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Eugenio Barbarich La campagna del 1796 nel Veneto IntraText CT - Lettura del testo |
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CAPO IX.
L'addestramento della truppa veneta.
Cadeva la Repubblica quando, dopo una serie di reiterate istanze intese a porre in rilievo la vetustà dei regolamenti tattici compilati dal maresciallo Schoulemburg al principio del secolo XVIII - sui quali era passato indarno tutto lo splendore dell'arte federiciana - il Senato si induceva finalmente a nominare una commissione con l'incarico di redigerne dei nuovi. Si trattava anzitutto di rendere più agili e manovriere le forme tattiche della fanteria, anchilosate ancora nella vecchia suddivisione di ali, di divisioni e di plotoni, di imprimere maggiore impulso al fuoco, scioltezza agli ordinamenti e vigoria alle azioni da combattimento. La circostanza che un buon nucleo di truppe venete si trovava raccolto sotto Verona, e che il generale Salimbeni ed il governatore delle armi di quella città avevano cominciato ad esercitarle in simulacri di esercitazioni e di manovre, si presentava assai propizia per compiere le necessarie esperienze della riforma dei regolamenti. Nella primavera del 1795 una commissione composta dal detto generale Salimbeni, dal sergente generale Stràtico e da altri ufficiali inferiori, compiva infatti la prima metà dell'opera, cioè quella della revisione della parte formale dei regolamenti tattici dal titolo «Esercizi personali per gli Uffiziali, bassi-uffiziali e soldati della truppa veneta», e la presentava al Savio di Terraferma alla Scrittura Iseppo Priuli con una dotta relazione a corredo, acciocchè questo magistrato la rassegnasse a sua volta al Doge. La relazione faceva riserva, «che i detti benemeriti ufficiali Salimbeni e Stràtico avrebbero fatta successivamente completa produzione anche della seconda parte dell'opera... la quale abbracciar deve i movimenti dei corpi, così avendo essi creduto di dividerla per maggiore facilità e chiarezza»236. Questa prima parte del regolamento che vedeva allora la luce comprendeva adunque il maneggio del fucile del modello Tartagna, i movimenti con la bandiera per gli alfieri, con la spada per gli ufficiali e le varianti ed aggiunte per la fanteria oltramarina. Nel proemio si esprimeva il voto, «che il libro venisse stampato in entrambe le lingue italiana ed illirica, due essendo le nazioni con differente linguaggio che hanno l'onore di servire Vostra Serenità», e prometteva di estendere gli studi e le esperienze anche alla cavalleria, «la quale ha eguale e forse anche maggiore bisogno della infanteria di regolazioni nello esercizio non solo, ma anche nella tattica, usando ancora quelle che furono estese fino dal secolo passato dal generale Stenau». Ispirandosi a modernità di concetti, «come si deve» ed alle «nuove pratiche introdotte ed usitate dalle nazioni più agguerrite», i compilatori del nuovo regolamento esprimevano da ultimo la fiducia che la «nazionalità veneta potrà, con esso, diventare mirabilmente istrutta». Le nuove ordinanze conservavano la formazione della fanteria su tre righe, ponevano in rilievo la sempre crescente potenza del fuoco e procuravano di disciplinare l'urto. Semplificavano oltre a ciò - nei limiti del possibile - il maneggio dell'armi ed assottigliavano d'alcun poco il pesante bagaglio delle evoluzioni, delle marce, delle contromarce e delle colonne d'attacco.
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Per eseguire i movimenti con la spada, oramai definitivamente sostituita alla picca fino dall'anno 1790237, gli ufficiali dovevano prendere la posizione di attenti, epperciò essi dovevano: «impiantarsi con la vita dritta, petto in fuori, capo alto, tacchi tra loro distanti di due dita, punte dei piedi in fuori, ginocchia tese, braccia pendenti al naturale in giù, cappello che riposi sopra le ciglia ma voltato un poco verso sinistra»238. I movimenti con la spada erano 17 e cioè: spada alla mano o in parata, primo saluto, spada in parata, secondo saluto, spada in battaglia, spada in parata, spada all'orazion, spada in parata, spada a funeral, spada in parata, spada in riposo, spada in parata, spada in battaglia, spada in riposo, spada in battaglia, spada in parata, spada nel fodero. Il saluto con la spada si rendeva dagli ufficiali veneti presso a poco come si pratica oggigiorno e così si salutavano: «L'Ecc.mo Savio di Terraferma alla Scrittura, i Provveditori Generali da Mar, della Dalmazia e gli Ecc.mi Capi di Provincia in Terraferma». Per rendere onore alle altre autorità militari il saluto con la spada si arrestava al primo tempo dell'odierno saluto, e cioè «con la coccia della spada «dirimpetto al mento, alla distanza di un palmo, guardamano voltato verso il lato sinistro e lama verticale e di piatto». Questi modi di salutare le autorità militari superiori ed inferiori surrogarono rispettivamente la battuta della picca ed il levarsi del cappello, quando la picca stessa costituiva l'ordinario armamento dell'ufficiale. Altre regole disciplinavano il modo di portare la spada all'orazion, che stendevasi a quell'atto davanti al corpo con il braccio disteso e la punta fin presso terra, mentre l'ufficiale ripiegava il ginocchio destro sotto il sinistro, si toglieva di capo il cappello e lo raccomandava alla mano sinistra; a funeral, nella quale positura la spada si portava serrata contro il petto lungo il lato sinistro, assicurata sotto l'avambraccio piegato all'altezza della mammella; in battaglia infine cioè con la spada stesa lungo il fianco destro, «appoggiandola verticalmente nel vuoto della spalla, col filo in fuori»239. Gli alfieri portavano normalmente la bandiera «sul fianco destro, l'asta alquanto inclinata verso dritta e pendente in avanti, la lancia (freccia) voltata in piano ed il calcio a terra». Nei tempi sereni e senza vento la bandiera si lasciava «a drappo volante», nei piovosi invece o con vento si prendeva «il canto (lembo) pendente del drappo e con la mano destra si serrava all'asta». Nelle parate - senza eccezione di tempo - la bandiera doveva essere sempre spiegata. L'alfiere abbassava la bandiera davanti a quelle medesime supreme cariche militari cui si rendeva dagli ufficiali il completo saluto con la spada, «compiendo un ottavo di giro a «dritta, poi con la mano dritta abbassando l'asta della bandiera verso la parte sinistra, finchè il piatto della lancia sia ad un palmo distante da terra... nell'atto stesso si raccoglieva con la mano sinistra il drappo e si impugnava per di fuori dell'asta». Per salutare tutti gli altri superiori l'alfiere toglieva semplicemente di capo il cappello240. E passiamo agli esercizi con il fucile241. Poche premesse poste innanzi alla descrizione dei relativi movimenti richiamavano l'attenzione sul fatto, «che il maneggio del fucile deve compiersi dai soldati con desterità e scioltezza... epperciò essi dovranno stare con l'orecchio attento al comando, muovere le mani sempre in vicinanza del corpo, eseguire con vigore ogni tempo di una mozione restando poi immobili da uno all'altro tempo». Per facilitare poi la simultaneità e l'esatta esecuzione degli esercizi, si prescriveva che «essendo i soldati in rango e fila, quelli di prima riga abbiano a guardare attentamente il campione (istruttore) e quelli delle due ultime file quelli della prima, onde muoversi tutti contemporaneamente». Tra il comando di ciascun movimento e l'esecuzione del primo tempo di esso, il campione doveva lasciar correre un intervallo bastevole per contare a cadenza i primi tre numeri. Tra i tempi successivi questo intervallo doveva essere prolungato di alquanto e diventare eguale all'intervallo di tempo che è necessario per contare i primi sei numeri. Si eccettuavano da questa regola mnemonica i comandi per i fuochi e per ritirare le armi, i quali dovevano eseguirsi non appena ordinati. La posizione di base per eseguire il maneggio dell'armi era quella del fucile collocato sulla spalla sinistra, con la canna in fuori, sostenendo il calcio con la palma della mano sinistra appoggiata al fianco, «sicchè il pollice premeva il calcio e le altre dita lo stringevano per di sotto: il braccio sinistro non doveva essere nè troppo teso nè troppo inarcato, col gomito daccosto alla vita in modo tale che la mammella cadesse tra le due viti della piastrina»242. Il rigido formalismo dominante non si arrestava però a tali prescrizioni e rilevando, «che vi sono uomini che hanno più anca che spalla e di quelli che sono al contrario», presumeva di correggere anche le differenze fisiologiche dei diversi attori con compensi e temperamenti, in modo da ottenere che tutti i fusti dei fucili si adagiassero in un medesimo piano inclinato, perfettamente uniforme. «Se il soldato - -diceva dunque il regolamento - ha più anca che spalla, esso dovrà sostenere il fucile sulla spalla volgendo il pugno un poco in dentro perchè la canna più si scosti dalla testa; e se al contrario avesse più spalla che anca, allora volgerà il pugno un poco più in fuori appoggiando maggiormente il calcio alla coscia per avvicinare di più la canna alla testa. Con tale avvertenza si riuscirà a mettere nello stesso piano tutti i fucili di una riga di soldati». E sulla pratica di questi ripieghi i campioni fondavano il supremo segreto dell'arte, la ricetta che assicurava fortuna alla complicata coreografia del maneggio dell'armi. I principali movimenti con il fucile erano 34. La loro progressione cominciava col presentar l'arme, la quale si sosteneva verticalmente davanti al corpo «in candela, proprio dirimpetto al mezzo del capo, col vidone (vitone) del cane contro il centurino... ed il piede destro tre dita dietro il piede sinistro, in modo che il calcagno di questo guardi il mezzo dell'altro piede, e ciò senza cangiare di fronte»243. Sull'esecuzione dei fuochi il regolamento richiamava «tutta l'attenzione dei soldati... avezzandoli a mirare con franchezza, a non torcere in verun modo la testa, a non muovere nè il corpo nè il fucile, perchè ogni piccolo moto può alterare la direzione del colpo. Allorchè poi questo vada a maggior distanza, si insegnerà ai soldati a premere bene col calcio la spalla nell'atto di far fuoco»244. Gli esercizi del fuoco erano preceduti dal movimento di base del preparatevi. A tale comando il fucile si portava presso a poco nella positura di «presentat-arm» e da questa si armava il cane, premendo con il pollice della mano destra sul vitone del cane medesimo. Ciò fatto si passava al secondo movimento, cioè all'impostatevi, portando il piede destro un palmo dietro al sinistro e volgendo il corpo verso destra, in guisa da «metterlo a mezzo profilo». Così si spianava l'arma «appoggiando la guancia destra sul calcio, chiudendo l'occhio sinistro per potere aggiustatamente mirare col destro lungo la canna l'oggetto che si vuole colpire.... Quando non sia determinato questo oggetto da prendere di mira, il soldato farà cadere la bocca del fucile al livello circa degli occhi». I tempi della carica erano laboriosissimi. Al comando di pigliate la carica il soldato estraeva dal tasco (cartucciera) una carica, bene avvertendo «di aprirlo in mezzo e non da fianco per ritrovarla più facilmente»; quindi portava la detta carica alla bocca, ne strappava la carta con i denti sino a scoprire la polvere aiutandosi per ciò con uno «sforzo della mano verso la sinistra». Ciò fatto si poneva mano al focone chinando la testa per poterlo bene innescare, quindi si chiudeva la batteria e si impugnava con la destra il fucile verso la bocca, «in modo che il calcio poggi a terra accosto al piede sinistro, la cartella sia in fuori, il fucil tocchi la coscia sinistra e la bocca resti dirimpetto alla spalla destra, impugnato con la detta mano destra». Da questa posizione, «dopo di aver soffregata con le due dita pollice ed indice la sommità della carica per bene aprirla del tutto, si versava la polvere in canna mandandole dietro la carta, e si intasava da ultimo con la bacchetta stendendo naturalmente il braccio e spingendola con forza dentro la canna stessa». Tutto ciò esigeva una quarantina di tempi. Non minor cura esigevano l'armare le baionette245, il disarmarle, il sostenere l'urto246 e portare il fucile alla pioggia, assicurato con il calcio sotto l'ascella sinistra «la bocca in basso e la bacchetta in sù»; il recare l'arma alle bandiere cioè a fianc-arm; a funeral, sotto l'ascella sinistra con il calcio all'insù e davanti, la canna inclinata indietro tenendo il fucile con la sinistra all'impugnatura e la destra dietro la schiena al mezzo di essa; infine all'orazion, verticalmente davanti la spalla destra mentre il soldato stava nella posizione di in ginocchio con la mano sinistra in atto di saluto sul frontone del caschetto. Un'appendice agli Esercizi personali regolava i movimenti speciali della fanteria oltremarina per quanto riguardava il maneggio del palosso e recava, a mò di chiusa, un capitolo relativo alla visita delle armi e delle monizioni.
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Tale fu la riforma dei regolamenti per la fanteria veneta. Con essa si dovevano abbandonare d'un tratto i vincoli che collegavano i regolamenti stessi all'arte del Principe Eugenio di Savoia, per ravvicinarli decisamente alle tradizioni più recenti della scuola francese e federiciana. Forse tali progressi sarebbero stati assai più sensibili nella seconda parte che si attendeva, quella cioè, relativa all'impiego tattico delle truppe, ma il tempo tolse non solo la facoltà di pubblicare quest'ultima, ma ben anco il destro di diffondere più largamente la prima oltre il ristretto cerchio delle milizie che componevano il campo veneziano sotto Verona. La parte formale degli Esercizi personali non vide infatti neppure l'onore delle stampe. Essa rimase allo stato di manoscritto tra le mani gli ufficiali veneti che la sperimentarono, e così si tramandò pure ai posteri confinata tra le polverose carte del Savio alla Scrittura247. Restò così ancora in vigore, fino alla caduta della Serenissima, il libretto del maresciallo Schoulemburg, l'ultimo capitano della Repubblica. Gli uomini delle tre righe erano disposti l'uno dietro all'altro alla distanza di un passo. Gli esercizi erano comandati alla voce o con il tocco del tamburo, e si dovevano eseguire all'ultima parola del comando che il campione doveva pronunciare breve e forte, oppure al termine del tocco seguendo l'esempio dei sottufficiali o dei campioni medesimi. Gli esercizi del reggimento erano preceduti dal riconoscimento, o formazione delle unità di manovra. Si pareggiavano allora le file, si eguagliava la forza delle compagnie, si suddividevano tra i riparti secondo l'ordine di precedenza gli ufficiali ed i sottufficiali i quali, fuori delle righe, attendevano in questo frattempo di prendere posto. La compagnia inquadrata perdeva da quel momento ogni personalità e tutta la truppa si ripartiva in tre divisioni, cioè il centro e le due ali. Tale formazione era pure la normale per il combattimento248. Ogni divisione era comandata da un capitano o da un sergente maggiore: si suddivideva in mezze divisioni, e queste ancora in plotoni di manovra. Le evoluzioni principali consistevano nel raddoppiare le file e le righe, nel serrarle, nelle conversioni, nello spezzare la fronte, nel formare le colonne ed i quadrati, nelle contromarce e nei fuochi. Per raddoppiare le file i soldati di ciascuna fila si spostavano lateralmente ed entravano nella distanza di circa un passo che intercedeva di solito tra uomo ed uomo. Quando il movimento doveva eseguirsi sulla destra si spostavano le file pari, se a sinistra si spostavano invece le disparì. Le conversioni si effettuavano a perno fisso e per ottenere il necessario contatto facevasi assai spesso porre ai soldati le mani sui fianchi, alla costumanza tedesca. Le contromarce facevansi per righe e per file. Per eseguire i fuochi si serravano le righe da petto a schiena, cioè si annullava l'ordinaria distanza di circa un passo che esisteva tra le righe medesime. V'erano fuochi così detti di riga, di mezze divisioni, di plotoni, da fermo e marciando, cioè alternandosi le righe nello sparare usufruendo all'uopo degli intervalli interposti. Contro la cavalleria si formava il quadrato, sia da fermo che in marcia, armando le baionette e sostenendo l'urto. Il libro del maresciallo Schoulemburg trattava oltre a ciò del servizio territoriale, o di piazza, del modo di accampare e di accantonare un reggimento e le unità inferiori ad esso, di porlo in marcia con le misure di sicurezza e di scortare un convoglio. Però, stante l'esiguità delle forze disponibili e l'abbandono degli esercizi nei campi di manovra, queste pratiche non erano che semplici attestazioni teoriche. Invece - come si disse altrove - era assai deplorato il difetto di norme regolamentari circa l'imbarco e lo sbarco di truppe a piedi o a cavallo sui pubblici legni; operazioni di qualche frequenza nell'esercito della Repubblica specie dopo l'adozione dei turni di guarnigione249. Le evoluzioni della cavalleria erano più antiquate di quelle della fanteria e risalivano alla fine del XVII secolo, cioè a dire alla pratica del generale Stenau, altro capitano della Veneta Repubblica. Anche la cavalleria - come la fanteria - si ordinava su tre righe e la distanza tra queste era normalmente di cinque passi. Gli intervalli tra fila e fila erano tali che i cavalieri potevano introdursi liberamente in questi spazi senza toccarsi l'un l'altro. Le evoluzioni consistevano nello sdoppiare e nel raddoppiare le file e le righe, con procedimenti analoghi a quelli risati dalle armi a piedi. Le conversioni - di 180 gradi - si eseguivano tanto a righe aperte che serrate: si adoperavano per cambiare diametralmente direzione di marcia e si compievano per divisioni, mozze divisioni, per file ed anche individualmente per ogni singolo cavaliere. L'esercizio con le armi consisteva, per le corazze ed i croati, nel maneggio della spada, della sciabola e dei pistoloni da arcione; per i dragoni inoltre nell'uso del moschetto armato di baionetta. Le tendenze difensive diffuse nell'arma di cavalleria - a motivo della importanza crescente del combattimento a fuoco - avevano accentuato nella pratica degli esercizi l'impiego delle colonne vuote di dentro e dei quadrati. La prima di queste formazioni si assumeva dagli squadroni in colonna di divisione, «facendo che la testa stia ferma e che conversino le mezze divisioni delle altre, dimodochè rivolgano la fronte alla campagna», cioè verso il nemico250 I quadrati si ottenevano invece dalla linea spiegata, ripiegando le ali all'indentro e ripiegandosi ancora ciascuna metà di queste ultime in sè medesime dopo effettuata la conversione verso l'interno, in guisa da costituire nell'insieme il quarto lato della figura. Ciò fatto tutti eseguivano una conversione individuale «verso la campagna». Le cariche si effettuavano di regola in modo avvolgente. In quest'arte - tramandatasi tradizionalmente nella cavalleria veneta dagli stradiotti e dai cappelletti - si distinguevano ancora, sul cadere della Repubblica, i Croati. Questi medesimi recavano ancora la palma nel foraggiare, nel portare gli attacchi in terreni intricati e scuri, nel passaggio dei corsi d'acqua ed infine nei combattimenti temporeggianti e nelle ritirate. Le corazze distinguevansi a loro volta nelle salve con i pistoloni, ed i dragoni nei fuochi con i moschetti e nei combattimenti pedestri. Gli esercizi campali e le evoluzione del Reggimento artiglierìa erano infine regolate, sul tipo di quelle della fanteria, da un libretto appositamente redatto dal brigadiere Stràtico. La carica dei pezzi si eseguiva con la cucchiaia o con i cartocci. Con il calcatoio si spingeva la polvere nella camera della bocca da fuoco e vi si intasava, adoperando all'uopo un poco di strame palustre, delle alghe di mare oppure della paglia aggrovigliata, fintantochè la polvere stessa affiorava nello intorno del focone. Indi appresso si introduceva nell'anima del pezzo la palla elevandone alquanto la volata. Eseguito questo primo tempo della carica, con un fiaschetto si colmava di polvere da innesco il focone, se ne spargeva un poco anche nella parte posteriore di esso, ed il cannone era allora pronto per la punteria e lo sparo.
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236 Deliberazioni Senato Milit. Secreta I, Filza 146 (1795). 237 Deliberazioni Senato Militar. Registro n. 29 (1790). Decreto 29 aprile detto. L'esercito veneto fu l'ultimo ad abbandonare la picca nello armamento dei propri ufficiali. 238 Esercizi personali per gli uffiziali etc. (Deliberazioni del Senato Militar . Filza n. 146, Anno 1795). 239 Esercizi personali, etc. numeri VI, VIII, X. 240 Esercizi personali, etc. Capitolo II. Esercizio della bandiera per gli alfieri. 241 Maneggio del fucil per i soldati - Serie di comandi del maneggio del fucil: 1) Presentate le armi - 2) Fucile in spalla - 3) A dritta - 4) Fronte - 5) A sinistra - 6) Fronte - 7) Mezzo giro a dritta - 8) Fronte - 9) Preparatevi - 10) Impostate - 11) Fuoco - 12) Ritirate le armi - 13) Pigliate la carica - 14) Carica in canna - 15) Bacchetta in canna - 16) Bacchetta a suo luogo - 17) Fucil in spalla - 18) Armate la baionetta - 19) Sostenete l'urto - 20) Fucil in spalla - 21) Portate l'urto - 22) Fucil in spalla - 23) Disarmate la baionetta - 24) Fucil alla pioggia - 25) Fucil in spalla - 26) Fucil a funeral - 27) Fucil in spalla - 28) Fucil all'orazion - 29) Fucil in spalla - 30) Sostenete l'arma - 31) Fucil in spalla - 32) Portate l'arma - 33) Riposate l'arma - 34) Fucil in spalla. 242 Esercizi personali etc. Capitolo III. Maneggio del fucil per i soldati. 243 Maneggio del fucil per i soldati - Articolo I. 244 Nota Spiegativa all'Articolo XII. 245 Innestare le baionette sul fucile. 246 Crociat-et. 247 L'esemplare che si conserva all'Archivio di Stato dei Frari in Venezia si trova nella Filza n. 146 dell'anno 1795, relativa al carteggio delle Deliberazioni del Senato Militar in Terraferma. 248 In massima dicevasi ala di ordinanza la destra: soltanto se il reggimento veniva a trovarsi a sinistra del centro di un corpo più grosso, ala di ordinanza diventava allora la sinistra. 249 Deliberazioni Senato Militar. Filza n. 116 (1785) 250 Deliberazioni Senato Militar. Filza n. 146 (1795) |
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