CAPO
VII.
Il corpo degli
ingegneri militari.
Quando nacque il corpo degli ingegneri
militari veneti, esso legava il suo nome ad un'opera che può sembrare
benaugurante anche oggigiorno. Nella primavera dell'anno 1771 il Capitanio
del Golfo segnalava al Senato la necessità di ridurre in quarto il
grande disegno topografico dell'Albania, e ciò per gli usi correnti e per
conservarne copia nella Fiscal Camera delle Bocche di Cattato.
Il lavoro fu commesso dal Savio alla
Scrittura al tenente colonnello Lorgna, e questi l'affidò a sua volta ai
migliori allievi del Collegio Militare di Verona destinati ad uscire in
quell'anno alfieri nel nuovissimo corpo degli ingegneri militari; così quei
giovani uscirono dall'ombra delle scure torri scaligere al sole di una
vagheggiata vita di operosità e di studi guerreschi, con la visione davanti
agli occhi di quella grande provincia sulla quale, in altri tempi, si era
largamente e fortemente diffuso il nome e la gloria di Venezia.
La decisione di istituire un corpo di
ingegneri militari giungeva infatti in buon punto. Si poteva beneficiare delle
tradizioni e della pratica compiuta altrove, specie in Francia, dai corpi
analoghi; costituire un prezioso ausilio per l'esercito veneto, oltre che quale
organo tecnico anche come istituto direttivo, uniformandosi ai còmpiti che gli
altri corpi del genio militare esercitavano altrove disimpegnando gli affici
inerenti al servizio di stato maggiore165.
Ma non basta. Il novello corpo del genio
militare veneto avrebbe potuto rendere grandi servigi anche nelle relazioni
civili. Infatti le condizioni speciali del suolo della Repubblica, il regime
delle sue acque costiere e rivierasche, la lotta continua e tenace sempre
impegnata con queste affine di conservare igienico e fruttifero il suolo,
portuosi gli scali, facili e spedite le vie fluviali di transito ed i canali
navigabili, avrebbero offerto una inesauribile materia di attività e di lavoro
fecondo agli ingegneri militari veneti, una auspicata occasione insomma per
bene meritare del pubblico benessere.
Ma l'occasione desiderata di creare un
cosiffatto strumento, utile insieme all'esercito e dallo Stato, mancò per
l'ignavia degli uomini e per l'indifferenza dei tempi. Rimase solamente traccia
del buon proposito, della sua pratica assai tardiva, e, come simbolo, il
prestigio del nome di un illustre ufficiale degli ingegneri militari veneti
che, da solo, bastò alla deficienza di tutti gli altri. Tale fu il brigadiere
Giovanni Mario Lorgna166 - più volte ricordato - la cui sfera
d'attività va indivisibilmente congiunta a quella di Bernardino
Zendrini167, il celebre matematico della Repubblica che studiò e
costrusse Murazzi, ed a quella degli ingegneri idraulici che sistemarono
l'alveo del Brenta ed il suo Taglio Nuovissimo168.
Ma la fama militare del brigadiere degli
ingegneri Lorgna va sopratutto collegata alla pratica degli insegnamenti da lui
professati per sette lustri nella scuola d'applicazione di artiglieria e genio
della Serenissima in Verona, agli studi sull'impiego delle mine, sul miglior
rendimento degli esplosivi e sul tracciamento delle gallerie, a qualche
restauro ed ampliamento nelle fortezze di Mantova, di Legnago e di Peschiera,
ai rilievi topografici da lui intrapresi nel territorio irriguo del Polesine,
con il concorso dei suoi allievi, con la cooperazione di Giacomo Nani e con
l'aiuto delle tavolette pretoriane commissionate, per iniziativa del Lorgna
medesimo, in Inghilterra169.
Frutto di questi ultimi lavori fu la grande
carta corografica della regione del basso Adige, pubblicata però dalla
Serenissima tanto tardi che essa servì prima ai suoi nemici - Austriaci e
Francesi - che ai Veneti. Risultavano in questa carta chiaramente tracciati il
corso dei fiumi, dei canali, l'andamento degli scoli, degli argini e delle
strade rispetto alle province finitime, nonchè la postura delle chiuse e delle
conche. La scala era circa del 50.000.
Anche lo stato delle fortificazioni e dei
castelli di Venezia e d'Oltremare - dei quali si parlerà più avanti - ovunque
in rovina, richiedeva urgentemente l'opera riparatrice degli ingegneri
militari. A questo compito avevano atteso fino allora - però in modo
insufficiente ed inadeguato - il personale dei provveditori alle fortezze, i
quartiermastri alle fortificazioni e perfino gli ingegneri ai confini,
corpo di professionisti di Stato dipendenti dalle Camere ai confini,
incaricati in special modo del tracciamento e della manutenzione della
viabilità sulle frontiere della Repubblica170.
Con questi auspizî adunque, nel 1770, venne
creato con apposito senato-consulto il Corpo degli Ingegneri militari,
unitamente al Reggimento di Artiglieria171. Il grande favore, tutto
proprio del tempo, verso quanto di tecnica militare e navale proveniva
dall'Inghilterra, indusse il Savio alla Scrittura a ricercare da quella parte
anche il primo sovraintendente nel corpo novello - come si era fatto per
l'artiglieria - ; e questi fu il colonnello Dixon, scozzese di origine.
Gli organici degli ingegneri militari furono
stabiliti come appresso: 1 colonnello, 1 tenente colonnello, 2 sergenti
maggiori, 8 capitani, 8 tenenti ed altrettanti alfieri, da trarsi questi ultimi
annualmente dal Collegio Militare di Verona. In totale il corpo doveva contare
sul primo piede 28 ufficiali senza alcun riparto di truppa.
L'uniforme era «di scarlatto, con fodera,
giustacuore e calzoni bianchi, con paramenti e mostre fino alla metà del
vestito di velluto nero, dragona d'oro alla spala, e spada con fioco
uniforme»172.
Adunque la buona volontà di costituire il
corpo degli ingegneri militari veneti non mancava, almeno alle apparenze. Ma,
tra il detto ed il fatto, le correlazioni non erano nè semplici nè rapide sotto
la decadenza del governo della Serenissima.
Il Piano regolatore del corpo,
studiato dal colonnello Dixon, prescriveva che, «esaminato fosse il merito non
solo degli ufficiali già titolati come ingegneri e destinati a comporlo, ma
degli altri ancora da inserirsi nel medesimo». E poichè si constatò, con
opportune prove ed esami, che nessuno dei candidati possedeva i
necessari requisiti di idoneità - all'infuori di uno173 - il Senato
deliberò subito di rimandare a miglior epoca la definitiva costituzione del
corpo medesimo.
Trascorso un biennio, lo scozzese Dixon,
contrariato dalle lungaggini e dalle oscitanze verso quel corpo degli ingegneri
che egli non aveva fino allora comandato che sui lindi specchi dei Piedilista,
nella primavera del 1772 chiese ed ottenne di essere esonerato dallo sterile
servizio, e gli successe il colonnello Moser de Filseck, tirolese di origine e
proveniente dall'esercito austriaco. Pure tra il vecchio ed il nuovo, tra lo
scozzese che abbandonava la città delle lagune ed il tirolese che gli
subentrava, il Senato continuò a nicchiare, ad onta che le istanze e le
circostanze incalzassero per indurlo una buona volta a dare corpo e vita al Piano
regolatore decretato fino dal 1770.
«È oramai tempo di decidersi - lasciò scritto
il Savio nel 1779 - e con ciò noi non facciamo che rappresentare non già
sciogliere i dubbi che si affacciano su quest'argomento degli ingegneri
militari, ma giudicheremo tuttavia colpa tacere e ritenere alcune riflessioni
in merito e che lo zelo ci indica... La disciplina è l'anima dei militari, e la
differenza nei gradi rende più sicura la dipendenza ed il buon ordine. Un
sopraintendente degli ingegneri adunque, occupato nelle generali riviste per
tutto lo Stato, il colonnello ispettore, costante e necessario al Collegio
militare di Verona, esercitato per di più ben di frequente in molteplici e
varie commissioni... il corpo senza ufficiali... tutto ciò insomma non giova a
conservare l'armonia nel medesimo. Bisogna decidersi!...»174
Finalmente, nel 1782, il corpo degli
ingegneri militari cominciò a contare qualche ufficiale ritenuto capace di
disimpegnarne gli uffici. Ma siccome quel numero era pur sempre esiguo e di
gran lunga inferiore all'organico, così si adottò un servizio promiscuo tra gli
ingegneri militari ed i colleghi ingegneri ai confini, una specie di
compromesso tra i due corpi tecnici veneti. Sulla fine di quell'anno si trova
infatti che i tenenti ingegneri Carlo Canòva e Francesco Medin, unitamente al
tenente colonnello Milanovich, prestavano la loro opera nell'arginatura
dell'Adige, alle dipendenze del magistrato al detto fiume ed in collaborazione
a taluni ingegneri civili175.
Indi appresso, rendendosi sempre più
frequenti i casi di questo servizio cumulativo, particolarmente nelle province
d'Oltremare, le meno desiderate e le più trascurate, «per lo stato di
desolazione di tutte le caserme, opere interne ed esterne di fortificazione,
ospitali, magazzini, depositi, cisterne ed altro»176, il Savio alla
Scrittura deliberò di meglio precisare i limiti della prestazione comune dei
due corpi, e stabilì «che l'aiuto dovesse essere per l'avvenire reciproco, ma
libero da ogni vincolo l'un l'altro»177.
Il senso della disposizione non era molto
chiaro. Rimase però inteso, in tanta indeterminatezza di forme, che gli
ingegneri ai confini dovessero occuparsi più specialmente dei lavori stradali
in genere, ed in ispecie delle vie del Canale del Ferro, di Venzone, di Gemona,
di San Daniele, del Taglio Nuovo di Palma, della prosecuzione dei lavori
in corso sull'Isonzo, a Porto Buso, nell'Istria, alli scogli di Tessaròlo,
lungo la strada di Campara in Val Lagarina, nel territorio di Cremona e verso
gli Stati del Pontefice; e che gli ingegneri militari dovessero dedicare di
preferenza la loro attività ai lavori di carattere militare, cioè alle opere di
fortificazione, ai castelli ed alle caserme178.
Cosicchè, soltanto nel 1785, vale a dire dopo
circa quindici anni dalla fondazione teorica del corpo degli ingegneri militari
veneti, questo principiava ad avere un inizio di vita, assicuratagli da nuove
cure e previdenze del brigadiere Lorgna, concretate nella riforma delle «Leggi,
regole e scuole del Militar Collegio di Verona».
*
* *
Era però troppo tardi. Rimediare al passato
non era più possibile, tanto era grande ed irreparabile la rovina del presente.
Tra il 1782 ed il 1783 il brigadiere degli ingegneri Moser de Filseck, reduce
da un lungo e fortunoso viaggio d'ispezione nei domini Veneti di Oltremare,
così dipingeva al Principe il triste stato delle fortificazioni della
Repubblica:
«Prima di ogni altra cosa - così scriveva il
Moser - voglia V. E. consentirmi che, con il cuore veramente dolente, io mi
lagni del deperimento nel quale attrovai quasi ogni parte delle opere
componenti i recinti e le fortificazioni dei domini d'Oltremare... specie della
piazza di Zara, il più forte propugnàcolo della provincia di Dalmazia, e delle
riflessibili mancanze e bisogni riconosciuti nelle sue interne militari
fabbriche. Non mi sorprende però, Eccellentissimo Signore, le grandiosi somme
che occorrerebbero per un general restauro di esse opere, bensì il riconoscere
una grande parte dei danni medesimi portati dalla malizia degli uomini e per
difetto di convenienti diligenze, che profittando delli primi intacchi in
un'opera la riducono in consunzione in breve spazio di tempo, senza alcun
riguardo nè timore. Tanto maggiore fu la mia sorpresa quando vidi considerabili
mancanze in situazioni che sono alla vista delle sentinelle e degli stessi
corpi di guardia. Il quartiermastro dovrebbe essere uomo di fermissima
attenzione ed attivo, avere registri esatti ed accompagnare gli ingegneri nelle
visite che essi dovrebbero fare.... ma invece nulla avviene di tutto questo.
Manca il ponte che traversa il fosso capitale della piazza di Zara alla porta
di Terraferma, unica comunicazione con il continente, e per conseguenza la sola
parte per la quale si può entrare in Zara da tutta la estesa provincia, per la
via di terra; è rovesciato il molo dalla parte di mare. Vi si rimediò con un
ponte provvisionale, ma è bisognevole di restauro, ed il molo è sfasciato dalla
violenza delle onde»179.
Nè in migliori condizioni di Zara - la
Venezia della Dalmazia - erano le altre piazze e castelli del littorale e
dell'interno: «Spalato - soggiungeva l'ora detta relazione - ha una situazione
stupenda per sè. L'imperatore Diocleziano vi eresse il suo palagio ed ha per
appoggi il castello di Clissa per proteggerne il commercio verso l'interno e
quello di Sign180. Ma Spalato è ora in decadimento ed un nemico può
eseguirvi un colpo di mano. Vale perciò meglio per lo Stato di stabilire colà i
soli depositi generali di munizioni da bocca e da guerra, e fidarsi meglio
degli appoggi di Clissa e Sign, però bene appropriati.
«Per Sign, fu il veltz-maresciallo
Schoulemburg che dimostrò la necessità di fortificarla fino dal 1718. Ma il
piano non ebbe seguito, e la Repubblica parve allora contentarsi di
fortificare, Clissa e Dernis ed il passo di Roncislap, sulla Kerka181.
Infine, nel 1752, furono fatti pochi lavori a Sign... ed a Spalato non furono
toccate che poche rovine del vecchio forte e nulla più. Eppure Sign è luogo di
confine, vi si fermano le carovane dei Turchi prima di scendere a Spalato e vi
è una caserma confinaria.
«Clissa è disposta sull'erto di un greppo che
domina il solo passo per il quale, da Sign, si può entrare nel contado di
Spalato. I recinti della fortezza sono in buono stato e, con piccole aggiunte
alle opere attuali, si potrebbe ridurre quel posto molto forte. Clissa è
provvista di conservatorî da acqua (serbatoj), requisito assai necessario per
una piazza di guerra in queste regioni. Qualche ristauro vi è però necessario,
acciocchè possano contenere quest'ultimo elemento nella qualità e nella
quantità indispensabili... Occorrono però ristauri anche sulla strada di Sign,
per Clissa, fino a Spalato182. In questa strada, a quattro miglia circa
da Spalato (dove sono ancora alcuni residui della città di Salona) è fissato un
appostamento per una compagnia di Dalmatini (Oltramarini), il cui
quartiere è però così miserabile che opprime lo spirito entrando nel medesimo».
Proseguendo nel triste pellegrinaggio, dalla
Dalmazia alle terre Levantine, le tinte del rapporto Moser si fanno ancora più
fosche, come che la vita pubblica veneta scemasse di vigore e di calore a
misura che si allontanava dalla Dominante e dalle province a questa più vicine.
«A Corfù - continua la ricordata relazione - le opere sono tutte ingombre, i
parapetti rovesciati, disfatte le embrasure (feritoie) ... sicchè
confesso che grande fu la mia sorpresa nell'attraversare tanta rovina. A Cerigo
ed Asso, la medesima desolazione. Quivi i N.N. H.H.183 rappresentanti,
nelle loro abitazioni, sono appena riparati dai raggi solari ed il vento e la
pioggia entra per ogni parte. Gli ufficiali di Cerigo pagano alloggio di casa,
essendo atterrate quelle che loro servivano da ricovero; i soldati sono
pessimamente posti nei corpi di guardia. Ad Asso infine tutte le fabbriche
militari sono in rovina. Le condizioni del forte di San Francesco di Cerigo...
mi hanno poi fatto rabbrividire, ed invoco provvedimenti per il decoro del
Principato. Li otto pezzi che quivi sono nella casa di San Nicolò, 3 da 30 e 5
da 20, sarebbe più decoroso che fossero interamente a terra, piuttostochè
vederli appoggiati sui fracidissimi rottami dei loro letti (affusti).
«A Cefalonia le due fortezze sono ora
interamente disabitate... Prèvesa acquistata nell'ultima guerra contro il
Turco, nel golfo di Arta, insieme a Voniza184 esposta alle incursioni
nemiche, è fortezza solo di nome ma in realtà è un mal conservato
trinceramento».
Ed il sopraintendente Moser dopo questa fiera
requisitoria così concludeva: «Si faccia presto a provvedere. Siano fornite le
milizie di quartieri e di ospitali che loro sono urgentemente necessari,
capitali i più preziosi per le convenienze del Principato. Se no, a nulla
servono le bene intese e solide fortificazioni, gli utensili, gli attrezzi da
guerra, armi di buona tempera e ben conservate, se non vengono difese le une e
maneggiate le altre da destro e robusto braccio».
*
* *
Il triste spettacolo delle province d'oltremare
in rovina, senza difesa, senza cannoni, senza milizie, l'imagine delle
residenze dei rappresentanti della Repubblica sul punto di crollare; dei
picchetti di Oltremarini usciti fuori delle caserme per cercare miglior
sicurezza e riparo sotto le tende, presso le rive di quel mare che fu già pieno
del nome e della gloria di Venezia, quasi attendessero di momento in momento di
mutare dimora, deve avere per certo commosso lo spirito del Senato Veneto. Ma
poichè l'azione era a quel tempo assai più ardua della commiserazione ed i
mezzucci assai più facili delle decisioni pronte e virili, si ricorse anche
questa volta ai timidi tentativi, tanto per ingannare il pericolo dell'ora.
Così avvenne che in risposta al disperato
appello del Moser, la Serenissima si contentò di istituire il corpo dei Travagliatori
del genio.
Taluni storici della Repubblica - ed il
Romanin tra gli altri185 - vollero attribuire a quel corpo un
significato moderno, qualificandolo per precursore dell'odierna arma del genio.
Ma il paragone a tutto rigore di critica non regge. Al massimo i travagliatori
veneti potevano rassomigliarsi alle compagnie di ouvriers, che
esistevano nell'esercito francese prima dell'anno 1776; compagnie che vennero
poi surrogate dai soldati pionniers con precisi attributi di arma
tecnica, ciò che significa che i predecessori degli ouvriers non
possedevano i requisiti dei pionieri o, quanto meno, in modo assai incompleto.
Ma anche facendo astrazione da questi còmpiti
e da questi paralleli, occorre mettere in rilievo qualche altro aspetto che
meglio serva a chiarire il valore militare e morale del nuovo corpo dei travagliatori,
e le differenze sostanziali con il corpo dei soldati pionniers di
Francia, cui si vorrebbe troppo corrivamente ricollegare le tradizioni
organiche dei travagliatori veneti.
Il Moser adunque, esponendo l'urgenza di far
argine al decadere delle fortificazioni veneziane, proponeva d'impiegare nei
ristauri un personale militare ordinato in compagnie, con reclutamento, còmpiti
e trattamento assai analoghi a quelli delle odierne compagnie di disciplina.
Era quindi una specie di stabilimento di correzione militare che si trattava di
istituire, realizzando con esso due vantaggi precipui: quello cioè di purgare i
corpi dai soggetti più pericolosi e di impiegare la loro mano d'opera nei
restauri delle fortificazioni e delle caserme a prezzo più conveniente della
mano d'opera borghese.
Quest'opera di risanamento dal lato morale
militare - particolarmente caldeggiata dal Savio di Terraferma alla Scrittura
in carica Niccolò Foscarini - piacque al Senato che l'approvò anzitutto per
tali viste. «Per togliere i perniciosi effetti - come diceva la relazione
premessa dal detto Savio al decreto che ordinava la costituzione del corpo dei travagliatori
- derivati dalla introduzione nella truppa dì quelle figure che, quantunque ree
di non gravi delitti, chiamano tuttavia la pubblica vigilanza ad impedire loro
maggiori trapassi,... e nell'intento precipuo di tenere aperta una via per
allontanare dalla Terraferma e dalla Dominante gli individui infesti alla
comune quiete, si assoggetta l'ora intesa scrittura.
«Ed essa si dirige a stabilire l'istituzione
di due Corpi di Travagliatori186 che raccoglier abbiano le sopra
indicate figure ed inoltre quei soldati che, per indisciplina e scostumatezza,
venissero giudicati dalle pubbliche cariche d'Oltremare e Savio alla Scrittura
degni di tale correzione, per essere impiegati nelle fabbriche ed in ogni altro
pubblico lavoro d'Oltremare. Ed il Senato, che adatto ciò riconosce alle viste
del suo servizio ed alla tranquillità dei suoi sudditi, avvalora il
provvedimento con la sua approvazione.
«I soldati travagliatori avranno la
paga di soldato di fanteria italiana, più una diaria di cinque gazzette187
nei giorni di continuato lavoro, onde possano procurarsi una nutrizione adatta
alle fatiche: ai capi-squadra saranno corrisposte dieci gazzette. Il
vestiario dei travagliatori deve esser fatto dal Magistrato sopra
Camere188 e di due in due anni loro somministrato, giusta il modello
che l'esattezza della conferenza assoggetta, e che si rileva corrispondere in
un sessennio al valore di quello usato dalla truppa italiana»189
Tale fu l'ordinamento del corpo di
travagliatori Veneti suddiviso in due compagnie: una destinata ai lavori di
Levante, l'altra a quelli della Dalmazia190. È chiaro adunque che
l'idea di istituire un corpo del genio militare era ben lungi ancora dalla
mente dei governanti veneti nel 1785. E come non bastassero ad attestarlo le
espressioni del senatoconsulto ora citato, v'ha ancora il libro dei Doveri
del Corpo dei Travagliatori, pronto a ribadire tale concetto. A custodia
delle principali residenze delle due compagnie - cioè la Cittadella di
Corfù ed il Forte di Zara - erano stabiliti dei grossi picchetti di
guardia, ciò che dinota la condizione molto simile a quella dei forzati in cui
erano tenuti i componenti del corpo.
L'anzidetto libro dei Doveri191
specifica ancora meglio tale condizione pressochè ergastolana dei travagliatori
quando prescrive che, «a far parte di diritto dei detti corpi sono
chiamati quegli individui che, dai varî tribunali, uffizi, magistrati e
reggimenti, vengono condannati a servire nella truppa. Non possono però
introdurvisi gli individui rei di gravi delitti ed infamanti, nè incapaci al
lavoro... Dietro parere delle primarie cariche delle province di Oltremare e
del Savio di Terraferma alla Scrittura, si possono altresì condannare a
servire nei corpi dei travagliatori quei soldati che si mostrassero di mal
costume, o indisciplinati, o che meritassero almeno due anni di correzione.
Spirati questi due anni e non dando i soldati segni di ravvedimento
termineranno quivi l'ingaggio. I ravveduti termineranno invece lo ingaggio nella
truppa dove saranno nuovamente trasferiti».
I travagliatori non erano adunque che
tristi soggetti allontanati dall'esercito, e la cura di liberarnelo al
possibile primeggiava sopra ogni altra, ad onta della rovina delle
fortificazioni veneziane e della fosca dipintura del sopraintendente Moser. Fu
soltanto pochi mesi prima della caduta della Serenissima che il generale
Stràtico richiese effettivamente al Savio alla Scrittura di istituire un corpo
del genio militare, con attributi e còmpiti da arma nel senso moderno;
«formando finalmente un corpo di guastatori, istrutto nella
costruzione dei trinceramenti ed opere campali sotto la direzione degli
ufficiali ingegneri e nella gittata dei ponti per il passaggio dei fiumi. Così
ad ogni comando nulla verrebbe a mancare, tanto per muovere la truppa contro
l'oste nemica che per assicurarle una forza superiore alla medesima».
Ma lo Stràtico scriveva così soltanto il 20
luglio 1796192.
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