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Neera L'amuleto IntraText CT - Lettura del testo |
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Poco dopo tutta la casa era buia, tutti gli usci e le finestre chiuse, il silenzio profondo. Cogli occhi sbarrati nella oscurità io mi domandavo ancora: Perchè non è venuto? e di tutti i sentimenti provati in quelle ventiquattr'ore; lo sdegno, la vergogna, la pietà, il perdono, il rimorso, la tristezza, quest'ultima sola rimase dilagante, sconfinata. Che cosa era dunque accaduto che io non potevo indovinare? e d'onde mi veniva tanto dolore per un fatto che avrebbe dovuto offendermi anzi che rattristarmi? Avevo paura de' miei pensieri, avevo paura d'indagarli. Volli dormire ma non vi riuscii, quantunque il sonno mi gravasse le palpebre. Un'idea mi stava fissa nel cervello tormentandolo: Ieri a quest'ora Egli era qui! Con una incoscienza di sonnambula scivolai fuori dal letto, riaccesi il lume, tornai nel salotto. Là mi fermai immobile. Quello era il posto, quella l'ora. La medesima sedia sulla quale ero stata seduta quando Egli mi si inginocchiò davanti era ancora vicino alla tavola, un po' di traverso, come aspettando. Che ansia mi prese nel rifare a memoria il piccolo colpo che mi era parso di udire contro i vetri.... Non osai aprirli, non osai! Mi posi sulla sedia e mi sembrò che ardesse. Una allucinazione strana mi faceva sentire il calore del suo respiro, la sua testa appoggiata a' miei ginocchi, le sue mani alzate a implorarmi - e non era più una sensazione di spavento, era una sensazione di ebbrezza.... Dio! Dio! ma dunque lo amavo! Quale nuovo abisso di pensieri e di dolore! Mi chiusi la fronte coll'istintivo bisogno di sfuggire a tutto quello che mi circondava, a me stessa se avessi potuto. Pensare non era più possibile; nessuna idea, nessun concetto, nessuna parola riusciva a rompere la pesantezza del mio cervello che avrei potuto credere paralizzato se una specie di chiodo martellante sul cranio non mi avesse dato colla sensazione di una orribile sofferenza anche quella della vita. Chi sa quanto tempo rimasi là, sola! La candela si accorciava a poco a poco e le ombre crescevano nella stanza disegnando sul pavimento delle lunghe striscie mobili che mi facevano trasalire. Un gran freddo che mi prese prima alle braccia e poi in tutto il corpo mi ricondusse nel mio letto, dove appena giunta spensi il lume e mi gettai colla faccia in giù, sprofondata, annientata. Ebbi veramente la febbre, così che rimasi alcuni giorni in preda a un torpore continuo. Solamente verso sera mi prendeva un po' di inquietudine e spiavo i rumori di fuori, ma nessuno e nulla entrò dalla porta invincibilmente muta; non una persona, non una lettera. L'agonia della aspettativa si prolungava nel modo più straziante; io non avrei mai creduto che il silenzio potesse torturare con tanta raffinatezza. Una sera, sentendomi un po' meglio, Alessio giuocava seduto sul mio letto. A un tratto esclamò: - Ma perchè nostro cugino non viene più? Chinai il capo con una confusione di colpevole e Pietro che era entrato colle medicine mi disse di aver visto il suo servitore e saputo da esso che il signore si trovava assente. Fu un momentaneo sollievo; Pietro soggiunse di avergli a sua volta comunicato la notizia della mia malattia e questo mi turbò. Che cosa ne avrebbe pensato Egli? E dove si trovava? E perchè era partito? E quando sarebbe ritornato? Nuovi pensieri, nuove congetture, nuovi dubbi e terrori; nuova angosciosa aspettativa. Altri eterni giorni passarono ancora. Mi ero ristabilita in salute, ma vagavo per la casa come un'anima in pena, o piuttosto come un corpo che ha perduta la sua anima. Una mattina l'Orsola venendo in camera a portarmi il caffè disse che c'era stato un uomo della Querciaia a domandare mie notizie in nome del suo padrone che era ritornato. Mi balzò il cuore per la gran gioia. In tutti quei giorni di sofferenze avevo quasi dimenticata l'offesa, solo sentivo il vuoto della sua lontananza. E ricominciai ad aspettare un giorno, due giorni.... Mi trovavo con mio figlio presso il cancello del giardino - era un bel pomeriggio di settembre - Alessio stava scuotendo un alberello di piccole mele rosse quando si pose a gridare battendo le mani: - Eccolo, eccolo! Come può reggere il cuore a simili commozioni? il fragile cuore che si spezza così facilmente, che per un lieve urto sospende tante volte per sempre il suo battito? È una cosa che non ho mai potuto capire. Il mio cuore in quel momento parve voler scoppiare e subito dopo, quando Lo vidi ritto innanzi al cancello, si strinse improvvisamente, impietrò. Sentivo che una maschera di gelo copriva la mia faccia. Alessio che aperse il cancello e gli corse fra i ginocchi tempestandolo di domande mi lasciò il tempo di trovare un contegno indifferente, il solo dietro cui potessi riparare in quel subito assalto. Veniva Egli coll'intenzione di farmi visita, o passava per caso e per curiosità? Non lo seppi mai. Egli ad onta della grande disinvoltura, evitò nei primi momenti di parlarmi direttamente e dopo di avermi salutata si rifece con Alessio rispondendo con una certa agitazione alle sue domande infantili. Solo più tardi mi chiese: - E la vostra salute? - Io sto benissimo, sono sempre stata bene; sapete, i miei vecchi mi amano tanto che trasformano in una malattia ogni mia emicrania. Mentii così, con piacere, per un bisogno pudico di nascondergli le mie sofferenze. Egli mi prese alla lettera, sbozzò un sorriso e raccattato un sasso sul viale invitò Alessio a una sfida di tiro contro un punto lontano. Chiacchierò poi del più e del meno con volubilità, senza approfondire nessun argomento. Mezz'ora prima del pranzo prese commiato. Questa visita mi lasciò un lungo strascico di amarezza, un malcontento, una inquietudine. Tornò due giorni dopo alla stessa ora, col medesimo contegno distratto e superficiale. Alla terza o alla quarta visita compresi che la spiegazione non sarebbe più venuta. Tutto era finito nel modo più impreveduto e più volgare. Ma se tutto era finito esternamente, le dolci sere passate insieme, i lunghi colloquii, le confidenze, le trepide attese e la irrompente gioia di sentirmi vicina un'anima come la sua, non era finita, no, la trasformazione della mia anima. Egli mi aveva presa su di un piccolo romito sentiero e sollevandomi in alto colle sue ali poderose mi aveva mostrato gli orizzonti della vita. Ora toccava a me a salire colle mie proprie ali. Era il momento di mostrarmi degna di Lui. Io avevo bene letto (poichè leggevo ora) che si inghirlandano i battelli e le leggere navicelle prima di lanciarli sulle onde in preda ai turbini e alle tempeste. Avevo avuta io pure la mia ghirlanda, basta. Può un fiore durare più di un fiore? Ma mentre mi rendevo così ragione di tutto non ritrovavo la calma. L'amo! l'amo! l'amo! Questo grido disperato echeggiava per tutti gli angoli della mia casa, nel salotto austero che prendeva sotto il sole un ardore di fiamma, nel giardino tante volte percorso insieme, nel bosco delle acacie dove una sera mi ero sentita invasa dai suoi ideali, alla finestra che sembrava aver ritenuto l'eco della sua voce prorompente nel silenzio della notte, sul guanciale in cui avevo soffocati i primi singulti del mio amore. Strana e dolorosa ironia, finchè Egli mi era vicino e fedele non mi ero accorta di amarlo; ora, ora divampava l'incendio, ora che lo perdevo! Un acuto martirio diventarono da allora in poi i nostri colloqui, dove al simpatico abbandono subentrava la diffidenza e l'osservazione continua. Il non venir più alla sera, in quell'ora che sembra stringere più dolcemente gli affetti, mi dava una vera e profonda malinconia. Sembrava una tacita conferma della sua minaccia: Non mi avrete mai più così, mai più! Soffrivo e non volevo mostrarglielo; piangevo in segreto e mi presentavo a Lui sorridente e gaia; ma a tutto il mio lavorio di indifferenza Egli ne opponeva un altro egualmente tenace di durezza, quasi di sprezzo. Il maggior punto della sua difesa in questo senso era di non intrattenermi più de' suoi pensieri, de' suoi progetti, de' suoi sogni. Se tentavo di ricondurlo su questa via, se gli chiedevo di Lui, rispondeva: "Oh! che volete mai che vi dica!" e vi era tutto un sottinteso di allontanamento e di freddezza che mi feriva nel più profondo del cuore. A volte la sua crudeltà mi suggeriva una fiera ribellione. Avrei voluto dirgli che se uno di noi era l'offeso, uno di noi l'ingannato, uno solo era anche in diritto di freddezza e di sprezzo e quell'uno era io. Ma appena queste parole sorgevano dall'intimo mio sdegno al varco delle labbra un gran rossore mi invadeva tutta; mi pareva che avrei sopportato qualunque cosa piuttosto che ritornare io stessa alla memoria di quella terribile sera. E ancora dicevami la voce intima della coscienza: Sei tu sicura che Egli sia il solo colpevole? Questo amore così tardi rivelato al tuo debole spirito non s'era già tradito agli sguardi veggenti di Lui? Puoi giurare che un gesto, un motto, un improvviso colorirsi e scolorirsi del volto, una stretta di mano più intensa, un solo lungo attendere della pupilla non gli abbiano fatto palese ciò che tu ignoravi? Non ha tremato la tua mano in quella sera stessa prendendo da Lui il piccolo velo che doveva avvolgerti il collo? E allora, e allora, perchè accusarlo solo? È Egli il solo colpevole? Alla fine di queste lotte violenti con me stessa chiedevo: Che cosa farò? Cessare di amarlo mi pareva impossibile. Il resto era mistero. Pensavo qualche volta alle persone saggie che in ogni circostanza della vita si tracciano una linea di condotta; per parte mia non riuscivo nemmeno a capire che cosa possa essere una linea di condotta. Volevo fare ciò che è bene e compiere il mio dovere sempre, ma quale era in quel momento il bene e quale il mio dovere? La mia coscienza era troppo vicina al mio cuore forse, e non mi trovavo altri consiglieri accanto. Nel caos di queste idee una sola emergeva chiara e sicura: la necessità di nascondere a Lui lo stato dell'anima mia e non saprei nemmeno se tale sicurezza mi veniva direttamente dal mio dovere o se molta parte vi avessero l'orgoglio, la dignità e il desiderio di vincerlo in questa battaglia. Passò in tal modo tutto settembre; venne l'ottobre co' suoi cieli di madreperla. Il viale del mio giardino si coperse di foglie rosse e gialle: le acacie si facevano esili di giorno in giorno rarificando il bosco, quasi tutte le rose erano morte. Compresi per la prima volta e penetrai a fondo la grande tristezza dell'autunno. - E tuttavia - pensavo - rifioriranno le rose, il bosco rinverdirà - io sola non avrò più nè fronde nè fiori! Il tempo piovoso mi tenne chiusa in seguito nel mio appartamento dove lessi molto. Chiesi a mio cugino se non avesse altri libri da darmi ed Egli rispose che non credeva averne di addatti per me. Un sorriso ironico accompagnò queste parole. Andavo abituandomi a quella ostentazione di disprezzo; non era, non poteva essere sincera e avendo coscienza di non meritarla restavo impassibile sotto i colpi, gemendo nel mio interno e struggendomi in una malinconia senza nome. Egli avrebbe forse desiderato di vedermela questa malinconia, sul volto, ma la nascondevo invece come il mio più geloso segreto. Una volta restammo soli. Cadeva il giorno abbreviato da una nebbia umida e densa. Non reggendo più a ricamare nella luce incerta della finestra mi alzai per mettere a posto il lavoro e trovandomi accanto al cembalo mi posi a riordinare la musica, così, automaticamente, forse per sfuggire un'intima sensazione di imbarazzo. Egli aveva certo un progetto nella sua mente perchè mi si avvicinò col volto torbido e chiuso. Ponevo allora la mano sulla canzone antica. I ricordi della sera felice in cui l'avevo cantata per Lui mi diedero una stretta al cuore così violenta che sentii il bisogno di padroneggiarmi. Feci scorrere le dita sulla tastiera e ne trassi il motivo più allegro e più comune, insistendovi, colla tenacia aperta di chi vuole ubbriacarsi a qualunque costo. Colla coda dell'occhio vedevo il suo volto contrariato e pensavo: - Oh! se parlasse adesso! Ma nello stesso tempo ero presa da un terrore folle che mi faceva precipitare le note in una ridda vertiginosa di un effetto violento. Aveva Egli detto qualche cosa? mi pareva poichè per un istante il suo respiro era venuto verso di me recando un suono; ma che cosa aveva detto? Temevo troppo di saperlo. No, no, quello non era il momento. Lo avevo aspettato per tanto tempo; ora non più. Non ero preparata... non ne avevo la forza. - Lo... lo... ma la fatale parola che echeggiava tutto intorno a me non dovevo nemmeno in quel momento pensarla. Ah! Se invece di parlare Lui, avessi parlato io? aah! aah!... se mi avesse indovinato? mai, mai, questo mai! Rovesciai la testa indietro come trascinata dalla musica, presa da un accesso di ilarità convulsa e prolungata. Egli stava in piedi e teneva fra le mani un piccolo regolo che aveva levato in quel momento dal tavolino. I nostri occhi si incontrarono con un incrociamento acuto, quasi feroce da parte sua. "Vi batterei" disse. Se non fosse stato quello sguardo avrei potuto credere che si trattasse di uno scherzo, ma in quello sguardo avevo veramente sentita la percossa. . . . . . . . . . . . . . . . . .
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