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Eugenio Barbarich
La campagna del 1796 nel Veneto

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  • CAPO V.   Le milizie paesane.
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CAPO V.

 

Le milizie paesane.

 

L'esercito assoldato del vecchio regime agonizzava adunque a Venezia sotto il peso degli anni, degli errori e dell'universale indifferenza. Indebolito nel principio di autorità, roso dal tarlo profondo dell'indisciplina, conscio di essere diventato da ultimo uno strumento inutile a medesimo, maleviso ai novatori come un'arma da tirannide decrepita, trascurato dai medesimi governanti che ne sapevano tutta l'intima debolezza organica e morale, l'esercito assoldato veneto più non rappresentava alla caduta della Repubblica se non l'ombra di medesimo, una sopravvivenza intristita che il primo soffio di fronda sarebbe stato sufficiente a rovesciare nella polvere.

Causa dunque la pertinace riluttanza della Serenissima nel concedere all'organismo nato ai bei tempi dei condottieri del Trecento le riforme e l'evoluzione che esso richiedeva, l'organismo medesimo stava per giungere all'ultima mèta del suo travagliato ciclo nella città delle lagune.

Si spiega così come nello spirito dei migliori - per quanto pochi - si rappresentasse la necessità di surrogare alla imminente rovina delle armi regolate venete qualche altro istituto che valesse a raffermare nelle medesime quella fiducia che sembrava oramai spenta nei cuori. Ed il rimedio meglio adatto alle esigenze pressanti dell'ora sembrava consistere in una risurrezione delle vecchie cernide veneziane, in un adattamento cioè degli ordini di queste - nate in tempi non meno travagliati per la Repubblica - alle condizioni militari, economiche e sociali delle nuove età. Nella fede ancora superstite in questi illusi, la maschia e vigorosa fondazione di Bartolomeo d'Alviano pareva ancora sorridere, piena di promesse e di lusinghe, come dopo la Ghiara d'Adda e la perdita dei domini Veneti di terraferma, nel 1794, come al tempo della Lega di Cambrai. Alla perfine non si erano perduti dai Veneti terreni, battaglie ordinate, e l'uniforme tranquillità dell'epoca pareva propizia, purchè si volesse, a restaurare la milizia secondo forme meno viete e più progredite.

Si trattava in sostanza di fare ritorno alla semplicità ed alla spontaneità delle funzioni dell'istituto militare, reso pesante dagli attriti, rugginoso dalla lunga e sfibrante inazione, improduttivo per essersi ridotto - causa la sfiaccolata bontà dei governanti - a disimpegnare insieme i còmpiti di istituto di beneficenza e di vasta casa di correzione. Le cerne, vera e prima milizia territoriale ed archetipo della Landwehr di Stato, dovevano perciò evoluzionare nelle forme e nella sostanza. Di conseguenza, al concetto della prestazione personale dei componenti di tale milizia derivato dalle antiche compagnie del popolo, durante una campagna di guerra o un determinato periodo di neutralità armata, doveva sostituirsi quello di un servizio temporaneo sotto le bandiere, anche all'infuori delle dette eventualità; un criterio da coscrizione progressiva, una specie di prefazione insomma al servizio personale individuale ed obbligatorio. La riforma era dunque ardita perchè i tempi della decadenza veneta repubblicana potessero accoglierla, comprenderla ed attuarla.

Nondimeno, per qualche sintomo, essa poteva sembrare ancora possibile a coloro che la vagheggiavano. Anzitutto il buon volere con cui, dopo tanti anni di dissuetudine, le cerne erano accorse alle armi nella primavera del 1794 per rimpolpare le scheletrite compagnie dei soldati di mestiere, ed in secondo luogo l'arrendevolezza con cui le cerne medesime si erano sottomesse agli sbandi resi necessari per colmare in modo uniforme le deficienze dei diversi presidi militari di terraferma. In linea di diritto e di organica militare adunque l'evoluzione aveva compiuto indubbiamente un grande passo.

L'elemento campagnuolo delle cerne rassicurava oltre a ciò i più retrivi e timorosi del governo della Serenissima, coloro cioè che a tutto si sarebbero rassegnati pur di non toccare di un punto il vetusto e tradizionale edificio degli ordini repubblicani.

Il rinvigorimento delle cerne infatti, mentre poteva rafforzare i ben noti spiriti conservatori della popolazione delle campagne, affezionate all'antico ordine delle cose, ligie ai patrizi ed al clero, poteva nel contempo costituire nelle mani di questi ultimi un sicurissimo presidio da contrapporre a qualunque novità avesse potuto arrecare l'avvenire.

I documenti di tali sensi di ossequio, come pure la presunzione che essi avrebbero corrisposto al caso di una reazione improvvisata non facevano difetto nelle masse rurali nelle quali le cerne si reclutavano. Nella primavera del 1796 i contadini del Bergamasco, sorpresi dalla mareggiata giacobina nelle loro campagne in fiore, affluivano a torme al capoluogo della terra, si accalcavano allo sbocco delle vallate, si armavano ed eccitavano il loro podestà Ottolini ad organizzarli in vasta e tenace guerriglia e capitanarli nel nome della patria in pericolo.

«Non sarà però molesto a V. E. - scriveva l'Ottolini al Doge, il 2 giugno 1796 - se, con la mia solita ingenuità. confermo esser sempre vivi i miei timori sulle direzioni della popolazione all'arrivo dei Francesi. Ravviso anzi in generale una tale e tanta animosità contro di essi, che attribuirò sempre ad un tratto di fortuna se non succede inconveniente, sebbene dal canto mio faccia tutto il possibile per evitarlo. Ho rinnovato quindi le commissioni di fare stare tutti tranquilli ai capi dei comuni ed ai parroci della città e provincia, ed impegnai i sacerdoti a secondarmi con tutto il fervore possibile»119.

Non molto tempo dopo, accompagnando lo stesso Ottolini una proposta fatta dai campagnuoli bergamaschi al Doge, di levarsi cioè a massa, quel magistrato soggiungeva:

«In relazione a quanto ebbi a rassegnare alla E. V. intorno alle spiegate generose impazienze di numerose popolazioni delle vallate di questo territorio, di esporre tutte volontarie le vite proprie per la difesa e la gloria del Principato, precise come sono e confermate in reale proposizione accolta dall'universale uniforme voto dei rispettivi consigli, mi formo dovere di assoggettarla devotamente a cognizione di V. E. raccolta nell'unita parte (deliberazione) del General Consiglio... con cui si offrono a pubblica disposizione 10,000 uomini riuniti delle loro armi, tutta gente scelta, capace e ben diretta, che può prestare un ottimo servizio... desiderosa infine di sacrificarsi per la perpetua e felice costituzione loro sotto il Veneto dolcissimo impero»120.

 

*

* *

 

Adunque, se a questo slancio delle popolazioni rurali soggette a Venezia avesse corrisposto l'opera prudente e cosciente del governo della Repubblica, si sarebbe per certo acceso sui fianchi e sul tergo degli eserciti di Napoleone Buonaparte nella loro marcia dall'Adda all'Isonzo un terribile incendio reazionario da Vandea121.

In realtà, al tempo di cui si parla, la Serenissima aveva preso oramai il suo partito riguardo alle milizie paesane ed alle cerne, il partito grigio delle mezze misure, dei compromessi e dei destreggiamenti, tutto proprio delle individualità e delle collettività fiacche e malate. Alle prime novelle della rivoluzione di Francia, il Senato aveva deciso di risciorinare la vecchia e comoda divisa della neutralità armata, quella medesima che aveva servito così bene a nascondere le magagne della Serenissima, nel 1701, nel 1735 e nel 1743.

Ma, dileguatasi alquanto l'impressione del primo momento, si vide che quella vecchia e sdrucita zimarra della neutralità in armi si rivestiva in circostanze ben diverse da quelle degli anni precedenti. La Serenissima era minacciata questa volta da un lato dalla nuova Francia nelle basi del suo reggimento politico e fors'anco nei suoi domini, e dall'altro dall'Impero che, per ragioni di frontiere e di militari interessi, poteva violare la proclamata neutralità ad ogni occasione propizia. La Serenissima doveva quindi essere pronta a tutelare un bene senza disporre della necessaria forza per allontanare il male.

In questi frangenti l'unica forza e speranza erano le cerne. Per rimetterle in valore si presentavano due partiti: l'uno derivato dalla consorteria conservatrice militare veneta, l'altro dal piccolo nucleo dei riformatori. Il primo caldeggiava un largo e fecondo innesto delle cerne nelle truppe prezzolate, per scansarle dalla prossima morte mediante una trasfusione di sangue rigoglioso in un corpo infermo, e proponeva quindi un amalgama; il secondo partito mirava invece decisamente a soppiantare i regolati ed a surrogarli senza compromessi di sorta con le milizie paesane.

Vinse il partito dell'amalgama, dopo molte discussioni accademiche sui pregi di un metodo e sugli svantaggi dell'altro, mentre il vento di fronda che veniva dalla Francia si era oramai tramutato in procella.

Fino dalla primavera del 1791, il Savio aveva esortato le primarie cariche militari a riunirsi per concretare i provvedimenti più adatti a riordinare le cerne.

Per questi studi mancavano però i dati di fatto, poichè la costumanza delle mostre generali e dei mostrini era passata in dissuetudine come un'anticaglia, sicchè convenne attendere ancora un'altra primavera per riordinare i ruoli e raggranellare gli inscritti, «essendo questi quasi tutti ammogliati, laonde si credono dispensati, quantunque non cassi, oltrechè non sono poche le emigrazioni nel territorio e le morti avvenute da tempo»122.

Finalmente, nella primavera del 1794, le cerne riapparvero alla luce in uno degli ultimi tramonti della Serenissima. La fusione di esse con i regolati era allora al sommo dei pensieri del Senato, «che si proponeva, non già di ripetere da questo corpo una truppa agguerrita, capace di marciar subito tutta unita e direttamente contro il nemico, ma bensì un corpo da potersi, tutto o in porzione, prontamente unire alle altre truppe... disposto ad essere in assai più breve tempo delle reclute comuni istruito nelle militari evoluzioni, reso capace a presidî, difese e battaglie. Tale essendo il servizio che da esso corpo si propone di ritrarre il Senato, basterà disporre quello che può essere atto a preparare ed ottenere dalle cerne subito l'occorrente da poter divenire, con poche istruzioni, un ottimo soldato»123.

Ma per questo amalgama - compiuto per di più in evidente condizione di inferiorità delle cerne rispetto ai regolati - occorreva una certa misura tra gli elementi da fondersi, affinchè riuscisse una forte e vigorosa combinazione non già un miscuglio instabile. Si addivenne così al partito del sorteggio, ossia all'estrazione tra le cerne, ed all'adozione di una ferma biennale da attribuirsi a quei descritti cui sarebbe toccato in sorte di amalgamarsi con i regolati.

La costumanza d'altronde aveva qualche precedente nei periodi delle neutralità anteriori, specie nel 1703 e nel 1709124, sicchè fu accolta dalle masse campagnuole con uno spirito di rassegnazione che parve superare le aspettative. L'esempio del piccolo ma forte Piemonte - rievocato a proposito dal Fontana ambasciatore Veneto a Torino - aveva persuaso alla fine anche i più scettici in materia di cerne125. Quivi i reggimenti stanziali erano assai di frequente rincalzati con uomini tratti dai reggimenti provinciali, cioè dalle milizie paesane piemontesi, e mercè tale incorporamento periodico, replicato a più riprese e quindi numeroso di elementi scelti del paese obbligati temporariamente alle armi, ben sicuri di far ritorno alle case al termine della ferma, il sistema di reclutamento dell'esercito subalpino aveva fatto un grande passo verso i metodi in fiore ai nostri giorni126.

In queste buone predisposizioni ed in queste analogie organiche, i novatori di cui sopra scorgevano da ultimo un indizio benaugurante per la propria tesi.

 

*

* *

 

Adunque, nel maggio dell'anno 1794, dietro istanza del brigadiere Stràtico - il miglior campione del partito conservatore militare veneto del tempo - il Savio di Terraferma alla Scrittura Antonio Zen emanò un decreto con il quale si prescriveva, «di effettuare l'estrazione tra le cerne dell'Istria e la coscrizione tra le craine della Dalmazia, di un competente numero di individui per essere imbarcati ed inoltrati al Lido per rinforzo occorrente ai soldati di Terraferma127.

L'obbligo alle armi dei sorteggiati doveva essere di un biennio, i compensi di 2 ducati a titolo di donativo da corrispondersi all'atto del loro innesto nella milizia regolata, la paga eguale in tutto e per tutto a quella dei soldati di mestiere, cioè a 31 lire venete nominali.

In questo modo, nel maggio dell'anno sopra ricordato, si ingaggiarono sull'altra sponda dell'Adriatico 500 reclute, e cioè 125 nell'Istria Veneta e 375 nella Dalmazia, sorteggiate rispettivamente e proporzionatamente sopra un contingente di 525 uomini atti alle armi della prima provincia e 1375 nella seconda. Il mese successivo si levarono altre 450 reclute tra le cerne di Terraferma e nell'agosto altrettante in Dalmazia: in complesso 1400 uomini in 4 mesi. Erano esenti da questa prestazione i comuni della Bresciana, per l'antico privilegio loro di servire con la gente solo nell'interno della terra, sicchè quelle cerne si incorporarono nei presidi della provincia e più precisamente nelle due compagnie dei fanti italiani di presidio in Orzinovi.

Ma, più che altrove, questi primi saggi di coscrizione avevano incontrato grande favore sull'altra riva dell'Adriatico. «L'estensione della Dalmazia - diceva la relazione di un piedilista dall'epoca - la sua aperta e moltiplicata confinazione esigendo talora per l'indole dei finitimi uno straordinario aggregato di individui, anche per una sola occasione al servizio, così si arrolano ivi le colletizie, le quali sono più adatte di ogni altro per la loro nascita ed educazione a difendere i focolari ed il pubblico suolo. Armigeri per istituto, essi non hanno bisogno di annui esercizî che li addestrino come i sudditi della Terraferma e dell'Istria, ma cadono ben volentieri in stipendio per il solo tempo del servizio che fanno nel corpo delle colletizie sotto i loro ufficiali che, stipendiati con costanti tenuissime paghe, tengono una certa sopravveglianza sull'andamento dei sudditi della Sardarìa (o rispettivo contado), sono come accreditati e riveriti dalla popolazione e preposti al caso a dirigerla con paghe in tal caso corrispondenti al grado che dalla pratica è loro accordato per rientrare, tosto che cada la ragion dell'armo, nel consueto metodico loro piede»128.

In quell'anno 1794 si ristabilirono pure le mostre generali, si completarono i ruoli sotto la responsabilità dei singoli rappresentanti e capi di provincia nonchè di 2 colonnelli delle cernide oltre Mincio ed in Terraferma e di 4 ufficiali dello Stato Generale all'uopo prescelti dal Savio alle Ordinanze, pure due per di qua e due per di del Mincio; infine si ristamparono le norme della «Elementar istruzione ad uso delle cernide» edite nel 1763129.

Sempre però ligio al concetto fondamentale dell'amalgama - da attuarsi cautamente e circospettamente - il Senato aveva prescritto di escludere al possibile i volontari dalle nuove coscrizioni, sia perchè il vocabolo aveva troppo sapore di giacobinismo, sia perchè ammettendo i volontari medesimi quella suprema magistratura temeva che l'istituto tradizionale delle cerne tralignasse con troppo rapida vicenda nel campo dei fautori delle nuove milizie.

Intanto su questo terreno delle mezze misure il tempo passava veloce. Scoccati due anni dalla coscrizione delle prime cerne con ferma biennale, nella primavera del 1796 convenne provvedere ad altre levate in Terraferma ed Oltremare130. I ruoli ben preparati dai merighi, o capi plotoni delle cerne, dovevano rimanere esposti nelle chiese per 8 giorni almeno prima della rassegna e del sorteggio, onde aprire l'adito ad ognuno di produrre i propri gravami, o titoli di esenzione. Per coloro che comunque avessero beneficiato di questi ultimi, il Savio aveva in animo di adottare una speciale tansa, o tassa militare alle ordinanze, sicchè riducendo i gravami personali allo stretto indispensabile, o magari sopprimendoli, il passo verso una coscrizione regolare e perfino verso una leva in massa sarebbe riuscito semplice ed agevole131. Ma il tempo per attuare tali riforme mancò.

Per questa seconda grande levata delle cerne il Savio alla Scrittura aveva promulgato non poche norme, da osservarsi scrupolosamente da tutte le cariche cioè autorità militari competenti. I drappelli dei congedandi della levata del 1794 dovevano essere riaccompagnati alle rispettive case da ufficiali: tutti i mezzi di trasporto oltremare dovevano sfruttarsi all'uopo, come tutte le lusinghe dovevano pure adoperarsi nell'intento d'indurre le cerne più volonterose ad assoggettarsi ad una riafferma con premio132.

E ciò urgeva oltremodo. La proporzione delle cerne ai «regolati», causa l'inaridirsi delle fonti di reclutamento di questi ultimi, minacciava di far traboccare il piatto della bilancia a favore delle milizie paesane, ciò che se poteva sorridere ai novatori non poteva talentare per certo ai conservatori. Sicchè le riafferme mantenendo alle armi un certo numero di cerne che, sotto molti rispetti, potevano considerarsi come «regolati», dovevano funzionare quasi da vàlvola di sicurezza del sistema dell'amalgama.

 

*

* *

 

Le unità dei soldati permanenti, intristite dall'indisciplina, scheletrite dalle diserzioni, si fondevano infatti come neve al sole.

«Devo infatti far presente alla E. V. - scriveva il 16 febbraio 1796 il Savio alla Scrittura Priuli al Doge, «- che presidiate essendo le presenti piazze e fortezze d'Oltre-Mincio compresa Verona da fanteria italiana, con teste 2712, artiglieri 173 e 1223 nazionali (Oltramarini), eseguito lo sbando tra giugno e novembre degli Istriani, delle Craine e delle Cernide Italiane levate nell'anno 1794, il totale delle pubbliche forze della Repubblica in Italia verrà a ridursi a 4 compagnie di invalidi - in tutto teste 327 - che formano il presidio delle città di Palma, Udine, Treviso, Padova, Rovigo e Vicenza, a 7 compagnie di cavalleria ed a 325 invalidi Oltremarini disposti tra gli appostamenti del Lido, Istria e Padova, e finalmente a 24 compagnie di Nazionali formanti teste 789, tra il Lido e la Terraferma, oltre a 4 compagnie di cannonieri, con teste 141 ed Italiani attive compagnie 13, con teste 325. In tutti, teste 2187, che occorrer dovranno alle molteplici esigenze della sanità, biave, oltre le guardie, i dazi etc.»133

A questi estremi si era oramai ridotto l'esercito della Serenissima. Epperciò parlare ancora di amàlgama in tali frangenti come nella primavera del 1794 sarebbe stato follia, dal momento che l'esercito dei «regolati», il quale doveva funzionare da crogiuolo della fòndita, più non esisteva se non di nome: ostinarsi a mantenere un sistema di reclutamento che i tempi e le circostanze unanimi designavano per anacronismo, sarebbe stato lo stesso che chiudere le caserme per sciopero di soldati. Tutto questo avrebbe oltre a ciò contrariate le viste politiche della neutralità armata, «non sospetta, ma necessariamente richiesta dall'onore e dalla salute della Repubblica,», come aveva pubblicamente dichiarato in Senato Francesco Pesaro in una concione diventata poi memoranda134.

Il partito militare novatore della Serenissima, il fautore cioè delle milizie paesane in tutto e per tutto, aveva così vinta la propria tesi mentre la Repubblica moriva. Le novelle di Francia, i metodi rapidi e decisi delle guerre della Rivoluzione, i sistemi di leva in massa avevano spinta la loro eco fino alla città delle lagune. L'ultimo Savio di Terraferma alla Scrittura se ne era fatto persino il portavoce, unitamente al Savio uscito Bernardino Renier, a Francesco Gritti Savio alle Ordinanze in carica ed a Domenico Almorò Tiepolo Savio alle Ordinanze uscito, al tenente generale Salimbeni, e, tutti insieme - come si costumava per le deliberazioni di maggior rilievo - avevano proposto al Senato di adottare anche per l'esercito Veneto un sistema di reclutamento per coscrizione, con ferma triennale135.

Un premio di due ducati doveva essere corrisposto subito agli estratti nelle rassegne delle cerne, il doppio a coloro che si offrissero spontaneamente alle bandiere. Ai nuovi soldati si prometteva oltre a ciò una licenza di almeno un mese all'anno, da fruirsi alle proprie case durante il periodo invernale, e più precisamente dal novembre al 31 marzo. Al termine della ferma triennale gli inscritti dovevano ricevere un donativo di 18 ducati ognuno.

Questa fu l'ultima evoluzione delle vecchie cernide venete, conforme al concetto che presiede al reclutamento degli eserciti odierni. Per essa l'antico preludeva il nuovo, ed il passato di Vailate e di Rusecco avrebbe schiuso la strada ad una nuova serie di memorande imprese, se la Repubblica avesse avuto occhi per vedere e cuore per intendere. E Giacomo Nani, l'ordinatore delle nuove milizie paesane in battaglioni regolari vestiti ancora della fiammante divisa degli Oltremarini136, avrebbe eguagliato per certo la fama di Bartolomeo d'Alviano, se il popolo veneto che vide cadere la Repubblica come un lògoro e vecchio castello di carte da giuoco davanti alla furia di Napoleone Buonaparte, fosse stato pari in vigore e tenacia al popolo della Lega di Cambrai.

 

*

* *

 

Ma i tempi, i condottieri e le buone milizie non si improvvisano, perchè sono frutto dell'evoluzione lenta dei principi e, sopratutto, della rude esperienza individuale e collettiva. Epperciò la vecchia Repubblica doveva prima, perire e poscia rinnovarsi nell'anima del suo popolo.

In queste condizioni di fatto, il fermento delle nuove età ed i sintomi precisi e sicuri di un rinnovamento prossimo non potevano manifestarsi - anche agli occhi dei più apparecchiati a comprenderli - se non con contorni indecisi e mal definiti, come una linea di orizzonte ampia e nubilosa alla luce dalla prima aurora. Di tali sentimenti fanno fede alcune scritture dell'epoca, e specialmente è suggestiva una dovuta alla meditazione, più che alla penna, di un antico allievo del Militar Collegio di Verona discepolo del maestro Giambattista Joure, cioè il capitano del genio Leonardo Salimbeni, figlio del tenente generale comandante delle milizie venete concentrate a Verona:

«Mi sono fatto incontro al generale Buonaparte - dice quella scrittura - verso la città di Brescia. Tutte le terre ed i villaggi dello Stato Veneto per dove i Francesi si incamminano si mostrano pieni di spavento e di terrore. Gli abitanti si ritirano con i loro effetti nei paesi più lontani e lasciano deserte le case e le campagne. Ho sentito qualche soldato francese lamentarsi di questo (così lo chiamano) difetto di fidanza, epperciò io ho cercato di far cuore agli abitanti delle terre per le quali sono passato... I soldati francesi sono tutti giovani e volonterosi..... in una colonna forte di 20.000 uomini almeno non ne ho veduto alcuno che giungesse all'età di 40 anni. Erano molto allegri, cantavano di continuo canzoni repubblicane, e mi si mostrarono persuasi della capacità e del coraggio dei loro condottieri, lodando sopra tutto e levando al cielo il merito di Buonaparte. Fui assicurato da molti che quei soldati non disertano mai, da quelli infuori che temono imminente un qualche severo castigo. Infatti le loro marce senza le solite cautele per impedire la diserzione mi hanno persuaso che ciò sia proprio vero; ma non sarebbe forse così al caso che fossero battuti.

«Il vestiario di questi giovani soldati di fanteria consiste in un paio di calzoni lunghi di panno bianco, o di tela, in un farsetto di roba simile ed in una velada turchina, del taglio ordinario, fornita di mostre e di paramani bianchi. Hanno cappello in testa, buone scarpe, camicie proprie e grosse cravatte al collo. Gli artiglieri differiscono nel colore delle mostre e dei paramani, che sono di rosso. La cavalleria è meglio vestita, ma in varie maniere. Non si vede però alcuna eleganza di vestiario in nessun corpo di questa armata, l'uniformità e la proprietà osservata dalle truppe tedesche, sicchè si riscontrano molti soldati aventi i loro vestiti affatto lògori e coi gomiti fuori.

«La fanteria è armata di fucile leggero con una lunga baionetta e di una sciabla al fianco. La cavalleria al solito, ma con carabine più corte, ed è fornita di cavalli eccellenti. Gli artiglieri sono tutti a cavallo in vicinanza dei loro pezzi, il che rende quanto mai spedito il loro manneggio durante l'azione, sì volendo avanzare che in ritirata. Nella colonna che ho incontrata non eravi che artiglieria leggiera. Abbondano di pezzi da 8 del calibro francese e di obusieri da 8 pollici, sicchè hanno per questo conto un vantaggio grande sopra gli Austriaci i cui pezzi sono per la maggior parte di calibro minore.

«Un capitano mi ha permesso di esaminare i suoi pezzi e mi spiegò tutte le innovazioni delle nuove artiglierie di Francia.

«Si ottiene tutto da essi con la civiltà e con la franchezza. La disciplina di questa armata è tutta di una nuova natura, e non è veramente in vigore se non quando i soldati si mettono sotto le armi. Dormono sempre allo scoperto e senza tende, passano i fiumi di poca larghezza sempre a nuoto ed i loro ufficiali di fanteria, fino al capitano incluso, marciano a piedi alla testa dei loro uomini. Ufficiali e soldati tutti portano delle bisacce sul dorso, essendo assai piccolo il numero dei domestici permessi dalle loro ordinanze militari....

«Bisogna ora fare un succinto ritratto del generale Buonaparte. La sua statura è al disotto della mediocre, viso scarno e pallido, occhio vivace, corpo esile. È assai composto di sua persona e molto riflessivo. Egli ordini così chiari e precisi ai generali subalterni, che ad essi poco o nulla rimane da aggiungere. Conosce siffattamente la forza delle sue armate, anche nelle più diverse posizioni di manovra, che a memoria ed in un istante egli ne ordina i movimenti senza per ciò ricorrere ad altri aiuti.

«Buonaparte è fertile in progetti che sa condurre a fine sempre per li modi i più semplici. È risoluto nell'operare ed ama in sommo grado la gloria, e la lode.

«Così lo ho veduto e così me lo hanno dipinto i suoi ufficiali ed i suoi soldati»137.

Con questa confusa visione di un esercito dell'avvenire levato dalla nazione e per la nazione, pulsante della vita, della volontà e della forza cosciente di quest'ultima di cui rappresentava il fiore; con l'imagine davanti agli occhi di un esercito condotto da un generale come Napoleone Buonaparte, amante al sommo della gloria e della lode, cadeva l'esercito veneto dei soldati di mestiere per lasciare il posto al nuovo, sull'esempio di quelli che dalla Francia venivano allora ad affacciarsi alle lagune di Venezia.

 

 

 




119 Delib. Senato Militar in Terraferma. 1796, Filza n. 25.



120 Ibidem. Filza 25. - Lettera al Doge in data dell'8 luglio 1796.



121 [122] La fiera esibizione delle genti del Bergamasco finì ai capi del Consiglio dei X, i quali furono al riguardo «del geloso affare... e dell'alto segreto che esso importava... ricercati a divenire, con il loro consiglio e per le vie le più secrete, a quelle deliberazioni che pareranno proprie alla loro prudenza». In altri termini, il Senato nel rassegnare al Consiglio dei Dieci quella proposta con 144 voti favorevoli alla decisione presa e 30 incerti, dimostrò il suo fermo intendimento di cestinarla. (Delib. Senato Militar in Terraferma. 1796. Filza 25. In Pregadì, 12 luglio 1796).



122 Delib. Senato Militar. 1792, Filza 134.



123 Delib. Senato Militar. 1794. Filza 142.



124 Delib. Senato Militar. Filza 134.



125 Rapporto del rappresentante veneto a Torino, Giovanni Andrea Fontana. Delib. Senato Militar. Filza 119.



126 Vedi il § 31 del R. Viglietto 24 dicembre 1736. (Raccolta delle leggi e decreti del Duboin, vol. XXVIII, pag. 193).



127 Delib. Senato Militar. 1794. Filza 142.



128 Delib. Senato Militar. 1794. Filza 135.



129 Registri delle deliberazioni del Senato Militar. Secreta 30. Le norme si erano esaurite da gran tempo.



130 Delib. Senato Militar in Terraferma. 1796. Decreto del 3 marzo detto. Filza n. 149.



131 I gravami personali ai riferivano - come si sa - specialmente ai coniugati, ai fittaoli, agli indegni ecc.



132 Delib. Senato Militar in Terraferma, 1796 Filza 149 - Lo stato delle cerne incorporate nell'anno 1794, la loro suddivisione per circoli di reclutamento ed i loro effettivi, al termine del primo biennio di ferma risultano dallo specchio seguente:

 

 

Descritte nei ruoli

Morti

Fuggiti

Cassi

Effettivi nel 1796

a) Cerne Italiane.

 

 

 

 

 

Padovane

355

8

--

22

325

Vicentine

366

7

20

15

324

Veronesi e Colognesi

403

14

17

10

362

Bresciane

152

1

4

14

133

Dette privilegiate (Orzinovi)

125

--

13

8

104

Bergamasche

164

--

19

7

138

Cremasche

50

--

1

2

47

Bellunesi

110

9

2

10

89

Bassanesi

135

3

5

6

111

Feltrine

79

--

--

11

65

Trevisane

389

4

5

42

338

Salodiane

51

2

1

6

42

Friulane

267

5

11

12

239

Polesane

148

--

3

--

145

 

 

 

 

 

 

Totale

2781

53

101

165

2462

 

 

 

 

 

 

b) Cerne Istriane

226

5

10

3

208

c) Craine Dalmate

732

31

31

15

651

 

 

 

 

 

 

 

3739

89

142

183

3321

 



133 Deliberazione Senato Militar. Filza 149.



134 Discorso al Senato del cav. Francesco Pesaro (ottobre 1792).



135 Delib. Senato Militar in Terraferma. 26 marzo 1796. Filza 149.



136 Vedasi l'ordinamento dalle craine in battaglioni e la loro dislocazione a Venezia e nell'estuario in ottobre-novembre dell'anno 1796 nelle: «Deliberazioni del Senato Militar in Terraferma» Filza 161. - Per l'opera di Giacomo Nani in questa circostanza si veda specialmente il volume di Filippo Nani-Mocenigo ricordato più sopra.



137 Carteggio del Provveditor Generale in Terraferma Nicolò Foscarini. - 1796. Filza n. 1. (Carteggio dal 18 maggio a tutto giugno detto).






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