoli ben preparati dai
merighi, o capi plotoni delle cerne, dovevano rimanere esposti nelle chiese
per 8 giorni almeno prima della rassegna e del sorteggio, onde aprire
l'adito ad ognuno di produrre i propri gravami, o titoli di esenzione. Per
coloro che comunque avessero beneficiato di questi ultimi, il Savio aveva in
animo di adottare una speciale tansa, o tassa militare alle ordinanze,
sicchè riducendo i gravami personali allo stretto indispensabile, o
magari sopprimendoli, il passo verso una coscrizione regolare e perfino verso
una leva in massa sarebbe riuscito semplice ed agevole131. Ma il tempo
per attuare tali riforme mancò.
Per questa seconda grande levata delle cerne
il Savio alla Scrittura aveva promulgato non poche norme, da osservarsi
scrupolosamente da tutte le cariche cioè autorità militari competenti. I
drappelli dei congedandi della levata del 1794 dovevano essere riaccompagnati
alle rispettive case da ufficiali: tutti i mezzi di trasporto oltremare
dovevano sfruttarsi all'uopo, come tutte le lusinghe dovevano pure adoperarsi
nell'intento d'indurre le cerne più volonterose ad assoggettarsi ad una
riafferma con premio132.
E ciò urgeva oltremodo. La proporzione delle
cerne ai «regolati», causa l'inaridirsi delle fonti di reclutamento di
questi ultimi, minacciava di far traboccare il piatto della bilancia a favore
delle milizie paesane, ciò che se poteva sorridere ai novatori non poteva
talentare per certo ai conservatori. Sicchè le riafferme mantenendo alle armi
un certo numero di cerne che, sotto molti rispetti, potevano considerarsi come
«regolati», dovevano funzionare quasi da vàlvola di sicurezza del
sistema dell'amalgama.
*
* *
Le unità dei soldati permanenti, intristite
dall'indisciplina, scheletrite dalle diserzioni, si fondevano infatti come neve
al sole.
«Devo infatti far presente alla E. V. -
scriveva il 16 febbraio 1796 il Savio alla Scrittura Priuli al Doge, «- che
presidiate essendo le presenti piazze e fortezze d'Oltre-Mincio compresa Verona
da fanteria italiana, con teste 2712, artiglieri 173 e 1223 nazionali (Oltramarini),
eseguito lo sbando tra giugno e novembre degli Istriani, delle Craine e
delle Cernide Italiane levate nell'anno 1794, il totale delle pubbliche forze
della Repubblica in Italia verrà a ridursi a 4 compagnie di invalidi - in tutto
teste 327 - che formano il presidio delle città di Palma, Udine, Treviso,
Padova, Rovigo e Vicenza, a 7 compagnie di cavalleria ed a 325 invalidi
Oltremarini disposti tra gli appostamenti del Lido, Istria e Padova, e
finalmente a 24 compagnie di Nazionali formanti teste 789, tra il Lido e la
Terraferma, oltre a 4 compagnie di cannonieri, con teste 141 ed Italiani attive
compagnie 13, con teste 325. In tutti, teste 2187, che occorrer dovranno alle
molteplici esigenze della sanità, biave, oltre le guardie, i dazi
etc.»133
A questi estremi si era oramai ridotto
l'esercito della Serenissima. Epperciò parlare ancora di amàlgama in tali
frangenti come nella primavera del 1794 sarebbe stato follia, dal momento che
l'esercito dei «regolati», il quale doveva funzionare da crogiuolo della
fòndita, più non esisteva se non di nome: ostinarsi a mantenere un sistema di
reclutamento che i tempi e le circostanze unanimi designavano per anacronismo,
sarebbe stato lo stesso che chiudere le caserme per sciopero di soldati. Tutto
questo avrebbe oltre a ciò contrariate le viste politiche della neutralità
armata, «non sospetta, ma necessariamente richiesta dall'onore e dalla salute
della Repubblica,», come aveva pubblicamente dichiarato in Senato Francesco Pesaro
in una concione diventata poi memoranda134.
Il partito militare novatore della
Serenissima, il fautore cioè delle milizie paesane in tutto e per tutto, aveva
così vinta la propria tesi mentre la Repubblica moriva. Le novelle di Francia,
i metodi rapidi e decisi delle guerre della Rivoluzione, i sistemi di leva in
massa avevano spinta la loro eco fino alla città delle lagune. L'ultimo Savio
di Terraferma alla Scrittura se ne era fatto persino il portavoce, unitamente
al Savio uscito Bernardino Renier, a Francesco Gritti Savio alle
Ordinanze in carica ed a Domenico Almorò Tiepolo Savio alle Ordinanze uscito,
al tenente generale Salimbeni, e, tutti insieme - come si costumava per le
deliberazioni di maggior rilievo - avevano proposto al Senato di adottare anche
per l'esercito Veneto un sistema di reclutamento per coscrizione, con ferma
triennale135.
Un premio di due ducati doveva essere
corrisposto subito agli estratti nelle rassegne delle cerne, il doppio a
coloro che si offrissero spontaneamente alle bandiere. Ai nuovi soldati si
prometteva oltre a ciò una licenza di almeno un mese all'anno, da fruirsi alle
proprie case durante il periodo invernale, e più precisamente dal 1° novembre
al 31 marzo. Al termine della ferma triennale gli inscritti dovevano ricevere
un donativo di 18 ducati ognuno.
Questa fu l'ultima evoluzione delle vecchie
cernide venete, conforme al concetto che presiede al reclutamento degli
eserciti odierni. Per essa l'antico preludeva il nuovo, ed il passato di
Vailate e di Rusecco avrebbe schiuso la strada ad una nuova serie di memorande
imprese, se la Repubblica avesse avuto occhi per vedere e cuore per intendere.
E Giacomo Nani, l'ordinatore delle nuove milizie paesane in battaglioni
regolari vestiti ancora della fiammante divisa degli Oltremarini136,
avrebbe eguagliato per certo la fama di Bartolomeo d'Alviano, se il popolo
veneto che vide cadere la Repubblica come un lògoro e vecchio castello di carte
da giuoco davanti alla furia di Napoleone Buonaparte, fosse stato pari in
vigore e tenacia al popolo della Lega di Cambrai.
*
* *
Ma i tempi, i condottieri e le buone milizie
non si improvvisano, perchè sono frutto dell'evoluzione lenta dei principi e,
sopratutto, della rude esperienza individuale e collettiva. Epperciò la vecchia
Repubblica doveva prima, perire e poscia rinnovarsi nell'anima del suo popolo.
In queste condizioni di fatto, il fermento
delle nuove età ed i sintomi precisi e sicuri di un rinnovamento prossimo non
potevano manifestarsi - anche agli occhi dei più apparecchiati a comprenderli -
se non con contorni indecisi e mal definiti, come una linea di orizzonte ampia
e nubilosa alla luce dalla prima aurora. Di tali sentimenti fanno fede alcune
scritture dell'epoca, e specialmente è suggestiva una dovuta alla meditazione,
più che alla penna, di un antico allievo del Militar Collegio di Verona
discepolo del maestro Giambattista Joure, cioè il capitano del genio Leonardo
Salimbeni, figlio del tenente generale comandante delle milizie venete
concentrate a Verona:
«Mi sono fatto incontro al generale
Buonaparte - dice quella scrittura - verso la città di Brescia. Tutte le terre
ed i villaggi dello Stato Veneto per dove i Francesi si incamminano si mostrano
pieni di spavento e di terrore. Gli abitanti si ritirano con i loro effetti nei
paesi più lontani e lasciano deserte le case e le campagne. Ho sentito qualche
soldato francese lamentarsi di questo (così lo chiamano) difetto di fidanza,
epperciò io ho cercato di far cuore agli abitanti delle terre per le quali sono
passato... I soldati francesi sono tutti giovani e volonterosi..... in
una colonna forte di 20.000 uomini almeno non ne ho veduto alcuno che giungesse
all'età di 40 anni. Erano molto allegri, cantavano di continuo canzoni
repubblicane, e mi si mostrarono persuasi della capacità e del coraggio dei
loro condottieri, lodando sopra tutto e levando al cielo il merito di
Buonaparte. Fui assicurato da molti che quei soldati non disertano mai, da
quelli infuori che temono imminente un qualche severo castigo. Infatti le
loro marce senza le solite cautele per impedire la diserzione mi hanno
persuaso che ciò sia proprio vero; ma non sarebbe forse così al caso che
fossero battuti.
«Il vestiario di questi giovani soldati di fanteria
consiste in un paio di calzoni lunghi di panno bianco, o di tela, in un
farsetto di roba simile ed in una velada turchina, del taglio ordinario,
fornita di mostre e di paramani bianchi. Hanno cappello in testa, buone scarpe,
camicie proprie e grosse cravatte al collo. Gli artiglieri differiscono nel
colore delle mostre e dei paramani, che sono di rosso. La cavalleria è meglio
vestita, ma in varie maniere. Non si vede però alcuna eleganza di vestiario in
nessun corpo di questa armata, nè l'uniformità e la proprietà osservata dalle
truppe tedesche, sicchè si riscontrano molti soldati aventi i loro vestiti
affatto lògori e coi gomiti fuori.
«La fanteria è armata di fucile leggero con
una lunga baionetta e di una sciabla al fianco. La cavalleria al solito,
ma con carabine più corte, ed è fornita di cavalli eccellenti. Gli artiglieri
sono tutti a cavallo in vicinanza dei loro pezzi, il che rende quanto mai
spedito il loro manneggio durante l'azione, sì volendo avanzare che in
ritirata. Nella colonna che ho incontrata non eravi che artiglieria leggiera.
Abbondano di pezzi da 8 del calibro francese e di obusieri da 8 pollici, sicchè
hanno per questo conto un vantaggio grande sopra gli Austriaci i cui pezzi sono
per la maggior parte di calibro minore.
«Un capitano mi ha permesso di esaminare i
suoi pezzi e mi spiegò tutte le innovazioni delle nuove artiglierie di Francia.
«Si ottiene tutto da essi con la civiltà e
con la franchezza. La disciplina di questa armata è tutta di una nuova
natura, e non è veramente in vigore se non quando i soldati si mettono
sotto le armi. Dormono sempre allo scoperto e senza tende, passano i fiumi di
poca larghezza sempre a nuoto ed i loro ufficiali di fanteria, fino al capitano
incluso, marciano a piedi alla testa dei loro uomini. Ufficiali e soldati tutti
portano delle bisacce sul dorso, essendo assai piccolo il numero dei domestici
permessi dalle loro ordinanze militari....
«Bisogna ora fare un succinto ritratto del
generale Buonaparte. La sua statura è al disotto della mediocre, viso
scarno e pallido, occhio vivace, corpo esile. È assai composto di sua persona e
molto riflessivo. Egli dà ordini così chiari e precisi ai generali subalterni,
che ad essi poco o nulla rimane da aggiungere. Conosce siffattamente la forza
delle sue armate, anche nelle più diverse posizioni di manovra, che a memoria
ed in un istante egli ne ordina i movimenti senza per ciò ricorrere ad altri
aiuti.
«Buonaparte è fertile in progetti che sa
condurre a fine sempre per li modi i più semplici. È risoluto nell'operare ed
ama in sommo grado la gloria, e la lode.
«Così lo ho veduto e così me lo hanno dipinto
i suoi ufficiali ed i suoi soldati»137.
Con questa confusa visione di un esercito
dell'avvenire levato dalla nazione e per la nazione, pulsante della vita, della
volontà e della forza cosciente di quest'ultima di cui rappresentava il fiore;
con l'imagine davanti agli occhi di un esercito condotto da un generale come
Napoleone Buonaparte, amante al sommo della gloria e della lode, cadeva
l'esercito veneto dei soldati di mestiere per lasciare il posto al nuovo,
sull'esempio di quelli che dalla Francia venivano allora ad affacciarsi alle
lagune di Venezia.
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