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Vittorio Alfieri Del principe e delle lettere IntraText CT - Lettura del testo |
CAPITOLO DECIMO.
Che da tali nuove lettere nascerebbero a poco a poco dei nuovi popoli.
Roma, dall’aver cacciati i re, ricevea quell’impulso a virtù, che per tanti anni la facea sempre poi crescere, e così sterminatamente grande al fin la faceva. E questo negar non si può, mirando agli effetti. Dall’avere ella poi soggiogate molte nazioni, e massime le suddite ai re, ne riceveva, insieme coi loro monarchi in Campidoglio strascinati, le ricchezze, le morbidezze, i vizj tutti, ed i guasti costumi. Roma da queste regie pesti ben tosto poi ricevea, sotto altro nome, dei novelli e ferocissimi re: e da questi finalmente poi riceveva ella il suo ultimo avvilimento e sterminio.
Così, nei tempi nostri, l’Inghilterra, dall’aver cacciata la regal potestà, serbando tuttavia dietro l’infrangibile scudo delle leggi i suoi re, in meno di un secolo saliva ella in forza ed in gloria grandissima; e la vediamo ai dì nostri far fronte ella sola, e vincere spesso, e non mai soggiacere finora, a molte delle maggiori monarchie dell’Europa congiurate in suo danno. Perciò nove milioni appena d’Inglesi si sono veduti in quest’ultima guerra di America stare a fronte di venti e più milioni di Francesi, di dieci o non so quanti di Spagnuoli, e di cinque o sei tra Olandesi e Americani. Politica maraviglia, di cui non si può trovar la ragione, se non se confessando, che un uomo libero equivale almeno a sei schiavi. Ma pure, combattendo gli Americani per la loro libertà non soggiacquero in questa guerra agli Inglesi, i quali in America faceano assai più la parte di schiavi e tiranni essi stessi, che non di liberi uomini.
Ma, lasciando questo (che al mio tema non spetta) se io in questi due popoli, nel moderno Inglese e Americano, e nell’antico Romano, osservo le cagioni della lor libertà, e quindi dei loro progressi, felicità, virtù, e grandezza; trovo pur sempre esserne stata principalissima origine la loro piena ottenuta conoscenza dei proprj diritti. Diritti, ad essi, come agli altri uomini tutti, dalla natura accordati, ma dal principato che contro natura è, menomati, tolti, scambiati, e corrotti. Alla custodia di tali e così sacri diritti vegliavano in Roma i tribuni, in Inghilterra la camera dei comuni, e non so finora chi ci veglierà nella nascente libertà dell’America: benchè, per non aver essa nè ottimati nè clero, assai meno necessaria vi sarà tal custodia; poichè tutti non cercano mai di pregiudicare al dritto di tutti. La libertà dunque nasce, e vièri promulgata conservata e difesa da quegli uomini principalmente, che insegnando ai popoli i loro diritti, somministrano loro gli opportuni mezzi al difenderli. La libertà in oltre, è la sola e vera esistenza di un popolo; poichè di tutte le cose grandi operate dagli uomini la ritroviamo sempre esser fonte. In Roma dunque ed in Londra erano e sono necessariamente illuminati e sovrani oratori quegli uomini, cui con sì bel privilegio la libertà destinava e destina a stabilire conservare ed accrescere le più sacre e legittime prerogative di tutti. Ma fra noi popoli servi, che non abbiamo tribuni, chi altri mai ci potrà insegnare a conoscere i nostri diritti, a ripigliarcegli, e a difenderli, se ciò gli scrittori non fanno? e se le lettere, più che ad ogni altra cosa, a questa non giovano; se anzi, fattesi esse ministre di falsità e di lordura, sotto un aspetto pur tanto diverso dalla loro naturale istituzioni primitiva, si veggono appiè del trono in un col servaggio nel fango bruttate; non debbono elle giustamente venir reputate dai popoli per una delle più fetide pesti delle lor società? le sacre lettere, che di tanto traviate, riduconsi pure ad insegnare laudare e proteggere il falso, con quell’arte e lusinga così possente ognora su gli uomini tutti, la elegante eloquenza. Ciascuno militi nel mondo sotto le proprie insegne. L’interesse e lo scopo dei principi si è il comandare quanto più essi possono; e, per ottener tal vittoria, incontro ai popoli schierano l’ignoranza e gli eserciti. L’interesse e lo scopo dei popoli, (e il solo degno di loro) si è, o dev’essere, il valersi di tutte le proprie facoltà pel maggior vantaggio di ciascun individuo e di tutti; ma a questo alto scopo manifestamente si oppone il cieco obbedire ad un solo. Dunque, infin che venga quel giorno, in cui contra i principeschi satelliti schierare si possano degli uomini cittadini, e distruggerli, incontro alla principesca ignoranza in copia schierar vi si debbono arditi e veraci scrittori, che ai tremanti loro conservi insegnino a farsi uomini e cittadini; e che ai tremanti principi ricordino, che, per se soli, degli uomini tutti i minori son essi.
Gli arditi e veraci scrittori son dunque gli onorati, naturali e sublimi tribuni dei non liberi popoli. Eletti a così alto incarico dalla sola forza del natural loro impulso, sotto mille forme diverse, ma tutte calde convincenti ed energiche, appresentano e scolpiscono nel cuor di quei popoli l’amor del vero, del grande, dell’utile, del retto, e della libertà, che necessariamente da questi tutti deriva. Il teatro, la storia, i poemi, l’eloquenza oratoria, le lettere tutte in somma, e sotto gli aspetti tutti, una vivissima scuola divengono di virtù, e di libertà. Proibiti, è vero, e impediti, e perseguitati verranno tai libri; ma quindi letti saranno, e meditati, e giovevoli. Tutto penetra nei presenti tempi; e se finora le verità tutte non si sono fatte la dovuta strada, si dee ascrivere al timore, o al non bastante ingegno di chi assunto si era di svelarle. Ma principalmente ascrivere si debbe questo indugio di verità e di luce, a un deplorabile errore di alcuni moderni sommi scrittori, che licenziosi e non liberi, anzi degni fabri di servitù, il loro ardire piuttosto rivolgeano ad offendere con laidezze i costumi, come se abbastanza corrotti non fossero; ovvero tutte le loro deboli forze rivolgeano a schernire ad abbattere una religione per la sua fievolezza e vecchiaja già vinta; una religione, i di cui abusi non possono nuocere senza il principe che gli acconsenta e fomenti; e i di cui abusi nuocono sempre assai meno di lui.
Ma questi veri tribuni-scrittori, tanto più alto ufficio si assumerebbero, e ne verrebbero a conseguire una gloria tanto maggiore a quella degli antichi tribuni, quanto a ciò eleggendosi da se stessi, non ad un solo popolo intendono di giovare, ma ai popoli tutti; non ai loro soli coetanei, ma alle più remote generazioni. E da questo aspetto delle lettere (nuovo affatto per noi, ma antico per esse, e sacro, e solo veramente legittimo e delle lettere degno) nascerne di necessità col tempo ne dovrebbe un nuovo aspetto di governi e di popoli.
L’opinione è la innegabile signora del mondo. L’opinione è sempre figlia in origine di una tal qual persuasione, e non mai della forza. Ora, chi negarmi ardirà, che gli eccellenti scrittori non siano stati sempre assai più fabri e padroni dell’opinione a lungo andare, che i principi? Ragionano quelli, e sforzano questi: ma la verità, allorchè vien presentata sotto forme intelligibili da ogni classe di uomini, può penetrare in ogni uomo, e diventa ella quindi propria di tutti: all’incontro la forza del principe, che per via del timore penetra pur anche nel cuore di tutti, e l’abborrimento e la rabbia vi genera, in chi sta ella riposta questa sì temuta forza, fuorchè nel volere di tutti, o dei più? Ora, io domando; Come potrà esser mai, che i tutti, od i più, conoscendo essi appieno la ragione ed il vero, vorranno pure far male, paura, e danno a se stessi, per giovare ad un solo? il qual uno, dalla stessa ragione vien loro rappresentato e dimostrato pel loro primo oppressore e nemico: ed impotente, e sprezzabile, e risibil nemico, ogniqualvolta i tutti, od i più, con la loro ignoranza e cecità non lo avvalorino essi soli. Tali per l’appunto venivano reputati i re da ogni più infimo popolano di Roma nei tempi sublimi della repubblica: e di un così retto giudizio cagione sola ne era pur l’opinione, la quale, per via di libertà e dei tribuni, era stata infino nei più infimi felicemente trasfusa. La ragione dunque e la verità, per via di scrittori penetrando infino al più infimo di noi, tosto verremo a riguardare i re tutti per quello appunto ch’ei sono. E in una moltitudine d’uomini, dal veramente conoscere i proprj diritti al ripigliarseli e difenderli, egli è brevissimo il passo.
Ma tanta, a parer mio, può essere l’influenza degli eccellenti scrittori su la opinione, ch’io ardisco asserire, che se Roma, oltre i salutari censori che tanto l’accrebbero, e tanto ne prolungarono là virtù e la vita, avesse anche instituito con grandi onori un magistrato composto dei più sublimi scrittori riconosciuti già tali, e consacrati d’allora in poi unicamente allo scrivere; e se, mostrando così di farne grandissima stima, avesse Roma rivolto una parte dei sublimi naturali ingegni a ricercare la gloria scrivendo; così fatti magistrati scrittori, coi libri loro più durevoli e convincenti che le tribunizie concioni nel foro, avrebbero combattuto in tanti modi e con sì forti armi il nascente lusso, la insaziabile avidità d’impero, la venalità dei magistrati, e tutti gli altri abusi in somma che a precipitosa rovina la traevano, che la vera repubblica sarebbe forse durata assai più. E di grazia si rifletta, che se a Cesare già oltre il Rubicone varcato altro più non si poteva opporre che armi civili, o servile obbedienza; a Cesare giovinetto ancora, agli individui degli eserciti suoi, come altresì a Mario a Silla ed ai loro eserciti, e, più tempo addietro, alle violenti risse dei Gracchi; a tutte queste rovinose pesti si sarebbe forse potuta vittoriosamente opporre la forza della sana opinione, se maestrevolmente ella fosse stata conservata, rinnovellata, e corroborata dai continui ed alti insegnamenti della ragione e del vero, che sotto infinite forme fatti penetrare dai molti eccellenti scrittori fin nel più infimo cittadino di Roma, tutti nel dritto sentiero rattenuti più a lungo gli avrebbero. E si noti per cosa certissima, che la influenza degli scritti, allorchè tendono a rinnovare o confermare una sana opinione, riesce molto superiore al poter delle leggi; appunto perchè il libro cortesemente soggioga col solo convincere, e la legge duramente fa forza coll’assolutamente costringere. Io perciò mi riprometterei piuttosto di pervenire più brevemente e efficacemente a innestare nel cuore di una moltitudine una qualunque verità, porgendogliela replicatamente per via di diletto in una teatrale rappresentazione da tutti intesa e gustata, che non per via di una diretta concione, e molto meno per via di una costringente, ancor che giusta e legittima legge.
La ragione ed il vero sono quei tali conquistatori, che, per vincere e conquistare durevolmente, nessun’altra arme debbono adoperare, che le semplici parole. Perciò le religioni diverse, e la cieca obbedienza, si sono sempre insegnate coll’armi; ma la sana filosofia e i moderati governi, coi libri.