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Eugenio Barbarich
La campagna del 1796 nel Veneto

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  • CAPO II.   L'amministrazione centrale della guerra. Il Savio di terraferma alla scrittura e le magistrature militari.
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CAPO II.

 

L'amministrazione centrale della guerra.

Il Savio di terraferma alla scrittura e le magistrature militari.

 

Come il rendimento di una macchina ottimamente costituita si commisura dalla somma di attriti che riesce a vincere, sicchè il suo lavoro procede rapido, silenzioso e produttivo, così l'opera proficua di uno Stato si arguisce dall'armonia degli sforzi de' suoi organi direttivi e dal loro coordinamento, in modo che tutte le energie abbiano impiego e non si smarriscano in sterili conati, o per superfluità di uffizi o per contraddizione di còmpiti.

Ora la macchina statale veneta della decadenza era complicata e rugginosa, epperciò assai pigra e poco produttiva. Aveva addentellati con molteplici sopravvivenze feudali, intrecci con privilegi oligarchici, vincoli con un proteiforme organismo amministrativo burocratico e cancelleresco onusto d'impiegati; sì che tutto impaludava nello apparecchio e nelle forme e poco o nulla rendeva nella sostanza17. L'amministrazione della guerra poi - che per il suo istituto più risentiva delle sopravvivenze del passato - era così multiforme e farraginosa da incontrare attriti ed intoppi ad ogni passo.

Le cose della guerra mettevano capo al Collegio, ossia al Consiglio dei ministri della Repubblica, composto di 16 membri, o Savi18. Di questo Collegio facevano parte il Savio di terraferma alla scrittura ed il Savio di terraferma alle ordinanze; i due centri esecutivi dell'amministrazione delle milizie di mestiere e delle milizie paesane, cioè delle cerne.

Il Savio alla scrittura era preposto, oltre che all'ordinamento delle milizie stanziali, anche a quello delle fortificazioni, delle artiglierie e delle scuole militari, e traeva il nome dall'antico suo ufficio di tenere cioè al corrente i ruoli dei soldati ingaggiati. Era, in sostanza, il ministro della guerra della Serenissima.

Il Savio alle ordinanze sopravvegliava invece al governo delle cerne e corrispondeva ad un vero e proprio ministro alle Landwehr, cioè ad un centro organatore della difesa territoriale.

Queste supreme magistrature militari, come le altre del Collegio, erano elettive. Più antica - per ragione di precedenza storica delle milizie prezzolate sulle paesane - era la carica di Savio di terraferma alla scrittura, il cui istituto venne riordinato al principio del XVI secolo, quando cioè le armi della Serenissima più sfolgoravano per i domini d'Italia ed oltremare19. Più recente era invece il saviato alle ordinanze, largamente citato nella riforma di quelle milizie dettata da Giovanni Battista Del Monte (1592).

Il Savio alla scrittura (come gli altri membri del Collegio) durava in carica un semestre, ma poteva essere rieletto quando fosse spirato un intervallo di sei mesi almeno dal decadimento dell'ultimo mandato. Ne derivava perciò una specie di oligarchia politico-amministrativa, vincolata o ad una determinata consorteria oppure ad un monopolio nei pubblici affari. La molteplicità degli uffici burocratici accentuando i danni di tale esclusivismo rendeva la macchina statale rigida, lenta ed improduttiva.

Per le cose della milizia questo monopolio politico ed amministrativo doveva essere temperato, in origine, dalla carica del generale in capo. Straniero, di regola, esso era destinato ad impiegare le truppe in guerra - sotto la responsabilità dei provveditori del Senato incaricati di sorvegliarlo a mo' dei commissari della Repubblica di Francia - ed in pace a suffragare della sua autorevole esperienza l'apparecchio delle armi e degli armati20. Il generale in capo doveva essere infatti una specie di responsabile tecnico, mentre il Savio alla scrittura non era altro che un semplice amministratore dei fondi destinati dalla Serenissima al mantenimento ed all'armamento dei propri soldati. Ed essendo la carica di generale in capo vitalizia, non pareva gran male che gli uffizi amministrativi si alternassero attorno ad essa, con vicenda più o meno frequente, emanando da una ristretta base nella scelta delle persone a ciò deputate.

Ma poichè si resero sempre più rare le guerre ed il vezzo delle neutralità le confinarono alla fine tra i ferrivecchi, la benefica influenza moderatrice del generale in capo sulle magistrature militari, politiche e burocratiche, cominciò a scadere, fintantochè scomparve del tutto. Rimasero i danni ed i pericoli delle consorterie, senza argine e senza riparo.

Dopo lo Schoulemburg, distinto generale sàssone cui la Signoria aveva conferito il titolo di maresciallo e l'incarico della difesa di Corfù, nel 1716; dopo i generali Greem e Witzbourg - tutti stranieri ed eletti generali in capo delle forze venete - per amore di economia21 o per mal concepite diffidenze verso una carica che sembrava oramai destituita di ogni significato pratico, essa passò in dissuetudine con il tacito consenso del Collegio, del Senato e del Doge. Da quel punto, il Savio alla scrittura si rinchiuse senza controllo nelle sue funzioni burocratiche e cancelleresche e diventò, alternatamente, o una carica monopolizzata dalle medesime persone - -salvo l'intervallo legale nella rielezione - quando si trovavano coloro che volentieri la disimpegnassero; oppure un caleidoscopio di persone diverse prive di competenza e di pratica22 -

Sulla cooperazione del collega alle ordinanze non v'era oramai più da contare alla fine della Serenissima, perchè questa magistratura si era completamente atrofizzata. Per formarsi un'idea circa l'attività e l'importanza di quel Savio, basta citare alcune cifre relative al maneggio che esso faceva del pubblico denaro per l'amministrazione dipendente. Nel bilancio pel militar dell'anno 1737, solo 9511 ducati e grossi 21 erano assegnati al Savio alle ordinanze per le cerne, e ducati 309 e grossi 17 per le loro mostre e mostrini; e ciò sopra una spesa totale di 2,060,965 ducati e grossi 11 effettivamente fatta in quell'anno dalla Signoria per le cose della milizia23.

I migliori Savi avvicendatisi nell'amministrazione veneta della guerra, non mancarono di levare la loro voce contro la soppressione della carica di comandante in capo; mancanza che abbandonava quei magistrati a sè medesimi senza l'appoggio di spiccate capacità militari che rappresentassero la continuità nello apparecchio degli uomini e delle armi; e più che tutti, Francesco Vendramin, il miglior Savio alla scrittura della decadenza della Repubblica. Questi nel 1785 dichiarava infatti al Doge che il malessere dell'esercito dipendeva dalla rinunzia, fatta da tempo, «di eleggersi un commandante supremo, dalla cui sapienza e virtù si possano ritrarre quei lumi e direzioni che valghino a sistemare in buon modo le truppe»24.

Ma, ad onta di queste franche parole - come sempre le usava il Savio Vendramin - il generalissimo tanto invocato non venne a rialzare i depressi spiriti militari dei Veneti, e rimase la burocrazia che non passa25. Questa intensificò anzi l'opera sua, così da avvolgere il Savio alla scrittura in una rete inestricabile di intralci e di formalità innumerevoli.

Esaminiamo in particolare codesto viluppo, congegnato a bella posta per troncare i nervi ad ogni energia. Il Savio alla scrittura nell'esercizio delle sue funzioni aveva rapporti con tutte le magistrature politiche, marinare e civili d'Italia e d'oltremare. Quanto al reclutamento ed agli assegni in ordine alla forza bilanciata, egli aveva relazioni con l'Inquisitore ai rolli, con il Savio Cassier e con i magistrati sopra camere, o tesorerie provinciali: quanto al reclutamento ed all'ordinamento delle cerne, egli doveva accordarsi con il collega deputato ad esse. Per le cose attinenti il servizio anfibio dell'esercito sulle navi armate, egli doveva intendersi con i Savi agli ordini per le milizie, con i Provveditori generali da Mar, con quelli in Dalmazia ed Albania, con i Provveditori att'Arsenale ed, infine, con il Capitanio del Golfo (contado delle Bocche di Cattaro).

Per il riparto ed il servizio territoriale delle truppe, il Savio alla scrittura doveva prendere accordi con i capitani e podestà delle province, con il magistrato e con il sopraintendente all'artiglieria, con il provveditore alla cavalleria, con il sopraintendente del genio e con i provveditori alle fortezze.

Lo sfruttamento dell'industria privata - usato sempre in buona misura dalla Serenissima per le cose della guerra - obbligava inoltre il Savio competente ad una continua vigilanza sui deputati alle miniere, per quanto si riferiva l'industria metallurgica della Bresciana e del Bergamasco, e sui capi delle maestranze per le industrie estrattive dell'alto Cadore26.

Oltre a ciò, per quanto riguardava il servizio sanitario, l'amministrazione della guerra era in rapporti continui con i provveditori agli ospedali e con i capi religiosi di talune confraternite incaricate dell'assistenza degli infermi27; per quanto concerneva il servizio di commissariato, con i magistrati sopra biade e frumento, con i Savi alla mercanzia e con i provveditori all'agricoltura; per quanto rifletteva infine l'amministrazione della giustizia, con il missier grande, o capo della polizia esecutiva, e con i governatori alle galere dei condannati.

Nè si arrestava a questo il frantumamento delle autorità militari venete, spesso discoste l'un l'altra ed animate da interessi contradditori, e l'intralcio con le magistrature civili. Nei rapporti aulici e cancellereschi, era deputato ogni settimana un Savio designato a turno nel Collegio - epperciò detto Savio di settimana - per esporre al Senato le proposizioni ed i decreti deliberati dal Consiglio. Tale costumanza, per certo assai comoda, non era però in pratica molto giovevole per la trattazione degli affari - specie dei militari - rimettendo il patrocinio di essi a mani del tutto inesperte o ignare.

 

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* *

 

Consideriamo ora un poco questa mastodontica macchina burocratica in azione. Nel 1784, solo per riformare alcune parti del vestiario e dell'equipaggiamento della fanteria veneta, riputate o troppo incomode o troppo costose, convennero assieme in più conferenze il Savio alla scrittura attuale ed uscito28, i Savi alla mercanzia in numero di cinque ed il magistrato sopra camere. Ciò nondimeno, dodici anni dopo, la riforma non era ancora del tutto attuata tra le file dell'esercito veneto.

Fino dal 1775 il Savio alla scrittura e l'Inquisitore ai rolli, concordi, deploravano in Collegio e presso il Principe le tristissime condizioni in cui versavano le artiglierie e le armi portatili, alle cui deficienze non era più in grado di porre rimedio il vetusto Arsenale di Venezia. Soltanto sette anni dopo il grido d'allarme venne raccolto da Francesco Vendramin, in una delle sue riconferme al Saviato alla scrittura, e la questione venne finalmente da lui posta dinanzi al Doge con criteri da industria di Stato meglio che moderni.

L'industria militare privata aveva tenaci e floridissime radici a Venezia, e le armi bianche venete, assai pregiate nella tempra e nel lavoro del cesello29, avevano una fama incomparabile. Cresciuto poi il favore delle armi da fuoco, degli archibugi e delle artiglierie navali e terrestri, le fucine della Bresciana vennero procacciandosi nell'industria manifatturiera quel nome che si è tramandato fino ai giorni nostri.

La trasformazione decisa e cosciente dell'industria militare privata in industria di Stato, avrebbe quindi corrisposto in modo mirabile alle esigenze economiche e tecniche della Serenissima, poichè avrebbe consentito di ridurre con immenso vantaggio economico l'improduttivo organismo dell'Arsenale e di sostituire al suo lavoro, o lento o negativo, quello più proficuo delle maestranze dei metallurgi e degli artieri, organizzati e disciplinati in forme corporative tradizionali, vigilate per di più di continuo dalle magistrature apposite.

Così fu concluso, nel 1782, un contratto con la Società mercantile di Girolamo Spazziani, mediante il quale essa si assumeva l'obbligo - usufruendo delle due migliori fonderie e miniere dal Bergamasco30 - di fornire alla Serenissima entro 14 anni, in lotti proporzionali, le artiglierie di cui abbisognava; e cioè 35 cannoni da 30 libbre31, 52 da 14, 24 da 12, oltre le munizioni, gli attrezzi e gli armamenti necessari. Lo Stato si sarebbe garantito della buona qualità delle forniture, obbligando la ditta Spazziani ad uniformarsi strettamente nella fondita dei pezzi alle regole all'uopo prescritte dal maresciallo Schoulemburg, e con l'assoggettare le bocche da fuoco a speciali prove forzate da compiersi al Lido, a spese esclusive della società assuntrice ed alla presenza del magistrato all'artiglieria.

Queste prove dovevano essere da due a quattro per ogni pezzo da collaudarsi, ed i pezzi rifiutati si dovevano restituire alla ditta per essere rifusi e nuovamente esperimentati. Nel contratto infine erano comminate penalità e multe alla ditta Spazziani, al caso di inosservanza di impegni da parte della medesima32.

L'artiglieria veneta, con il concorso dell'industria privata, poteva e doveva quindi rinnovarsi tra il 1782 ed il 1796. In questo periodi di tempo dovevano inoltre rifondersi o ristaurarsi le bocche da fuoco dichiarate inservibili, e non erano poche in quel tempo: 82 cannoni di diverso calibro, 85 colubrine, 63 sacri e passavolanti, 180 petrieri, 5 mortai, 9 trabucchi ed 1 bastardo33.

Se così fosse stato, la Serenissima all'aprirsi della campagna del 1796 avrebbe avuto 536 bocche da fuoco disponibili, nuove del tutto o riparate; e non si sarebbero visti sui rampari di Verona «i pezzi così malandati, i letti (affusti) «così rôsi dal tempo... che se fosse occorso di maneggiarne taluno non si saprebbe come eseguire l'ordine»34.

Ma per assicurare tali vantaggi all'esercito sarebbero occorsi continuità di vedute nell'amministrazione della guerra, preparazione, vigore di energie da parte delle persone elevate all'ufficio di Savio alla scrittura, accordo infine deciso e cosciente di tutti nell'attuare una riforma finanziaria ed industriale che avrebbe legato il nome della Serenissima ad un grande e razionale progresso nella pubblica economia.

Ora la vecchia e già tanto sapiente Repubblica, ridotta a lottare indarno contro la morte vicina, non poteva più trovare nel consunto organismo lo rinnovate energie capaci di redimerla dalla triste eredità del passato. Fino al 1786, cioè durante il periodi delle riconferme al Saviato di Francesco Vendramin - il ministro riformatore della decadenza militare veneta - le consegne della ditta Spazziani procedettero con ordine e regolarità, ma da quell'anno in avanti gli impegni cominciarono ad allentarsi finchè non ne rimase più traccia. Ai lagni in materia delle pubbliche cariche militari si rispondeva invariabilmente con delle buone promesse, con caute direzioni, con voti e parole, mentre i mali reclamavano urgentemente fatti, mentre gli ufficiali attestavano «che in Dalmazia ed in Levante vi sono ancora compagnie di fanti armate ancora dei fucili dell'ultima campagna35... si che il solo smontarli e rimontarli, ogni volta che pulir si debbono, basta a renderne un gran numero fuori di servizio»36.

Vero è che per i fatti, oltre che alla ferma e cosciente volontà dei deputati a compierli, occorre anche il danaro; e questo, come succede del sangue in ogni organismo indebolito, è il primo a scarseggiare nei governi travagliati dalla decadenza. Alla fine della seconda neutralità d'Italia - cioè subito dopo la guerra per la successione di Polonia - lo sbilanzo, o deficit delle finanze veneziane, era infatti salito a 770-784 ducati all'anno, ed all'amministrazione della guerra toccò di scontare queste falle con sacrifizi e con lesinerie le quali finirono per annientare del tutto la compagine materiale e morale dell'esercito.

 

«Con queste riduzioni - diceva un rapporto al Principe - il corpo delle truppe non può oramai più supplire con la propria forza agli essenziali bisogni dello Stato... e quindi occorre sia tolto da quel languore e miseria in cui presentemente esso si trova, somministrandogli i mezzi di cui ha bisogno»37.

 

Ma anche sa questo punto la voce del Savio Vendramin predicò invano, ed i denari non vennero - ironia del caso - se non quando si trattò non già di apparecchiare armi ed armati in difesa della Repubblica, ma di mantenere lautamente due eserciti sul suo suolo, nemici l'uno dell'altro, della Serenissima, ed entrambi emuli nell'opera triste di taglieggiarla e di calpestarla.

Ma ritorniamo al Savio alla scrittura ed alla sua fisionomia burocratica.

Quale magistrato supremo alla milizia esso, di regola, non abbandonava la Dominante - cioè Venezia - se non per compiere l'annuale visita al Collegio militare di Verona, in Castelvecchio, dal quale uscivano i giovani ufficiali di artiglieria e genio della Repubblica. Era questa una comparsa periodica all'epoca degli esami finali, che circondavasi a bella posta di solennità, sia nell'intento di lasciar traccia nell'animo dei futuri ufficiali delle milizie venete, sia in quello di ravvivare, a scadenza fissa, il prestigio ed il nome del Savio alla scrittura nella principale fortezza dei domini d'Italia. Ma le apparizioni erano troppo rapide e, sovratutto, affogate sotto il cumulo delle formalità proprie del manierismo incipriato del tempo.

Di una di queste visite si conserva traccia nel diario del Collegio militare di Verona. «Il Savio Alvise Quirini - dice il diario - partì da Venezia un mercoledì dopo pranzo del luglio 1787, alle ore 20, per Mestre. Aveva seco due staffieri ed un furier. Il legno era pronto a Marghera, con quattro cavalli ed il furier davanti, pure a cavallo. Al Dolo si cambiarono i cavalli: a Padova il Savio pernottò nel palazzo Quirini ed il provveditor straordinario di colà, Zorzi Contarini, gli diede scorta di due soldati a cavallo. Il giorno appresso (giovedì), alle ore 22 suonate, il Savio arrivò a Verona»38.

In quella città un ufficiale della guarnigione venne subito comandato a disimpegnare la carica di aiutante presso il Savio Alvise Quirini, ed un'ora dopo l'arrivo di questi il tenente Zulatti, ufficiale di guardia alla piazza, venne a felicitarsi seco lui per l'ottimo viaggio compiuto e ad esibirsi, cioè a profferire servigi. Ma il Savio alla scrittura, congedati bellamente gli ufficiali venuti per fargli onore, andò ad alloggiare in casa del cugino Marin Zorzi, e la «tavola fu servita per quella sera dal locandier alle Due Torri39, essendo stato convenuto il prezzo di tutto dal brigadier Mario Lorgna, governatore militare del Collegio. La sera stessa venne il brigadiere Lorgna a fare ossequio al Savio alla scrittura, e si combinò subito per verificare la scuola ed incominciare gli esami lo stesso giorno seguente. La sera poi il Savio andò alla comedia al Nobile Teatro ed il vescovo mandò il suo nome a casa Zorzi»40.

 

 

 




17 «Nell'amministrazione veneta era insomma una farragine di impiegati e tale numero di uffici, da rendere impossibile rappresentarli anche teoricamente in piena evidenza». - (ROMANIN. - Storia documentata di Venezia, Tomo VIII, pag. 368).



18 Il Collegio era composto come appresso: sei Savi grandi cui spettavano le preposizioni al Senato, cinque Savi agli ordini incaricati di vigilare sulle cose della marina, cinque Savi di terraferma, e cioè il Savio di terraferma alla scrittura, il Savio alle ordinanze e tre altri Savi più semplicemente detti di terraferma, con il compito di riferire sulle condizioni politiche, economiche ed amministrative di quest'ultima.



19 Fino dal principio del secolo XVI, dovendosi accentrare in particolari registri le scritture riguardanti le spese per la milizia, fu delegato a ciò taluno dei Savi del Collegio. Un decreto del 26 maggio 1523 sancì poi la riforma di simili scritture ed ordinò che vigilasse su di esse un Savio apposito. Ebbe cosi origine il Savio di terraferma alla scrittura, che si incaricò indi appresso delle spese e dell'amministrazione degli eserciti della Repubblica Veneta. I Savi erano eletti in principio di ogni anno, che, secondo il costume Veneto, principiava in marzo (more veneto).



20 P. Molmenti. - Storia di Venezia nella vita privata. - (IV edizione, Bergamo 1908. Parte III, pag. 23, nota).



21 Lo stipendio medio del maresciallo Schoulemburg era di ducati 12.500, pari a lire 52.302 circa. Vedasi R. Commissione per la pubblicazione dei documenti finanziari della Repubblica di Venezia. Serie II. Bilanci generali dal 1736 al 1766 (Scritture e decreti). - Venezia, tipografia Vicentini, 1903. Lo stipendio del detto maresciallo salì però fino a ducati 25.000 all'anno.



22 Nella seconda metà del secolo XVIII sono notevoli le seguenti rielezioni nel Saviato di terraferma alla scrittura: Alvise Tiepolo, 1764-1765; Zuane Quirini, 1765-1766; Antonio Zen, 1778-1779-1790; Francesco-Vendramin, 1781-1782-1784-1785; Iseppo Priuli, 1794-1795.



23 R. Commissione per la pubblicazione dei documenti finanziari della Repubblica di Venezia (op. cit.).



24 Delib. Senato Militar. Filza 117.



25 La proposta di nominare un generale in capo venne indarno ripetuta, nell'estate del 1796, anche da Giacomo Nani.



26 Miniere di piriti ramifere di Agordo.



27 Tra le più notevoli confraternite della specie, si debbono notare quella dei Santi Giovanni e Paolo di Venezia, dei padri di San Giovanni di Dio a Zara, dell'ospedale militare di San Sèrvolo pure in Venezia.



28 Quando trattavasi di deliberare su argomenti di maggior interesse intervenivano nelle deliberazioni, oltre il Savio in carica (attuale), anche quello che lo era nel semestre antecedente (uscito).



29 P. Molmenti. - Storia di Venezia nella vita privata - Parte II, pag 53, 160, 199.



30 Bongion e Maniva.



31 I pesi erano in libbre grosse e corrispondevano ognuna (12 oncie) a kg. 0,476999. (Martini. - Manuale di Metrologia, pag. 817 e Segg. - Torino 1883).



32 Delib. Senato Militar. 1782. Filza 107.



33 Delib. Senato Militar. 1782. Filza 107.



34 Delib. Senato Militar. Maggio 1796. Filza 23. Relazione del tenente generale Salimbeni sulle condizioni della fortezza di Verona.



35 Campagne del 1715-1718 a Corfù ed in Morea.



36 Delib. Senato Militar. 1783. Filza 107.



37 Delib. Senato Militar. Filza 117. Anno 1786.



38 Collegio Militar di Verona. Busta n. 264. (R. Archivio di Stato dei Frari di Venezia). Intorno all'ordinamento ed alla vita di questo istituto militare, si veda: E. Barbarich - Una scuola di artiglierìa e genio sotto la Serenissima - (Rivista di artiglieria e genio - luglio, agosto - 1908).



39 Celebrata locanda al tempo della Veneta Repubblica, posta a fianco della chiesa di Santa Anastasia di Verona.



40 Sull'uso dei biglietti di visita al tempo della decadenza veneziana vedasi: P. Molmenti. - (Op. cit., parte III, pagg. 45, 434, 458, 459, 474, 476).






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