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Eugenio Barbarich
La campagna del 1796 nel Veneto

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  • CAPO VII.   Il corpo degli ingegneri militari.
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CAPO VII.

 

Il corpo degli ingegneri militari.

 

Quando nacque il corpo degli ingegneri militari veneti, esso legava il suo nome ad un'opera che può sembrare benaugurante anche oggigiorno. Nella primavera dell'anno 1771 il Capitanio del Golfo segnalava al Senato la necessità di ridurre in quarto il grande disegno topografico dell'Albania, e ciò per gli usi correnti e per conservarne copia nella Fiscal Camera delle Bocche di Cattato.

Il lavoro fu commesso dal Savio alla Scrittura al tenente colonnello Lorgna, e questi l'affidò a sua volta ai migliori allievi del Collegio Militare di Verona destinati ad uscire in quell'anno alfieri nel nuovissimo corpo degli ingegneri militari; così quei giovani uscirono dall'ombra delle scure torri scaligere al sole di una vagheggiata vita di operosità e di studi guerreschi, con la visione davanti agli occhi di quella grande provincia sulla quale, in altri tempi, si era largamente e fortemente diffuso il nome e la gloria di Venezia.

La decisione di istituire un corpo di ingegneri militari giungeva infatti in buon punto. Si poteva beneficiare delle tradizioni e della pratica compiuta altrove, specie in Francia, dai corpi analoghi; costituire un prezioso ausilio per l'esercito veneto, oltre che quale organo tecnico anche come istituto direttivo, uniformandosi ai còmpiti che gli altri corpi del genio militare esercitavano altrove disimpegnando gli affici inerenti al servizio di stato maggiore165.

Ma non basta. Il novello corpo del genio militare veneto avrebbe potuto rendere grandi servigi anche nelle relazioni civili. Infatti le condizioni speciali del suolo della Repubblica, il regime delle sue acque costiere e rivierasche, la lotta continua e tenace sempre impegnata con queste affine di conservare igienico e fruttifero il suolo, portuosi gli scali, facili e spedite le vie fluviali di transito ed i canali navigabili, avrebbero offerto una inesauribile materia di attività e di lavoro fecondo agli ingegneri militari veneti, una auspicata occasione insomma per bene meritare del pubblico benessere.

Ma l'occasione desiderata di creare un cosiffatto strumento, utile insieme all'esercito e dallo Stato, mancò per l'ignavia degli uomini e per l'indifferenza dei tempi. Rimase solamente traccia del buon proposito, della sua pratica assai tardiva, e, come simbolo, il prestigio del nome di un illustre ufficiale degli ingegneri militari veneti che, da solo, bastò alla deficienza di tutti gli altri. Tale fu il brigadiere Giovanni Mario Lorgna166 - più volte ricordato - la cui sfera d'attività va indivisibilmente congiunta a quella di Bernardino Zendrini167, il celebre matematico della Repubblica che studiò e costrusse Murazzi, ed a quella degli ingegneri idraulici che sistemarono l'alveo del Brenta ed il suo Taglio Nuovissimo168.

Ma la fama militare del brigadiere degli ingegneri Lorgna va sopratutto collegata alla pratica degli insegnamenti da lui professati per sette lustri nella scuola d'applicazione di artiglieria e genio della Serenissima in Verona, agli studi sull'impiego delle mine, sul miglior rendimento degli esplosivi e sul tracciamento delle gallerie, a qualche restauro ed ampliamento nelle fortezze di Mantova, di Legnago e di Peschiera, ai rilievi topografici da lui intrapresi nel territorio irriguo del Polesine, con il concorso dei suoi allievi, con la cooperazione di Giacomo Nani e con l'aiuto delle tavolette pretoriane commissionate, per iniziativa del Lorgna medesimo, in Inghilterra169.

Frutto di questi ultimi lavori fu la grande carta corografica della regione del basso Adige, pubblicata però dalla Serenissima tanto tardi che essa servì prima ai suoi nemici - Austriaci e Francesi - che ai Veneti. Risultavano in questa carta chiaramente tracciati il corso dei fiumi, dei canali, l'andamento degli scoli, degli argini e delle strade rispetto alle province finitime, nonchè la postura delle chiuse e delle conche. La scala era circa del 50.000.

Anche lo stato delle fortificazioni e dei castelli di Venezia e d'Oltremare - dei quali si parlerà più avanti - ovunque in rovina, richiedeva urgentemente l'opera riparatrice degli ingegneri militari. A questo compito avevano atteso fino allora - però in modo insufficiente ed inadeguato - il personale dei provveditori alle fortezze, i quartiermastri alle fortificazioni e perfino gli ingegneri ai confini, corpo di professionisti di Stato dipendenti dalle Camere ai confini, incaricati in special modo del tracciamento e della manutenzione della viabilità sulle frontiere della Repubblica170.

Con questi auspizî adunque, nel 1770, venne creato con apposito senato-consulto il Corpo degli Ingegneri militari, unitamente al Reggimento di Artiglieria171. Il grande favore, tutto proprio del tempo, verso quanto di tecnica militare e navale proveniva dall'Inghilterra, indusse il Savio alla Scrittura a ricercare da quella parte anche il primo sovraintendente nel corpo novello - come si era fatto per l'artiglieria - ; e questi fu il colonnello Dixon, scozzese di origine.

Gli organici degli ingegneri militari furono stabiliti come appresso: 1 colonnello, 1 tenente colonnello, 2 sergenti maggiori, 8 capitani, 8 tenenti ed altrettanti alfieri, da trarsi questi ultimi annualmente dal Collegio Militare di Verona. In totale il corpo doveva contare sul primo piede 28 ufficiali senza alcun riparto di truppa.

L'uniforme era «di scarlatto, con fodera, giustacuore e calzoni bianchi, con paramenti e mostre fino alla metà del vestito di velluto nero, dragona d'oro alla spala, e spada con fioco uniforme»172.

Adunque la buona volontà di costituire il corpo degli ingegneri militari veneti non mancava, almeno alle apparenze. Ma, tra il detto ed il fatto, le correlazioni non erano semplici rapide sotto la decadenza del governo della Serenissima.

Il Piano regolatore del corpo, studiato dal colonnello Dixon, prescriveva che, «esaminato fosse il merito non solo degli ufficiali già titolati come ingegneri e destinati a comporlo, ma degli altri ancora da inserirsi nel medesimo». E poichè si constatò, con opportune prove ed esami, che nessuno dei candidati possedeva i necessari requisiti di idoneità - all'infuori di uno173 - il Senato deliberò subito di rimandare a miglior epoca la definitiva costituzione del corpo medesimo.

Trascorso un biennio, lo scozzese Dixon, contrariato dalle lungaggini e dalle oscitanze verso quel corpo degli ingegneri che egli non aveva fino allora comandato che sui lindi specchi dei Piedilista, nella primavera del 1772 chiese ed ottenne di essere esonerato dallo sterile servizio, e gli successe il colonnello Moser de Filseck, tirolese di origine e proveniente dall'esercito austriaco. Pure tra il vecchio ed il nuovo, tra lo scozzese che abbandonava la città delle lagune ed il tirolese che gli subentrava, il Senato continuò a nicchiare, ad onta che le istanze e le circostanze incalzassero per indurlo una buona volta a dare corpo e vita al Piano regolatore decretato fino dal 1770.

«È oramai tempo di decidersi - lasciò scritto il Savio nel 1779 - e con ciò noi non facciamo che rappresentare non già sciogliere i dubbi che si affacciano su quest'argomento degli ingegneri militari, ma giudicheremo tuttavia colpa tacere e ritenere alcune riflessioni in merito e che lo zelo ci indica... La disciplina è l'anima dei militari, e la differenza nei gradi rende più sicura la dipendenza ed il buon ordine. Un sopraintendente degli ingegneri adunque, occupato nelle generali riviste per tutto lo Stato, il colonnello ispettore, costante e necessario al Collegio militare di Verona, esercitato per di più ben di frequente in molteplici e varie commissioni... il corpo senza ufficiali... tutto ciò insomma non giova a conservare l'armonia nel medesimo. Bisogna decidersi!...»174

Finalmente, nel 1782, il corpo degli ingegneri militari cominciò a contare qualche ufficiale ritenuto capace di disimpegnarne gli uffici. Ma siccome quel numero era pur sempre esiguo e di gran lunga inferiore all'organico, così si adottò un servizio promiscuo tra gli ingegneri militari ed i colleghi ingegneri ai confini, una specie di compromesso tra i due corpi tecnici veneti. Sulla fine di quell'anno si trova infatti che i tenenti ingegneri Carlo Canòva e Francesco Medin, unitamente al tenente colonnello Milanovich, prestavano la loro opera nell'arginatura dell'Adige, alle dipendenze del magistrato al detto fiume ed in collaborazione a taluni ingegneri civili175.

Indi appresso, rendendosi sempre più frequenti i casi di questo servizio cumulativo, particolarmente nelle province d'Oltremare, le meno desiderate e le più trascurate, «per lo stato di desolazione di tutte le caserme, opere interne ed esterne di fortificazione, ospitali, magazzini, depositi, cisterne ed altro»176, il Savio alla Scrittura deliberò di meglio precisare i limiti della prestazione comune dei due corpi, e stabilì «che l'aiuto dovesse essere per l'avvenire reciproco, ma libero da ogni vincolo l'un l'altro»177.

Il senso della disposizione non era molto chiaro. Rimase però inteso, in tanta indeterminatezza di forme, che gli ingegneri ai confini dovessero occuparsi più specialmente dei lavori stradali in genere, ed in ispecie delle vie del Canale del Ferro, di Venzone, di Gemona, di San Daniele, del Taglio Nuovo di Palma, della prosecuzione dei lavori in corso sull'Isonzo, a Porto Buso, nell'Istria, alli scogli di Tessaròlo, lungo la strada di Campara in Val Lagarina, nel territorio di Cremona e verso gli Stati del Pontefice; e che gli ingegneri militari dovessero dedicare di preferenza la loro attività ai lavori di carattere militare, cioè alle opere di fortificazione, ai castelli ed alle caserme178.

Cosicchè, soltanto nel 1785, vale a dire dopo circa quindici anni dalla fondazione teorica del corpo degli ingegneri militari veneti, questo principiava ad avere un inizio di vita, assicuratagli da nuove cure e previdenze del brigadiere Lorgna, concretate nella riforma delle «Leggi, regole e scuole del Militar Collegio di Verona».

 

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Era però troppo tardi. Rimediare al passato non era più possibile, tanto era grande ed irreparabile la rovina del presente. Tra il 1782 ed il 1783 il brigadiere degli ingegneri Moser de Filseck, reduce da un lungo e fortunoso viaggio d'ispezione nei domini Veneti di Oltremare, così dipingeva al Principe il triste stato delle fortificazioni della Repubblica:

«Prima di ogni altra cosa - così scriveva il Moser - voglia V. E. consentirmi che, con il cuore veramente dolente, io mi lagni del deperimento nel quale attrovai quasi ogni parte delle opere componenti i recinti e le fortificazioni dei domini d'Oltremare... specie della piazza di Zara, il più forte propugnàcolo della provincia di Dalmazia, e delle riflessibili mancanze e bisogni riconosciuti nelle sue interne militari fabbriche. Non mi sorprende però, Eccellentissimo Signore, le grandiosi somme che occorrerebbero per un general restauro di esse opere, bensì il riconoscere una grande parte dei danni medesimi portati dalla malizia degli uomini e per difetto di convenienti diligenze, che profittando delli primi intacchi in un'opera la riducono in consunzione in breve spazio di tempo, senza alcun riguardo timore. Tanto maggiore fu la mia sorpresa quando vidi considerabili mancanze in situazioni che sono alla vista delle sentinelle e degli stessi corpi di guardia. Il quartiermastro dovrebbe essere uomo di fermissima attenzione ed attivo, avere registri esatti ed accompagnare gli ingegneri nelle visite che essi dovrebbero fare.... ma invece nulla avviene di tutto questo. Manca il ponte che traversa il fosso capitale della piazza di Zara alla porta di Terraferma, unica comunicazione con il continente, e per conseguenza la sola parte per la quale si può entrare in Zara da tutta la estesa provincia, per la via di terra; è rovesciato il molo dalla parte di mare. Vi si rimediò con un ponte provvisionale, ma è bisognevole di restauro, ed il molo è sfasciato dalla violenza delle onde»179.

in migliori condizioni di Zara - la Venezia della Dalmazia - erano le altre piazze e castelli del littorale e dell'interno: «Spalato - soggiungeva l'ora detta relazione - ha una situazione stupenda per . L'imperatore Diocleziano vi eresse il suo palagio ed ha per appoggi il castello di Clissa per proteggerne il commercio verso l'interno e quello di Sign180. Ma Spalato è ora in decadimento ed un nemico può eseguirvi un colpo di mano. Vale perciò meglio per lo Stato di stabilire colà i soli depositi generali di munizioni da bocca e da guerra, e fidarsi meglio degli appoggi di Clissa e Sign, però bene appropriati.

«Per Sign, fu il veltz-maresciallo Schoulemburg che dimostrò la necessità di fortificarla fino dal 1718. Ma il piano non ebbe seguito, e la Repubblica parve allora contentarsi di fortificare, Clissa e Dernis ed il passo di Roncislap, sulla Kerka181. Infine, nel 1752, furono fatti pochi lavori a Sign... ed a Spalato non furono toccate che poche rovine del vecchio forte e nulla più. Eppure Sign è luogo di confine, vi si fermano le carovane dei Turchi prima di scendere a Spalato e vi è una caserma confinaria.

«Clissa è disposta sull'erto di un greppo che domina il solo passo per il quale, da Sign, si può entrare nel contado di Spalato. I recinti della fortezza sono in buono stato e, con piccole aggiunte alle opere attuali, si potrebbe ridurre quel posto molto forte. Clissa è provvista di conservatorî da acqua (serbatoj), requisito assai necessario per una piazza di guerra in queste regioni. Qualche ristauro vi è però necessario, acciocchè possano contenere quest'ultimo elemento nella qualità e nella quantità indispensabili... Occorrono però ristauri anche sulla strada di Sign, per Clissa, fino a Spalato182. In questa strada, a quattro miglia circa da Spalato (dove sono ancora alcuni residui della città di Salona) è fissato un appostamento per una compagnia di Dalmatini (Oltramarini), il cui quartiere è però così miserabile che opprime lo spirito entrando nel medesimo».

Proseguendo nel triste pellegrinaggio, dalla Dalmazia alle terre Levantine, le tinte del rapporto Moser si fanno ancora più fosche, come che la vita pubblica veneta scemasse di vigore e di calore a misura che si allontanava dalla Dominante e dalle province a questa più vicine. «A Corfù - continua la ricordata relazione - le opere sono tutte ingombre, i parapetti rovesciati, disfatte le embrasure (feritoie) ... sicchè confesso che grande fu la mia sorpresa nell'attraversare tanta rovina. A Cerigo ed Asso, la medesima desolazione. Quivi i N.N. H.H.183 rappresentanti, nelle loro abitazioni, sono appena riparati dai raggi solari ed il vento e la pioggia entra per ogni parte. Gli ufficiali di Cerigo pagano alloggio di casa, essendo atterrate quelle che loro servivano da ricovero; i soldati sono pessimamente posti nei corpi di guardia. Ad Asso infine tutte le fabbriche militari sono in rovina. Le condizioni del forte di San Francesco di Cerigo... mi hanno poi fatto rabbrividire, ed invoco provvedimenti per il decoro del Principato. Li otto pezzi che quivi sono nella casa di San Nicolò, 3 da 30 e 5 da 20, sarebbe più decoroso che fossero interamente a terra, piuttostochè vederli appoggiati sui fracidissimi rottami dei loro letti (affusti).

«A Cefalonia le due fortezze sono ora interamente disabitate... Prèvesa acquistata nell'ultima guerra contro il Turco, nel golfo di Arta, insieme a Voniza184 esposta alle incursioni nemiche, è fortezza solo di nome ma in realtà è un mal conservato trinceramento».

Ed il sopraintendente Moser dopo questa fiera requisitoria così concludeva: «Si faccia presto a provvedere. Siano fornite le milizie di quartieri e di ospitali che loro sono urgentemente necessari, capitali i più preziosi per le convenienze del Principato. Se no, a nulla servono le bene intese e solide fortificazioni, gli utensili, gli attrezzi da guerra, armi di buona tempera e ben conservate, se non vengono difese le une e maneggiate le altre da destro e robusto braccio».

 

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* *

 

Il triste spettacolo delle province d'oltremare in rovina, senza difesa, senza cannoni, senza milizie, l'imagine delle residenze dei rappresentanti della Repubblica sul punto di crollare; dei picchetti di Oltremarini usciti fuori delle caserme per cercare miglior sicurezza e riparo sotto le tende, presso le rive di quel mare che fu già pieno del nome e della gloria di Venezia, quasi attendessero di momento in momento di mutare dimora, deve avere per certo commosso lo spirito del Senato Veneto. Ma poichè l'azione era a quel tempo assai più ardua della commiserazione ed i mezzucci assai più facili delle decisioni pronte e virili, si ricorse anche questa volta ai timidi tentativi, tanto per ingannare il pericolo dell'ora.

Così avvenne che in risposta al disperato appello del Moser, la Serenissima si contentò di istituire il corpo dei Travagliatori del genio.

Taluni storici della Repubblica - ed il Romanin tra gli altri185 - vollero attribuire a quel corpo un significato moderno, qualificandolo per precursore dell'odierna arma del genio. Ma il paragone a tutto rigore di critica non regge. Al massimo i travagliatori veneti potevano rassomigliarsi alle compagnie di ouvriers, che esistevano nell'esercito francese prima dell'anno 1776; compagnie che vennero poi surrogate dai soldati pionniers con precisi attributi di arma tecnica, ciò che significa che i predecessori degli ouvriers non possedevano i requisiti dei pionieri o, quanto meno, in modo assai incompleto.

Ma anche facendo astrazione da questi còmpiti e da questi paralleli, occorre mettere in rilievo qualche altro aspetto che meglio serva a chiarire il valore militare e morale del nuovo corpo dei travagliatori, e le differenze sostanziali con il corpo dei soldati pionniers di Francia, cui si vorrebbe troppo corrivamente ricollegare le tradizioni organiche dei travagliatori veneti.

Il Moser adunque, esponendo l'urgenza di far argine al decadere delle fortificazioni veneziane, proponeva d'impiegare nei ristauri un personale militare ordinato in compagnie, con reclutamento, còmpiti e trattamento assai analoghi a quelli delle odierne compagnie di disciplina. Era quindi una specie di stabilimento di correzione militare che si trattava di istituire, realizzando con esso due vantaggi precipui: quello cioè di purgare i corpi dai soggetti più pericolosi e di impiegare la loro mano d'opera nei restauri delle fortificazioni e delle caserme a prezzo più conveniente della mano d'opera borghese.

Quest'opera di risanamento dal lato morale militare - particolarmente caldeggiata dal Savio di Terraferma alla Scrittura in carica Niccolò Foscarini - piacque al Senato che l'approvò anzitutto per tali viste. «Per togliere i perniciosi effetti - come diceva la relazione premessa dal detto Savio al decreto che ordinava la costituzione del corpo dei travagliatori - derivati dalla introduzione nella truppa quelle figure che, quantunque ree di non gravi delitti, chiamano tuttavia la pubblica vigilanza ad impedire loro maggiori trapassi,... e nell'intento precipuo di tenere aperta una via per allontanare dalla Terraferma e dalla Dominante gli individui infesti alla comune quiete, si assoggetta l'ora intesa scrittura.

«Ed essa si dirige a stabilire l'istituzione di due Corpi di Travagliatori186 che raccoglier abbiano le sopra indicate figure ed inoltre quei soldati che, per indisciplina e scostumatezza, venissero giudicati dalle pubbliche cariche d'Oltremare e Savio alla Scrittura degni di tale correzione, per essere impiegati nelle fabbriche ed in ogni altro pubblico lavoro d'Oltremare. Ed il Senato, che adatto ciò riconosce alle viste del suo servizio ed alla tranquillità dei suoi sudditi, avvalora il provvedimento con la sua approvazione.

«I soldati travagliatori avranno la paga di soldato di fanteria italiana, più una diaria di cinque gazzette187 nei giorni di continuato lavoro, onde possano procurarsi una nutrizione adatta alle fatiche: ai capi-squadra saranno corrisposte dieci gazzette. Il vestiario dei travagliatori deve esser fatto dal Magistrato sopra Camere188 e di due in due anni loro somministrato, giusta il modello che l'esattezza della conferenza assoggetta, e che si rileva corrispondere in un sessennio al valore di quello usato dalla truppa italiana»189

Tale fu l'ordinamento del corpo di travagliatori Veneti suddiviso in due compagnie: una destinata ai lavori di Levante, l'altra a quelli della Dalmazia190. È chiaro adunque che l'idea di istituire un corpo del genio militare era ben lungi ancora dalla mente dei governanti veneti nel 1785. E come non bastassero ad attestarlo le espressioni del senatoconsulto ora citato, v'ha ancora il libro dei Doveri del Corpo dei Travagliatori, pronto a ribadire tale concetto. A custodia delle principali residenze delle due compagnie - cioè la Cittadella di Corfù ed il Forte di Zara - erano stabiliti dei grossi picchetti di guardia, ciò che dinota la condizione molto simile a quella dei forzati in cui erano tenuti i componenti del corpo.

L'anzidetto libro dei Doveri191 specifica ancora meglio tale condizione pressochè ergastolana dei travagliatori quando prescrive che, «a far parte di diritto dei detti corpi sono chiamati quegli individui che, dai varî tribunali, uffizi, magistrati e reggimenti, vengono condannati a servire nella truppa. Non possono però introdurvisi gli individui rei di gravi delitti ed infamanti, incapaci al lavoro... Dietro parere delle primarie cariche delle province di Oltremare e del Savio di Terraferma alla Scrittura, si possono altresì condannare a servire nei corpi dei travagliatori quei soldati che si mostrassero di mal costume, o indisciplinati, o che meritassero almeno due anni di correzione. Spirati questi due anni e non dando i soldati segni di ravvedimento termineranno quivi l'ingaggio. I ravveduti termineranno invece lo ingaggio nella truppa dove saranno nuovamente trasferiti».

I travagliatori non erano adunque che tristi soggetti allontanati dall'esercito, e la cura di liberarnelo al possibile primeggiava sopra ogni altra, ad onta della rovina delle fortificazioni veneziane e della fosca dipintura del sopraintendente Moser. Fu soltanto pochi mesi prima della caduta della Serenissima che il generale Stràtico richiese effettivamente al Savio alla Scrittura di istituire un corpo del genio militare, con attributi e còmpiti da arma nel senso moderno; «formando finalmente un corpo di guastatori, istrutto nella costruzione dei trinceramenti ed opere campali sotto la direzione degli ufficiali ingegneri e nella gittata dei ponti per il passaggio dei fiumi. Così ad ogni comando nulla verrebbe a mancare, tanto per muovere la truppa contro l'oste nemica che per assicurarle una forza superiore alla medesima».

Ma lo Stràtico scriveva così soltanto il 20 luglio 1796192.

 

 

 




165 Le funzioni del servizio di stato maggiore, disimpegnate in Francia per gran tempo dal corpo degli ingegneri militari, furono trasferite nell'anno 1783 al corpo di stato maggiore propriamente detto.



166 Nacque il Lorgna il 22 ottobre 1735 a Cerea di Verona e morì in questa ultima città, nel Collegio Militare, il 27 giugno 1796. «Fu aggregato - dicono i documenti - alle prime accademie dell'Europa, carteggiò con tutti i dotti della terra e produsse opere matematiche e fisiche che gli procurarono la stima universale. Dei 60 anni che visse, 35 ne dedicò al Militar Collegio di Verona nello insegnamento». (Carteggio del Collegio Militar di Verona. - Savio di Terraferma alla Scrittura. - Busta 246)



167 L'autore dell'opera insigne dal titolo: Del corso delle acque.



168 L'idea dei Murazzi si deve effettivamente al padre Coronelli che ne trattò dapprima nell'opuscolo assai raro dal titolo: «Proposte del padre Coronelli importanti al pubblico e privato, svelate e delucidate con disegni»



169 Vedasi carteggio del Collegio Militar di Verona sopra citato. Anni 1769-1770.



170 Il corpo degli Ingegneri ai confini possiede negli Archivi di Stato di Venezia un copioso carteggio del tutto inesplorato.



171 Decreto del Senato, 5 ottobre l770. (Delib. Senato Militar.) Filza n. 100. Secreta I.



172 Collegio Militare di Verona, - Savio di Terraferma alla Scrittura - Busta 246.



173 Il capitano degli ingegneri militari Ferro, da Treviso (Delib. Senato militar, Filza n. 102, 1770).



174 Delib. Senato Milit. Filza 100. 1779-1781.



175 Delib. Senato Milit. Secreta. Registro n. 28. 1782-1785.



176 Delib. Senato Milit. Rapporto al Principe del brigadiere Sopraintendente degli ingegneri militari veneti, Moser de Filseck.



177 Delib. Senato Milit. Filza 115. Anno 1785.



178 Delib. Senato Milit. Filza 117. Anno 1785.



179 Rapporto del sopraintendente del corpo degli ingegneri militari, Moser de Filseck, sullo stato delle piazze di Oltremare, allegato dal Savio di Terraferma alla Scrittura Francesco Vendramin in una relazione al Doge. - (Delib. Senato Milit. Secreta I. Filza 107. Anno 1782).



180 L'odierna Sinj in val di Cetina.



181 Presso la stretta di Slap, all'uscita del fiume Kerka nella zona lacustre di Prokljan e di Sebenico. (Foglio della carta austriaca, alla scala di 1:200.000. Spalato. 34°-44°).



182 Strade poi migliorate nel 1806 al tempo del governo del Provveditore Generale Vincenzo Dandalo in Dalmazia. (Vedasi, La Dalmazia al 31 dicembre 1806. Opera economica e politica umiliata a S. M. Imperatore e Re).



183 Abbreviazione usata per dinotare il predicato di nobili uomini, dovuto ai rappresentanti della Veneta Repubblica.



184 Venute alla Repubblica in forza del trattato di Passarowitz (21 luglio 1718). - Vedasi a questo riguardo ROMANIN. Storia documentata di Venezia, tomo VIII, pag. 56-57.



185 Dice questo storico: «Il decreto del Senato del 21 luglio 1785 «istituì inoltre due corpi di travagliatori e zappatori-minatori dipendenti «dal corpo del genio». Storia documentata di Venezia, vol. VIII, pag. 373. - È doveroso però notare a questo punto che il senato-consulto non fa cenno di questo seconda denominazione, di zappatori-minatori che si vuole dal ROMANIN attribuita nel senato-consulto medesimo ai travagliatori.



186 Il decreto non parla quindi di zappatori-minatori.



187 La gazzetta era di tre bezzi.



188 Il suo importo era preventivato in lire Venete 78.8.



189 Deliberazioni Senato Militar Registro N. 29, I Secreta. Anni 1788-1790. Decreto del 21 luglio 1788.



190 Le due compagnie dovevano contare in origine 140 uomini ognuna.



191 Il libro più precisamente ai intitola come appresso: Doveri delle persone incaricate della disciplina ed uso dei Corpi dei Travagliatori. Delib. Senato Militar, Filza 116, (1785).



192 Delib. Senato Militar in Terraferma. Filza 36 (1796).






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