La chiesa del
nostro villaggio era piccolina e molto antica. Collocata sopra una altura, vi
si accedeva per uno di quei sentieri scaglionati nella montagna, dove l'erba
cresce tra sasso e sasso, che è così dolce salire lentamente nelle mattine
bianche o nei pomeriggi soleggiati, colla pace nello spirito e la fede nel
cuore. Io l'amava particolarmente, la chiesetta. I miei genitori vi si erano
sposati; vi ero stata battezzata e sposata io pure e molti sogni, molte
aspirazioni indefinite vi avevano preso il volo insieme alle nuvole d'incenso e
alle rose offerte alla Madonna. La conoscevo palmo per palmo, dalle pareti
grigie al soffitto di legno e all'unico altare di stucco verdastro colle statue
dei quattro apostoli. Sapevo che non era bella, me lo avevano detto; ma a me,
poichè l'amava, sembrava anche bella.
Tutte le domeniche prendevo il mio
posto nel banco di famiglia con Orsola e con Alessio ed era un'ora ben soave
quella che passavo così, tranquilla, nella dolce religiosità del culto
cattolico, in mezzo alle umili e buone donne del villaggio. Le distinguevo una
per una; elle sorridevano dai loro posti al mio bambino e facevano all'Orsola
dei cenni amichevoli. Ma una domenica - Alessio era leggermente indisposto -
andai sola.
Volgeva la fine di novembre, un
novembre grigio e freddo che vestiva di tristezza tutte le cose; eppure,
camminando sotto gli alberi mezzo sfrondati, nella reliquia delle foglie che
già da lungo tempo cadute stendevano sul terreno un tappeto bruno chiazzato di
giallo, era in me una insolita energia che mi faceva tenere la testa alta e
aspirare con avidità la brezza pungente, già quasi invernale. Mi stringevo nel
mio abito un po' troppo leggero con una intima sensazione di resistenza fisica
in perfetta armonia colle mie lotte interne. La salita la feci
leggerissimamente, portata da una forza occulta su per il declivio erboso fino
alla porta della chiesa. Un vecchio cieco che da vent'anni vi tiene dimora
vendendo le immagini mi riconobbe non so se al passo o al fruscìo del mio
abito. - La pace sia con voi - disse e l'augurio mi scese al cuore, dolcissimo.
Trovai la chiesa piena di gente, le
sacre funzioni già incominciate. Avviandomi al mio posto fra il gruppo delle
donne inginocchiate che si stringevano per lasciarmi passare, vidi accanto alla
pila dell'acqua santa due signore; una attempata, l'altra giovanissima. Non
ebbi bisogno di chiedere chi fossero. Un tuffo nel sangue me lo disse.
Raggiunsi il banco a tentoni e mi inginocchiai o piuttosto caddi nascondendo il
volto fra le mani.
Venivano certo per la prima volta
in chiesa perchè io non ve le avevo mai scorte. La persona cadente della
vecchia signora, la sue guancie profondamente emaciate, serbavano traccie di
una nobile bellezza sulla quale la malattia lenta e implacabile aveva già posto
il suggello sacro della morte. Fu una apparizione che mi impressionò oltre ogni
credere. Della figlia non mi fu dato vedere che l'alta figura elegante e snella
come l'aveva descritta mio cugino; girò la testa al mio passaggio, ma io
l'avevo già oltrepassata e nulla potei afferrare della sua fisionomia. Però,
durante la messa, sentii la loro presenza ossessionante e quella vaga
specialissima sensazione di malessere da cui siamo presi quando abbiamo
qualcuno alle spalle che ci osserva e che noi non possiamo osservare.
Appena terminati i divini uffici
uscii. Nel ripassare nuovamente davanti alle due signore speravo di poterle
vedere meglio; non fu così, perchè al momento opportuno, invece di sollevare
gli occhi, fui presa da uno scrupolo bizzarro e chinai il capo affrettando il
passo.
Fuori, sulla spianata deserta, mi
fermai a respirare fortemente l'aria che così frizzante e cruda mi entrava con
un grande refrigerio nel petto. Anche quella prova era venuta! Tutto arriva,
fatalmente, inesorabilmente, di ciò che deve arrivare. - Oh! mio Dio! - pensai
- datemi forza fino alla fine. - E poichè i fedeli già uscivano in folla dalla
chiesa mi allontanai con maggiore rapidità, dileguandomi sotto gli alberi, con
fermezza sì, ma non senza affanno; lo conosceva questo affanno il mio cuore che
sembrava essersi fatto piccino piccino e non battere più che colla lentezza di
una agonia.
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