Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Eugenio Barbarich
La campagna del 1796 nel Veneto

IntraText CT - Lettura del testo

  • CAPO X.   Dei bilanci militari.
Precedente - Successivo

Clicca qui per attivare i link alle concordanze

CAPO X.

 

Dei bilanci militari.

 

Anche l'energia motrice di ogni organismo sociale, il denaro, difettava grandemente al tempo della decadenza repubblicana. È perciò necessario di toccare anche questa materia nelle sue relazioni con i bilanci della guerra, per conoscere quanta parte della rovina nelle armi venete tocchi ai fattori morali e quanta, non meno notevole, sia da attribuirsi invece ai fattori materiali, al governo della lésina, al metodico rifiuto dei mezzi necessari per mantenere in vita il prezioso strumento della difesa della patria, all'ostinatezza infine di negare ad esso le necessario riforme.

Importa dunque sfogliare anche il carteggio dei Savi cassieri - o ministri veneziani delle finanze - quello dei Magistrati sopra Camere, o sopraintendenti delle tesorerie provinciali, esaminare le pòlizze dei preposti al Quartieron, o cassa militare destinata a sopperire ai bisogni della milizia stanziata nel territorio dipendente da ciascuna Camera.. E da questa indagine emergerà una verità di molto rilievo. Che cioè i primi allarmi nelle angustie finanziarie si sogliono, con improvvido consiglio, far scontare alle milizie - come che queste possano in ogni evenienza privarsi di tutto quasi arnesi inutili e parassitari - e che questa decimazione mal frutta allo Stato che la pratica nel momento del pericolo, quando cioè esso si accorge troppo tardi di essersi apparecchiato lentamente e di proposito alla rovina, all'umiliazione ed al servaggio.

Al caso concreto, Venezia negò ai propri soldati e marinai il necessario per affilare le armi, tenere asciutte le polveri e validi i propri navigli, ed il mal fatto risparmio andò profuso e sperduto nel mantenere sul proprio suolo due eserciti, nemici tra di loro e pronti a sovvertirla.

Ora vediamo un poco addentro a queste cifre. Alla fine della Seconda Neutralità d'Italia (1737) la Serenissima aveva accumulato un sensibile deficit, o sbilanzo - come si diceva nel linguaggio d'allora - epperciò si escogitarono riduzioni, falcidie ed economie, atte possibilmente a colmarlo.

A quell'epoca le entrate annue della Repubblica erano valutate in ducati 5,114,915, cioè a dire in lire 21,426,378 circa: le spese complessive ammontavano a ducati 5,810,037, talchè lo sbilanzo si aggirava annualmente intorno a 705,722 ducati, cioè a 2,960,161 lire.

Da questo complessivo gèttito di pubblico danaro, le spese militari (Esercito e Marina) prelevavano ogni anno due milioni e mezzo di ducati, all'incirca251.

Tali spese nell'anno 1737 erano ripartite come segue; Arsenale e Tana, ducati 218,037 e grossi 6252; Spese per l'armar, comprese le navi e le galere, ducati 46,836 e grossi 3; Fortezze, ducati 32,776 e grossi 12; Artiglierie, ducati 25,841 e grossi 15; per formento ad uso di lavoro dei forni, ducati 109,264 e grossi 19. Simile, per formento bonificato alle decime, ducati 215,165 e grossi 6; per le milizie del Lido, ducati 215,107 e grossi 3; per il loro vestiario, ducati 56,594 e grossi 22. Per capitoli varii, quali spazzi (viaggi) dei capi da Mar, sopracomiti etc., ducati 28,512 o grossi 17. Paghe e paghette alle predette autorità e serventi, ducati 28,348 e grossi 17. Per gli stipendi, compreso quello del veltz-maresciallo Schoulemburg253, ducati 31,296 e grossi 12. Totale per l'ordine militar nella Dominante, ducati 1,008,511 e grossi 23.

Il rimanente del bilancio era assorbito dalle truppe dislocate negli altri riparti della Serenissima, distinto in analoghi capitoli di spesa, e questa fu precisamente di ducati 2,060,965 e grossi 11254.

Sempre nell'anzidetto anno, con questo bilancio la Serenissima manteneva nelle armi 19,385 uomini.

Ma premendo ovunque le proteste e gli incitamenti ad assottigliare gli apparecchi militari ed a porli in armonia con la politica di rinuncia e di stretta neutralità dichiarate dalla Repubblica dopo la pace di Passarowitz, il Senato nell'inverno del 1738 convocò, «una conferenza per meditare e far suggerire quei sollievi e risparmi che conciliar si possano tra i riguardi della pubblica economia e quelli della necessaria custodia degli Stati». Quali fossero i termini di questa equazione vaghissima, a più incognite, solita a rinverdire ad ogni crisi delle finanze e molto più ad ogni depressione di spirito ed infrollimento della volontà collettiva delle nazioni, non è detto. Certo si voleva che l'Esercito e la marineria veneta facessero le spese dello sbilanzo e lo risarcissero.

La navigazione più non allettava, il commercio veneziano era allora arenato, l'impero coloniale scomparso miseramente: di questo ormai non rimanevano superstiti che i pochi brandelli delle isole Ionie, del Cerigo e di Cerigotto. I porti franchi di Trieste, di Livorno, di Ancona e di Sinigaglia avevano soppiantato i traffici della Repubblica, che si era ormai ridotta a dimenticare affogando le memorie del passato nella vita spensierata, spendereccia e voluttuaria del presente. Ed in quei frangenti di allegro consumo senza un'equivalente produzione riparatrice, lo sbilanzo cresceva.

Nondimeno il credito della Repubblica era ancora considerevole - una bella facciata architettonica che imponeva pur sempre per quanta rovina nascondesse nell'interno - ed il fratto degli antecedenti risparmi poteva consentire di far ancora fronte alla situazione, purchè si ponessero un poco all'incanto le armi e meglio si colorisse con quest'atto la divisa assunta dallo Stato godereccio, scettico ed imbelle.

Frutto adunque della conferenza indetta dal Senato Veneto si fu una prima riduzione della forza bilanciata la quale, da circa 20,000 nomini, discese a meno di 16,000. Si sospesero inoltre le reclutazioni e le giubilazioni e si incitò la conferenza anzidetta a proseguire nelle riforme e nelle falcidie per realizzare nuovi e più copiscui risparmi.

Nel 1738 il bilancio militare veneto si ridusse infatti ad 1,886,322 ducati; quello del 1739 discese ancora a 1,670,333 ducati; quello del 1740 infine precipitò a 1,592,784 ducati.

L'esercito o la marineria veneziani si erano adunque sacrificati alla generale assenza d'ogni spirito di sacrifizio individuale e collettivo, ed in questa bancarotta di sentimenti e di mezzi essi avevano riportati dei colpi così fieri da non riaversi mai più.

Così la Repubblica cominciò a morire da quando decretò la liquidazione dei propri armamenti. «Va ben - aveva esclamato il penultimo doge Paolo Renier - «No gavemo più forze, non terrestri, non marittime, non alleanze,.. Vivaremo dunque a sorte e per accidente!...».

 

*

* *

 

Vennero ben presto nuove angustie derivate dal contegno che doveva serbare la Repubblica all'aprirsi della guerra per la Successione Austriaca. Il docile strumento dei bilanci guerreschi che sembrava adattarsi all'infinito all'umile compito di dare senza nulla mai chiedere, di risarcire il patrimonio pubblico perchè altri spensieratamente lo godesse senza ombra di preoccupazioni o di affanni per l'avvenire, di servire da vàlvola di sicurezza dell'erario che si avviava al fallimento, cominciò a farsi meno duttile e più prezioso.

Le diffidenze verso la Francia e verso la Spagna, l'aperto viso dell'armi assunto dall'Austria, avevano richiamato alla realtà delle cose con quella pavidità pronta ad ogni dedizione, con quella premura decisa a troncare ogni imbarazzo e che potevano eguagliare la spensieratezza imbelle con cui si era posto mano a disfare gli armamenti. Pure conveniva apparecchiare qualche cosa, se non altro per semplice mostra.

La Repubblica aprì allora docilmente la strada di Campara (Val Lagarina) agli Austriaci - i nemici più vicini - per ingraziarseli; suonò a raccolta per le cerne e racimolò qualche migliaio di vagabondi tratti dai riparti d'Italia e d'Oltremare per innestarli nell'esercito. Alle potenze più lontane offrì in pegno la dichiarazione della sua terza neutralità a mò di una presuntuosa etichetta fatta per coprire una merce avariata. Ed il costrutto positivo di tutte queste pratiche si fu quello di riallentare i cordoni della borsa.

Nel 1741 i bilanci militari veneti risalirono ad 1,818,147 ducati, nell'anno appresso - con la leva di due migliaia di cerne - crebbero ancora sino a 2,845,481 ducati e si mantennero a questo livello per tutto il rimanente periodo della terza neutralità d'Italia. Ma dopo la pace di Acquisgrana il governo della lèsina riprese di bel nuovo il sopravvento ed accompagnò senza interruzione le vicende militari della Repubblica fino alla sua caduta.

L'esercito si ridusse daccapo prima alla forza bilanciata di circa una quindicina di migliaia di uomini, poi ad una dozzina di migliaia, compresi i non valori. Le compagnie di fanteria precipitarono alla forza di una trentina di individui, quelle di cavalleria ad una ventina, i bilanci militari al milione e mezzo di ducati ed anche meno.

La bancarotta non poteva essere più completa. L'Arsenale ridusse pressochè a nulla il proprio lavoro, le milizie incanutirono sugli artificiosi piedilista, gli ufficiali furono obbligati a morire ancora in servizio nella più tarda vecchiaia per mancanza di danari necessari a giubilarli. Nondimeno la vetusta macchina della Repubblica continuava a reclamare tutta la sua parte di dissipazione dell'erario, senza che il più timido tentativo di riforma valesse ad alleviarne l'insopportabile peso. La macchina lavorava unicamente a vuoto e peggio.

A comprovare questo spèrpero di energie basta l'esame dei bilanci dell'Arsenale veneziano, considerato come pietra angolare del vetusto edifizio guerresco della Repubblica. Esso richiedeva in media per il suo mantenimento - affatto parassitario - 218,837 ducati all'anno, 46,836 ducati per l'anno dei pubblici navigli, 25,841 ducati per il rabberciamento delle artiglierìe più sganghenate, 30,000 ducati per il Reggimento Arsenal. In totale il maggior stabilimento marinaro dei Veneti pesava adunque sulla pubblica finanza per 324,504 ducati all'anno - cioè a dire per 1,356,426 lire odierne - senza contare le giubilazioni, le spese ordinarie per i trasporti Oltremare, per le esperienze ed altro.

E tutto ciò per lasciar marcire sugli squeri (cantieri) navi più che quarantenarie ed una perfino - la Fedeltà - impostata nel 1718 e varata nel 1770; per lanciare in mare tra il 1717 ed il 1780 soltanto 28 legni, che venivano così a costare all'erario pressochè tre milioni e mezzo ognuno, ammesso che questo prodotto di lavoro possa ritenersi il solo veramente sensibile dello stabilimento durante il menzionato periodo di oltre sessant'anni.

Il costo di produzione soverchiava adunque in modo inaudito il valore del prodotto, nè v'erano fede ed energia capaci di metterli in correlazione, amputando con sicurezza un organismo mastodontico di consorterie, lento e parassitario. Occorreva perciò romperla con le tradizioni corporative di una industria di Stato divenuta oramai un anacronismo economico, sociale e politico; stendere la mano franca e sicura all'industria privata che nella produzione delle armi aveva pur fatto passi lusinghieri e decisi.

Ora i buoni propositi di giovare in questo senso l'amministrazione della guerra attingendo alle floride officine della Bresciana, del Bergamasco, del Salodiano, mettendo a contributo i servizi della compagnia mercantil dello Spazziani, le ferriere di Agordo, i lanifici della Trevigiana e del Vicentino, tramontarono non appena si dileguò al Saviato alla Scrittura il benefico influsso dell'opera riformatrice di Francesco Vendramin255.

 

*

* *

 

Rimase adunque nella sua integrità opprimente il bagaglio delle spese e, per fronteggiarle, dopo di avere liquidato l'esercito e la flotta convenne ricorrere alla rovinosa china del credito.

Subito dopo la pace di Acquisgrana venne aperto un deposito o prestito di quattro milioni di ducati, valuta corrente, di soldo vivo al tasso del 3,50 per cento. Il prestito doveva essere affrancabile, cioè rimborsabile entro 40 anni mediante estrazioni (premi e rimborsi) da effettuarsi per maggiore garanzia in pien Collegio, e per la somma di centomila ducati ogni anno. Il pagamento dei pro, cioè degli interessi, doveva compiersi semestralmente.

Questi nuovi aggravi esaurirono i bilanci militari e diedero il tracollo alla moribonda milizia veneta. Il bilancio annuo della guerra si restrinse allora sul milione di ducati, nè si provvide per questo a sfrondare le spese inutili, allo scopo di rendere più efficaci e produttive le scarse risorse superstiti. In tali angustie finanziarie, in tanto disordine amministrativo, in tale ostinatezza nel persistere negli antichi errori, nella primavera del 1794 vennero chiamate alle armi le cerne. Indarno i deputati ed aggionti sopra la provvision del pubblico danaro ed il Savio Cassier moltiplicarono le interviste, per far fronte alle nuove e più gravi esigenze e sollecitarono l'opera degli scansadori256.

Ad onta di tutto ciò si resero necessari altri centomila ducati per la prima levata delle cerne, poi altri duecentomila e più, ed alla fine di quell'anno il consuntivo delle spese maggiori per gli armamenti della Repubblica era salito a 238,584 ducati e grossi 12, compresa la cavalleria e qualche lavoro più urgente da praticarsi nelle fortezze257.

Fu perciò aperto un nuovo credito, il nuovissimo, e si convenne di porre mano anche alla Cassa del deposito intangibile, così come si porrà mano più tardi a quella del Bagatin e si inaspriranno le decime, come infine, per sopperire ai bisogni delle armi, si era deciso di svaligiare senza remissione i magazzini dell'Arsenale258.

L'anno terribile stava per scoccare. La commedia della finanza allegra si avviava a diventare dramma e tragedia, ma prima dell'epilogo essa doveva passare ancora sotto le forche caudine dei Commissari del Direttorio, piegarsi davanti alla voracità insaziabile dei cassieri dell'esercito francese incaricati di dimostrare alla Francia che la Serenissima poteva pur dare ancora, e che la guerra si doveva alimentare con la stessa guerra a qualunque costo, a spese degli ignavi e degli imbelli.

Questa fanfara era già stata audacemente lanciata all'aria dallo stesso generale Napoleone Buonaparte: «Io - aveva dichiarato al colonnello Veneto Fratacchio, a Castiglione, il 12 Luglio 1706 - batterò gli Austriaci e farò che i Veneziani paghino tutte le spesa di guerra!»259 Un mese dopo Bonaparte imponeva una contribuzioue di tre milioni di franchi alla città di Brescia e trattava col Battagia un prestito da imporsi alla Repubblica260.

 

 

 




251 R. Commissione per la pubblicazione dei documenti finanziari della Repubblica Veneta. Serie II op. cit. - Bilancio dell'anno 1737.



252 Il ducato d'argento veneto si suddivideva in 24 grossi e 32 piccoli ed equivaleva complessivamente a L. 4,189. (Papadopoli - Sul valore della moneta Veneta - Venezia 1885).



253 Tra i generali stranieri al soldo della Repubblica, oltre allo Schoulemburg, erano compresi il Principe di Castiglione ed il tenente generale Guglielmo Greem.



254 Vedi R. Commissione etc. (op cit.).



255 Secondo la convenzione stipulata con la ditta Spazziani, questa sì era assunto il carico di fornire alla Repubblica pezzi di tutti i calibri al costo di 100 ducati effettivi al migliaro (peso grosso veneto), laddove la produzione di Stato non era capace di fornirli a meno di 170 ducati effettivi. (Deliberazioni del Senato Militar. Filza 107, Anno 1782). Il migliaro equivaleva a 1000 libbre grosse cioè a Kg. 476,998; la libbra grossa di 12 oncie corrispondeva a Kg. 0,476 - Il peso grosso era in uso per la più parte delle merci; metalli, legname, lana, cotone etc, (Martini - Manuale di metrologia - op. cit. - pag. 817 e segg.



256 Delib. Senato Militar. Filza 145 (1793).



257 Scansadori, magistrati appositi istituiti nel 1376 per provvedere nella pubblica amministrazione ad eliminare le spese superflue.



258 Il prestito nuovissimo fu decretato in Senato il 12 aprile 1794. L'imposizione delle decime straordinarie fu decisa nell'estate del 1796.



259 Filza F. Battagia, Provveditore Straordinario in Terraferma. - Anno 1796. Filza N. 1.



260 Filza F. Battagia, idem. Lettera 14 agosto 1796, N. 19 della serie. «Buonaparte aggiunse che tutte le nazioni avevano dei debiti e che la Repubblica Veneta aveva cento mezzi per fare denari con uno Stato così florido, risparmiando se non altro il gettato in un armo che, o non aveva nessuno oggetto, o lo aveva contro la Francia».






Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2007. Content in this page is licensed under a Creative Commons License