Intanto si era
giunti all'agosto; la temperatura continuava a crescere, benchè le giornate
fossero più brevi e il malessere prodotto dall'afa sembrava giustificare una
sensazione di languore che mi prendeva spesso in mezzo alla gioia rinascente
della mia vita.
Passavano i giorni e le settimane
in una grevezza di piombo fuso; io perdevo ogni energia. L'Orsola scrutando il
cielo sentenziava: Questo tempo non cambia fino alla luna nuova.
L'alba del 26 agosto mi schiuse le
palpebre dopo una notte agitata e piena di sogni. Mi alzai rapidamente e
assicuratami che Alessio dormiva tranquillo scesi in giardino e mi posi a
passeggiare; ma ben presto il giardino mi parve angusto, escii nella campagna,
presi i viottoli, costeggiai i ruscelli, entrai nei boschi, respirando con
delizia l'aria del mattino ed esponendo il volto alla carezza dei rami che mi
sprizzavano sulle gote accese una pioggerella di rugiada. Pei meandri intricati
della selva i miei capelli si sciolsero e piovvero su di essi fogliuzze di
robinie e profumati fiori di calicanto. Nell'erba umida le mie scarpe leggere
perdettero ogni consistenza ed io sentivo il terreno molle sotto le piante dei
piedi. Mi avanzavo nella luce del sole nascente, nell'umidore dei prati e i
calici bianchi dei convolvoli e gli occhi azzurri delle pervinche si aprivano
intorno a me come mani tese di amici, come sguardi di sorelle. Tutti i rumori
del bosco erano canzoni, i pigolii dei nidi erano tutte preghiere ed io pure
cadendo in ginocchio pregai in mezzo alla natura in festa come dinanzi
all'altare di Dio. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Quando feci ritorno nella mia
camera Alessio si svegliava allora chiamando mamma.
Il resto della mattina dovetti
impiegarlo nel regolare con Pietro i conti di casa; poi venne il dottore a
visitare l'Orsola che aveva la tosse e più tardi due suore della carità a
cercare l'elemosina per i fanciulli abbandonati. Le ore terribilmente lunghe
del pomeriggio le passai coricata sul divano del salotto dove dormii e sognai
di essere sospesa sopra un'onda in mezzo a un mare burrascoso e quanto più
cresceva la burrasca l'onda si alzava portandomi in alto. Prima di pranzo
scrissi una lettera d'affari e lessi per una mezz'ora Pascal, ma mi parve
freddo. Il suo ritratto sul frontispizio del libro allontanava la mia simpatia;
non è così che m'immagino un pensatore, un uomo fatto per trascinare le anime.
Non dovrebbe egli avere una gran luce negli occhi?
Verso il tramonto l'afa crebbe a
dismisura, il cielo andava coprendosi di nubi; io ero spossata fino
all'esaurimento. Quando venne mio cugino mi trovò seduta sotto i rosai accanto
alla casa, non avendo nemmeno avuto lena di percorrere il sentiero.
Era forse un po' prima dell'ora solita.
Insensibilmente Egli allungava il tempo di stare con me; eravamo entrambi
sempre più desiderosi di vicinanza, di comunione, ed era in entrambi una gran
voglia di dirci tutto, tutto, fino i pensieri fuggevoli di un istante. Da me a
Lui le più semplici parole si vestivano di un fascino misterioso che subivamo
insieme, sì che eravamo giunti a intenderci con uno sguardo, con un piccolo
movimento del capo. Qualche volta si diceva nello stesso tempo la medesima
cosa.
- Soffrite? - domandò prendendomi
il polso.
- Siete anche medico? - domandai
alla mia volta sorridendo e senza aspettare la sua risposta soggiunsi - No, sto
bene.
Stavo in quel momento veramente
bene, con una dolcezza che mi allacciava tutta, per cui anche lo spossamento
prodotto dal caldo si mutava in un simpatico languore.
- Che cosa avete fatto oggi? tornò
a chiedere Egli, riconducendo delicatamente il mio polso sovra i miei ginocchi.
Dovetti rispondere anche questa
volta, come tante altre, nulla, quantunque fosse così vivo in me il
desiderio di potergli raccontare cose grandi e belle. E cademmo nel silenzio,
strano silenzio che sembrava crescere in proporzione del desiderio di parlare
ma che era tanto dolce, dolce come non saprei dire.
In quello stesso posto, accanto ai
rosai, vedevo sorgere lentamente la mia immagine piccoletta in un giorno in cui
me ne stavo fra il babbo e la mamma, tutta festosa per un abitino che portavo
per la prima volta, chiaro, a piccoli mazzi di ciliegie. Cogliele! cogliele! mi
diceva Pietro che passava innanzi e indietro annacquando i fiori. Se mio cugino
mi avesse vista allora! E se mi avesse vista quando caddi nel serbatoio
dell'acqua per pigliare una farfalla che vi si era posata sopra! E quando
trovandomi accanto al cancello col grembialino pieno di nocciuole le diedi
tutte a un vecchio mendicante che aveva fame e che intascò le nocciole
gettandovi sopra uno sguardo desolato! Il giardino conosceva la mia vita, anno
per anno, giorno per giorno, mi aveva vista a ridere, mi aveva vista a
piangere, mi vedeva ora immersa in quei pensieri; poveri pensieri senza dubbio,
pensieri di donna.... Voltai la faccia per vedere che cosa faceva intanto mio
cugino. Egli aveva preso un velo bianco che mi ero levata dal collo nei momenti
della maggior caldura e lo teneva fra le mani brancicandolo, mi parve, con una
nervosità insolita.
Temetti di averlo annoiato col mio
silenzio e gli rivolsi la parola. Egli non mi rispose che con un monosillabo
inconcludente. Allora, poichè una corrente fresca aveva rotto improvvisamente
l'aria, volli riprendere il mio velo ed Egli me lo cedette a stento, sempre
senza parlare, con uno sguardo smarrito che non gli avevo mai visto. L'aria
doveva essere molto mutata se, annodandomi intorno al collo il piccolo velo
avvertii una sensazione assolutamente piacevole, tanto che lo strinsi e strinsi
vieppiù per sentirmelo meglio contro la pelle.
- Il tempo muta, dissi poi,
incominciando a provare l'inquietudine di un silenzio troppo prolungato.
Mio cugino sollevò gli occhi,
guardò il cielo qua e là, rispose: Può darsi. E per quanto io cercassi alcuna
cosa da aggiungere non trovai altro.
Sorgevano intanto i lievi rumori
della sera, gli insetti che si ritiravano nelle loro tane, qualche cane che
abbaiava in lontananza, qualche foglia che cadeva nella grevezza dell'ora quasi
gemendo di avere resistito tutto il giorno invano. Nella casa, il lume portato
a mano dall'Orsola vagolava di camera in camera presiedendo i preparativi per
la notte.
- Mamma - gridò Alessio dalla
soglia dove era stato fino allora a trastullarsi con Pietro - ho sonno.
- Vengo, amor mio.
- Non allontanatevi - disse Lui; e
la sua voce era di chi abituato a comandare, prega a fatica.
- Ma è l'ora.
- No, non è l'ora.
- Guardate come è buio.
- È il temporale che si prepara.
- è vero. Che cielo minaccioso!
Restammo cosi qualche istante,
incerti, quasi cercando una parola suprema per spiegare una sensazione ignota.
Alessio tornò a gridare: Mamma, ho sonno!
- Addio - pronunciai rapidamente
levandomi in piedi.
Egli ripetè con una dolcezza
penetrante:
- Non allontanatevi.
- Il bimbo ha sonno, siate
ragionevole, amico mio.
Dissi amico mio, come non
dicevo mai, perchè mi parve che in quel momento Egli avesse bisogno di una
parola gentile.
Rispose rassegnato: Addio. Io
raggiunsi la scala senza voltarmi indietro, seguendo Pietro che portava il
piccino già mezzo addormentato.
Quando Alessio fu disteso nel suo
lettuccio, quando l'ebbi baciato e ribaciato, tornai in anticamera a domandare
a Pietro se aveva accompagnato mio cugino per fargli lume in quella sera tanto
buia. Il mio domestico rispose che il signore era già partito e che egli era
arrivato appena in tempo a chiudere il cancello.
- Bene - gli risposi - andate pure
a coricarvi.
Era veramente ancora presto, non avevo
sonno. Pensai di finire la serata leggendo quietamente, ma non trovai subito il
libro che cercavo e mi indugiai un poco intorno alla musica, decisa tuttavia a
non suonare per non svegliare Alessio. Volli continuare il mio ricamo ma sul
gomitolo non c'era quasi più seta. Allora rimasi a lungo ritta nel mezzo della
stanza, colle dita intrecciate dietro il dorso, immobile. Non so se mi parve
solamente o se davvero qualche cosa di lieve battè intanto contro i vetri. Mi
avvicinai alla finestra e l'apersi. Il tempo era sempre minaccioso; mi sporsi
fuori sul davanzale guardando giù nel giardino. Dovessi vivere mille anni non
dimenticherò mai più la voce che intesi:
- Myriam, sono io, ho bisogno di
parlarvi.
- Quale follia - dissi procurando
di conservare un tono basso e calmo - che cosa fate ancora lì? Chiamo Pietro;
egli non s'è accorto che eravate in casa.
- Non chiamate alcuno; ho bisogno
di parlarvi, ve l'ho detto.
Accorgendosi che esitavo,
imbarazzata, Egli soggiunse:
- Apritemi, ve ne prego.
Accesi un lume e discesi. Nello
schiudere la porta un soffio di vento mi spense la candela così che non potei
frenare un piccolo grido. Egli tirò il catenaccio perchè l'imposta non
sbattesse e prendendomi la mano mi trasse sulla scala semibuia senza
pronunciare una sola parola, guidandosi al raggio della lucerna che usciva dal
salotto. Non avevo paura, non potevo aver paura di Lui e tuttavia tremavo.
Appena giunti nel salotto mi lasciai cadere sopra una sedia e gli chiesi
angosciosamente:
- Che cosa volete?
Oh! ma come avrebbe potuto
rispondere? Era pallido, di un pallore azzurrognolo, e i suoi occhi avevano una
tale espressione di smarrimento che indietreggiai sbigottita. Egli si pose in
ginocchio e nascondendo il volto nel mio abito vi soffocò una parola che non
intesi.
Mi sentivo diventar di gelo, colla
sensazione di una sofferenza diffusa in tutto il mio essere e poichè la sua
testa stava sempre sui miei ginocchi e le sue braccia si alzavano verso di me
implorando, mi gettai indietro col busto, irrigidita dal terrore, cercando di
sfuggire il suo contatto.
- Vi ispiro tanta ripulsione? -
mormorò ancora la sua voce stranamente alterata.
- No, no, ma lasciatemi! - gridai
in un impeto di paura, di dolore, di avvilimento.
- Myriam, vi amo.
- Non è vero.
Pronunciai queste parole con una
amarezza che lo colpì. Si rizzò in piedi, col volto disfatto, cogli occhi
torvi.
- Badate, quest'ora era vostra. Non
mi avrete mai più così, mai più!
Chinai il capo sotto la misteriosa
minaccia, stringendomi le braccia contro la vita con dei brividi di freddo; nè
so quanto tempo passasse. Un lampo venne d'improvviso a rischiarare il buio
vano della finestra; allora lo pregai dolcemente di andare a casa.
Ritto e fiero nel mezzo della
stanza, sembrava che Egli combattesse internamente una dura battaglia e già
piegava ancora verso di me, già aveva una supplica negli occhi.
- Andate, andate, andate.
Io ridissi questa preghiera,
cercando l'accento più persuasivo, più fermo e più dolce insieme.
Uscì senza far motto. Lo seguii
fino ai piedi della scala, disfatta, reggendomi a stento, udendo con terrore la
pioggia che incominciava a cadere.
Aperse la porta mentre uno scoppio
di tuono scosse tutta la casa; la sua alta persona balenò per un istante sulla
soglia, si curvò, disparve. Io mi accosciai a terra, singhiozzando, in preda a
una convulsione di lagrime.
L'uragano intanto si avanzava con
una furia terribile, rombava nell'aria, muggiva nelle gole dei camini, ululava
svettando gli alberi, schiantandone i rami con lunghi gemiti che parevano di
persona viva. - Mio Dio, mio Dio - mormorai colla faccia contro il suolo -
abbiate pietà di Lui!
L'acqua scrosciava violentissima;
per le fessure della porta entrava un vento gelato; i lampi e i tuoni si
seguivano con una frequenza spaventosa. Uno specialmente fu così fragoroso che
credetti ne sprofondasse la terra. Oh! dov'era Lui?... solo, nelle tenebre, fra
l'imperversare della bufera.... A questo pensiero il freddo che mi rattrappiva
le membra divenne fuoco ardente. Per un istante intravidi la folle tentazione di
correre sui suoi passi, di chiamarlo.... Mi alzai, ricaddi, posi la mia testa
infuocata sul gradino della scala, invocai Dio, invocai la morte.... poi non
seppi più nulla finchè mi trovai fra le braccia di Pietro e di Orsola che mi
ricondussero di sopra, inerte e docile come una bambina e mi posero a letto.
Essi svegliandosi nella furia
dell'uragano erano discesi per vedere se tutti i vetri fossero assicurati e
trovandomi svenuta ai piedi della scala immaginarono che fossi discesa per lo
stesso motivo, e che un malore m'avesse côlta.... Poveri vecchietti cari!
Poveri vecchi che mi volevano tanto bene!
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